Ciao Candido..., Un saluto ad un grande giornalista

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view post Posted on 23/2/2009, 23:42
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Ciao a tutti!

Questa domenica un grande giornalista e scrittore ci ha lasciati.
Vorrei rendere un omaggio in questa sede a Candido Cannavò inserendo un suo grande pezzo che mi ha molto colpito. E' un ricordo tratto dalla sua autobiografia "Una vita in rosa" che lo scrittore Alfio Caruso ha riportato nel suo "Arrivano i nostri".
Candido Cannavò aveva 12 anni quando, l'8 luglio 1943, si trovò, insieme alla madre, nel bel mezzo del più pesante bombardamento di tutta la guerra subito dalla città di Catania. Si trovava in piazza Trento quando:

"...il perenne ronzio degli aerei che incrociavano il cielo ad alta quota fu lacerato da sibili orrendi. Erano bombe, bombe su di noi. A pochi metri dalla piazza crollò un vecchio palazzo nobiliare. E la radiosa giornata d'estate piombò in una notte improvvisa e lugubre. [...]
Sibili ed esplosioni si moltiplicavano. Non si vedeva più nulla. Passò una moto dell'UNPA e un aziano volontario ci propose di correre verso il ricovero nel sotterraneo di un palazzo vicino. Numerose persone lo seguirono. Poco dopo una bomba centrò in pieno quello che doveva essere un pietoso asilo di salvezza. Strage di povera gente, di civili innocenti. Il vero terrore, tangibile nella sua spietata materialità, te lo dava quel sibilo agghiacciante delle bombe. Erano sulle nostre teste? O cento metri più in là? L'esplosione scioglieva quell'interrogativo al quale eravamo appesi come a una forca per quei pochi secondi che dividevano il preludio sonoro dal fragore: che dilaniava le orecchie, ma diventava liberatorio.
Era in corso - e noi c'eravamo dentro - il più pesante bombardamento che si sia abbattuto su una città siciliana. 8 luglio 1943. A Catania ancora si commemora quella data. La città era quasi vuota, ma i morti furono centinaia. Tanto macello in quindici o sedici minuti: una breve e orrenda eternità.
Mia madre, donna di fantasia, ebbe un'intuizione delle sue, alla quale si deve la nostra salvezza. In piazza Trento c'erano alcune panchine di ferro, arcuate, eleganti. Noi ci distendemmo sotto, a faccia in giù, avvinghiati per tutta la durata di quell'inferno che imperversava intorno, tra ondate di nuova polvere e bagliori di fuoco, tra grida strazianti dei feriti e i patetici tentativi di qualche soccorritore terrorizzato. C'era quasi da invidiare i morti: avevano raggiunto la loro pace. A distanza di mezzo secolo, mi chiedo ancora: che senso ha bombardare a tappeto una città? A quale strategia bellica rispondono quei grappoli di bombe sganciate alla cieca?
Quando il bombardamento finì sembrava mezzanotte...
"

"C'era quasi da invidiare i morti: avevano raggiunto la loro pace."
CIAO CANDIDO!

XV Apollinaris
 
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