| Beh, però in casi come questi non è l'incoscienza di un singolo, che si può trattare come un rischio più o meno calcolato, o magari calcolato male, ma la programmatica decisione di un comando. Non la chiamerei incoscienza, se riguarda una formazione intera. Per altro, dare estensivamente questi documenti, significava in certa misura avere l'abitudine a controllarli.
Anche la dicitura sulle requisizioni per me è molto interessante, non l'avevo mai vista formalizzata nei tesserini. Per le requisizioni, in Ossola, si usavano lettere su carta intestata della divisione (più di una staffetta è stata beccata per via della carta intestata) nei casi formali, nei casi informali, si andava da chi si conosceva, si portava via quello che ti davano e si lasciava una ricevuta con uno scarabocchio. In qualche altro caso le requisizioni erano "programmate", cioè si andava ben armati a svuotare una certa casa dove i viveri erano stati preparati apposta per essere requisiti (ho in mente i vasetti di conserva a casa Tranquillini), e i proprietari ne uscivano senza macchia.
Tornando al tema dell'accertamento dell'identità, mi ritrovo con quello che dice Ghirghi. A parte il caso di Camillo Bassi, milite della GNR che ebbe lo sfacciato coraggio di dire in faccia al suo comandante che, in uno scambio di prigionieri, non ci teneva proprio per niente ad essere scambiato, in tutti gli altri casi terno al lotto per "accertare" le identità. Persone considerate affidabilissime (vedi tale Toni Aspes) si sono rivelate spie ignobili. Ho in mente un partigiano la cui identità dal suo comandante non fu mai rivelata che era stato "mandato" in Valgrande come spia e assassino e, una volta arrivato, si rese conto (ed ebbe la lucidità di capire) che le cose non erano come gliele avevano descritte e l'uomo che doveva uccidere non era per niente il grassatore privo di onore e di scrupoli che gli era stato dipinto. E in montagna ci è rimasto. Se avessero fatto un accertamento valido, sarebbe stato fucilato subito.
Quanto agli stranieri, nel Valdossola c'era un'intero plotone di georgiani disertori dalla Wehrmacht, che alla prima occasione si sono dati tutti insieme alla macchia. L'artificiere della Gramsci era un ingegnere minerario sudafricano (che si è fatto saltare via un occhio). Semmai quello che mi ha stupito è che a questi stranieri non sia stato dato - per quello che so - alcun tipo di riconoscimento, dopo la Liberazione.
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