| A metà anni 80 arrivò la giacca TTAA, data alle truppe alpine e ai paracadusti.
Il passo successivo fu l'adozione dell' impermeabile da libera uscita verde salvia, di lunghezza a tre quarti, dotato di termofodera, sopravvestito poliammidico e sovrapantalone.
Questo capo, vero abisso di abiezione dell'intendenza italiana, doveva assolvere a tutti i compiti, per tutti. In libera uscita era previsto il giaccone di tela, in campagna doveva essere portato il solo sopravvestito, eventualmente con la termofodera, in sostituzione della giacca a vento. Era un capo di qualità scarsissima, povero, brutto anche da vedere; le cuciture si sfaldavano e le cerniere duravano pochissimo. Gli alpini, per attenuare l'aspetto squallido del capo, a volte prescrivevano che il cappuccio fosse ripiegato sul collo e che l'orlo inferiore fosse rimboccato; ma c'era poco da fare. Quanto a impermeabilità e traspirazione, stendiamo davvero un telo mimetico. Tipica dell'aspetto del militare italiano del periodo è la presenza della graffetta da ufficio a riparare la rottura del picandolo della cerniera.
Con l'adozione della mimetica woodland, il sopravvestito divenne mimetico. Con questo capo vergognoso i nostri soldati affrontarono l'inverno 1996 in Bosnia e le successive prime missioni nei Balcani.
Siccome da ogni parte si alzavano lamenti e proteste, venne finalmente adottato un giubbotto in "membrana traspirante" (che sarebbe il goretex privo di trademark): giubbotto sempre abbastanza lungo, con cappuccio – quindi senza stellette – e con sovrapantalone aggiuntivo. Caratteristica di questo capo era il velcro per il grado, posto (non sia mai che se ne faccia una giusta) a sinistra non sul petto ma quasi sull'addome.
Le prime serie erano di un tessuto non male, morbido, impermeabile, traspirante e anche di un bel colore; le serie successive divennero più rigide e rumorose nei movimenti, di colore stranamente scuro.
In queste condizioni si arriva al regime "vegetato". (...)
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