Posts written by lancieri novara 5

view post Posted: 6/6/2023, 08:53 Aiuto per identificazione caricatore - Armi da fuoco italiane
Assolutamente si ....ti allego foto di un paio di venditori on line di surplus e potrei natare come il particolare sia presente.

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view post Posted: 5/6/2023, 17:39 Aiuto per identificazione caricatore - Armi da fuoco italiane
Direi Makarov 9x18mm 8 colpi. Caricatore standard per l'ordinanza sovietica Makarov PM

Confronta il caricatore con la Maka Germania Est ex miaDSC00364
view post Posted: 5/6/2023, 17:29 S&W victory 38/200 info - Armi da fuoco straniere
Come detto da altri il dilemma è se carichi o no. In caso negativo devi affidarti alla speranza di trovare dei Fiocchi 38 S&W, se ricarichi il problema non esiste puoi riprodurre le munizioni tipo inglesi con palla da 200 grani o accontentarti di cariche e palle meno performanti per non stressare il vecchio revolver. Come giustamente riferisce Mufasa puoi provare a mettere nel cilindro un bossolo calibro 38 special. Io ho avuto un British Service tarocco in 38 special ribrunito e con guancette con il sigillo S&W. Ricordo con piacere di averlo ceduto e sostituito con un bell'esemplare fosfatato con le guancette lisce...un autentico british service.
un saluto giacomo
view post Posted: 5/6/2023, 11:41 S&W victory 38/200 info - Armi da fuoco straniere
Si tratta di una Smith & Wesson British contract in 38/200. Il reperimento delle munizioni originali è davvero complesso a meno di non ricaricare i bossoli da 38 S&W con una palla da 200 grani. La fiocchi fabbrica (di rado) dei lotti di 38 S&W che sono perfetti per l'arma. In realtà la munizione 28/200 non è altro che un tentativo di rendere la fiacca 38 S&W più adatta all'impiego contro i bipedi usando una palla più pesante.
Davvero strano il mirino...mai visto...sembrerebbe che l'arma, generalmente con canna da 5 pollici, sia stata accorciata e il mirino riportato...lavoro da armaiolo e anche bravo..non da armiere di riparto..
Arma particolare..non priva di fascino anche per questa operazione Dr Jeckhill cui è stata sottoposta.. Al tempo di British contract ne giravano parecchi e un certo numero è stato adattato al 38 special mediante alesaggio del tamburo..nessuna forzatura dal punto di vista meccanico la pistola nasce in 38 Sp e, semai, l'adattamento era stata rendendola idonea alle cartucce britanniche.
A tua disposizione, un saluto giacomo
view post Posted: 1/12/2022, 18:05 Steyer - Armi da fuoco straniere
Stupirebbe la presenza di un Kar 98 in mani etiopi...ma la politica ha strade infinite e non sempre comprensibili..all'epoca (1935 circa) il Fuhrer temeva che l'Italia ostacolasse le sue mire sull'Austria e fornire armi ai suoi avversari costituiva un sistema per impantanarli nel teatro etiopico.
16.000 fucili, 600 mitragliatrici e 10 milioni di cartucce vennero consegnate all'Etiopia. Il crest del leone di Giuda mostra che il fucile faceva parte di questa spedizione. Il leone di Giuda compariva anche sulla culatta di un certo numero di moschetti mitragliatori Bergmann MP35/I forniti dalla Germania.
Interessante ed intrigante la storia legata all'arma mostrataci dall'amico Collector1.

cari saluti giacomo
view post Posted: 29/11/2022, 15:14 identificazione pugnale - Armi da taglio italiane e straniere
Sono davvero integri e molto belli..comunque non dovevi non devi alcuna compensazione...porre quesiti sul sito è una delle finalità dell'esistenza stessa del Forum...mi sono limitato ad alcune affermazioni e alla richiesta di maggiori informazioni...gli oggetti che giungono nelle nostre mani hanno una storia che talvolta vale la pena di raccontare...in altri casi come i due Milizia sono talmente belli che..wow..

grazie giacomo
view post Posted: 27/11/2022, 15:54 Marchi su MP 40 - Armi da fuoco straniere
Come giustamente affermato da Kanister l'arma è di produzione Steyr-Daimler-Puch AG del 1941. Secondo l'autorevolissimo The Schmeisser Myth di Martin Helebrant presso la Steyr era attivo dal 1939 al 45 l'ufficio dell'ispettore agli Armamenti con sigla WaA 623 e tale sigla dovrebbe comparire sulle parti rimaste dell'arma....suppongo

un saluto giacomo
view post Posted: 27/11/2022, 15:13 identificazione pugnale - Armi da taglio italiane e straniere
Se devo essere sincero ho forti dubbi che si tratti di un coltello marziale anche se il punteruolo sulla porzione estrema dell'impugnatura farebbe pensare a un uso combat. Le linee arabeggianti, la cromatura della lama (fatto da sempre evitato su armi d'assalto per motivi intuitivi) e l'impugnatura che pare una fusione di alluminio mi fanno pensare ad un accrocchio assemblato da qualcuno...notizie? dove l'hai acquisito? spero tu non lo abbia pagato più di un euro perchè mi pare una "sola" come dicono a Roma..
Comunque ti auguro sia invece un oggetto di gran pregio...
un caro saluto giacomo
view post Posted: 12/11/2021, 15:15 Vi presento la mia Luger - Armi da fuoco straniere
...più che bene....ricordo con profondo rimpianto una Luger modello 23 marcata SA e destinata all'Armata Finlandese, prodotta dalla DWM e praticamente nuova era stata da me acquistata per un prezzo molto modesto....sciaguratamente la cedetti per acquistare...boh...non ricordo neanche cosa...Le belle passanti non è solo una splendida canzone di De Andrè tratta da Les Passantes di Georges Brassens....è la realtà del collezionista...molte belle armi passano..ma non riusciamo a trattenerle..vuoi per carenza di danaro...vuoi perchè ci formalizziamo su qualche difettuccio....Bene hai fatto caro amico ad acchiappare la tua P08..e tientela stretta.
Un caro saluto giacomo
view post Posted: 11/11/2021, 17:53 Vi presento la mia Luger - Armi da fuoco straniere
Complimenti arma molto bella e con le guancette in legno ci guadagna una cifra...ciò che mi ha sempre impressionato di quest'arma è l'ergonomia dell'impugnatura.....calza come un guanto...un guanto di pelle di daino, di gran classe.
Meccanicamente l'arma non mi entusiasma, ma non si può negarle il fascino e la classe. Arma iconica che neppure ricalibratura e maldestre punzonature yankee hanno intaccato

COMPLIMENTI

un caro saluto giacomo
view post Posted: 26/10/2021, 15:26 Dicembre '44 Missione OSS Cayuga - LE FORMAZIONI PARTIGIANE
Ho due articoli sull'UD M 42.
Spero interessino..copia incolla...poca fatica.

un caro saluto giacomo

UD M42, garantita dall’O.S.S.

Articolo di Paolo Romanini, pubblicato su TACARMI dicembre 1999

Nel 1942 la High Standard cede alla United Defence Supply il progetto di una anonima P.M., già provata e non adottata dalle forze armate statunitensi. La United Defence, dietro la quale operava l’O.S.S. (la C.I.A. di allora), in tutta fretta ne commissiona alla Marlin Firearms Company quindicimila esemplari in calibro 9 Parabellum, acquisiti e distribuiti fuori dai normali canali di approvvigionamento militare. Vediamo come andò realmente, e soprattutto vediamo da vicino questa P.M., grazie a un esemplare recentemente emerso da un giacimento partigiano.

Parlare di questa pistola mitragliatrice è certamente molto piacevole, in quanto, oltre a essere tutto sommato piuttosto rara, la sua produzione e il suo impiego sono ancora immersi in un alone di mistero legato al ruolo avuto nella questione dall’O.S.S. (Office of Strategic Service), cioè la C.I.A. di allora.
La cosa diviene ancora più interessante se si considera che l’esemplare qui fotografato è stato rinvenuto, in ottime condizioni, nell’alta Val Taro, tra le armi che periodicamente emergono dai numerosi “giacimenti partigiani”. Fu quindi usato dalle formazioni della Resistenza emiliana nei teatri appenninici, e il suo stato di conservazione, molto buono, indica che per cinquant’anni è stato custodito con attenzione, avendo cura di conservarne intatta l’efficienza. Vediamo quindi da vicino questa P.M., strumento di quella guerra nascosta che silenziosamente compenetrava e guidava le operazioni che avrebbero portato alla liberazione dell’Europa.

La genesi

La nascita dell’UD M42 si intreccia con quella dell’M3, che già abbiamo visto su queste pagine, e come quest’ultima ambì a prender parte al grande business che l’entrata in guerra degli statunitensi aveva reso possibile.
Il suo ideatore fu Carl Swebilius, fondatore e titolare della High Standard Manufacturing Company, che nel 1940, precisamente il 15 ottobre di quell’anno, brevettò la sua creatura.
Come vedremo meglio oltre, essa, pur dotata di indubbie qualità, era pressochè interamente ricavata dal pieno, quindi basata su un progetto che non avrebbe potuto competere, sul piano economico, con la M3. E’ quindi verosimile pensare che nel momento dell’ideazione l’unico concorrente considerato dallo Swebilius fosse il Thompson versioni 21-28, rispetto al quale, effettivamente, l’UD M42 avrebbe consentito significativi risparmi. Peraltro anche la struttura di questa P.M. è chiaramente ispirata al primo come dimostrano la soluzione del caricatore, l’impugnatura anteriore e la lunghezza e l’impostazione della canna.
Dopo un anno dal brevetto arrivò comunque il progetto General Motors, ottenuto interamente per stampaggio a costi improponibili per un’arma di fabbricazione tradizionale. Inoltre anche il Thompson venne prodotto nelle nuove versioni M1 e M1A1 (ne vennero forniti oltre un milione di esemplari, costruiti dalla Auto Ordonance e dalla Savage) e ben presto l’U.S. Army vide evase le sue necessità in tal senso.
Fin qui, comunque, tutto normale e furono tali anche le prove di idoneità presso l’Aberdeen Proving Ground delle quali abbiamo già detto trattando dell’M3, risalenti all’estate del 1940, quindi circa due anni prima di quelle che videro impegnata quest’ultima (autunno 1942), e svolte ancor prima del brevetto, che fu ottenuto qualche mese dopo la data suddetta.

L’inizio della clandestinità

Da questo punto in avanti, la vita di quest’arma diviene “anomala” rispetto alle altre concorrenti che si erano aggiudicate un ruolo preciso nell’U.S. Army. Rifiutato dalle commissioni delle varie armi statunitensi, il progetto della P.M. di Swebilius passa velocemente dalla High Standard alla United Defence Supply Corporation, presso la quale, dopo aver ricevuto la denominazione ufficiale (UD M.42), viene velocemente inviata alla Marlin Firearms Company, con la richiesta di produrne quindicimila esemplari, ma in calibro 9 Parabellum, non in .45 come i prototipi che avevano superato il collaudo presso l’Aberdeen.
Come mai, dopo essere stato accantonato dalle commissioni, il progetto subisce questa accelerazione? E perché solo in calibro 9 Parabellum? Come mai tutto ciò avviene al di fuori delle normali procedure militari di valutazione e assegnazione?
Queste domande possono virtualmente essere evase inquadrando meglio la figura della United Defence Supply Corporation, della quale all’epoca pochi conoscevano compiti e finalità. In altre parole, dietro questa sigla molto commerciale e discreta, operava l’O.S.S., il servizio segreto statunitense, che dopo pochi anni sarebbe divenuto la famigerata C.I.A. La U.D.S.C. rappresentava in pratica uno dei bracci tecnologici operativi addetti ai materiali speciali da inviare non ufficialmente nei vari punti caldi del globo.
Parte dei quindicimila UD M42 prodotti dalla Marlin, viaggiarono quindi, su disposizione e controllo dell’O.S.S., al di fuori dei normali approvvigionamenti bellici, verso l’Europa con destinazione i vari reparti della resistenza antinazista italiana, francese, greca e jugoslava. Ciò, ovviamente, spiega anche la scelta del calibro 9 Parabellum che sostituì l’originale .45 AUTO, esattamente come avvenne, successivamente, per le versioni aventi uguali destinazioni della M3 Grease Gun prodotta dalla Guide Lamp.

L’arma

L’UD M42 è un’arma di concezione piuttosto tradizionale, dotata della tipica impostazione dei moschetti automatici, molto simile al Thompson. E’ un’arma, insomma, concettualmente “anni Trenta”, come il nostro MAB 38 e sostanzialmente diversa dalla STEN e dall’M3.
Come la versione M1 del Thompson e quella 38A del nostro MAB, l’UD M42 era basato sul concetto di massa battente a percussore mobile con appendice di contrasto in chiusura, particolare quest’ultimo che nella versione M1A1 del Thompson e nel MAB 38/44 fu abbandonata per semplificare e razionalizzare il progetto a favore della soluzione a percussore fisso ricavato sull’otturatore, mentre, per ovvie ragioni, nella M3 e nella STEN non fu mai preso in considerazione.
Anche gli organi di mira richiamano ampiamente le P.M. degli anni Trenta, le quali conservano l’impianto e la struttura ibride con forti connotazioni da arma lunga. Anche la balistica delle munizioni quindi manteneva una maggiore considerazione, e di conseguenza gli organi di mira risultavano più complessi, con tacca mobile. Quella dell’UD M42 è infatti una diottra regolabile in brandeggio ed elevazione, ed è di costruzione piuttosto accurata; molto diversa dalla semplice e fissa piattina adottata sull’M3. Alcuni esemplari avevano anche il mirino in tunnel.
Come abbiamo accennato il castello dell’arma è interamente ottenuto per fresatura dal pieno, e l’attacco del caricatore è identico a quello del Thompson, quindi questi sono dotati di nervatura dorsale, mediante la quale possono essere abbinati a coppie per l’inserimento rapido del secondo (è vero il contrario: i caricatori sono ovviamente uniti sul lato privo di costolatura!!). Il sistema di scatto permette il tiro automatico e quello semiautomatico ed è di tipo tradizionale, ovvero basato sul diverso comportamento del dente di scatto agente direttamente sullo scanso dell’otturatore, a scappamento nel tiro intermittente.
Per quanto concerne l’estrattore e l’espulsore, il primo è a lamina sull’otturatore e il secondo fisso al fusto e operante nell’apposito taglio longitudinale dell’otturatore.
Come tutte le armi concepite in tal senso, la canna è piuttosto lunga (28 cm), superiore a quella classica delle P.M. di successiva concezione (circa 20 cm) e superiore anche, sebbene di poco, a quella del Thompson (266 mm).

Considerazioni

L’arma è stabilissima allo sparo, grazie alla sua struttura allungata e al suo non trascurabile peso (4.100 g scarica); anche la presa anteriore, molto confortevole, alimenta la dominabilità. Rispetto al Thompson, inoltre, l’inclinazione del calcio è sensibilmente inferiore.
Gli organi di mira consentono una precisione di tiro notevole per la categoria, e dopo aver adeguatamente recepito il ritardo di percussione dovuto alla massa battente, si ottengono ottime rosate fino a un centinaio di metri.
La cadenza di tiro è medio-alta, circa settecento colpi al minuto, comunque ben assorbita dalla massiccia struttura dell’arma.
Le finiture, per la categoria, sono di ottimo livello, con particolari superiori alla media. Anche le scritte sono ottimamente eseguite e ben diverse da quelle riscontrabili sui successivi prodotti stampati.
Un bel pezzo di storia recente, fornito dall’O.S.S. alla Resistenza emiliana.
UDM ’42 Marlin

Articolo di Giuseppe Antoni, pubblicato su DIANA Armi

Il Marlin UD M. ’42 è una di quelle armi meno note realizzate nel corso della Seconda Guerra Mondiale e che spesso sfuggono all’attenzione degli appassionati, presi come sono a studiare i tipi più famosi che hanno finito per essere dei simboli distintivi dei vari eserciti belligeranti. Ma spesso sono proprio queste armi “minori” ad essere di grande interesse per conoscere meglio lo sviluppo dell’armamento individuale, in quanto frequentemente hanno caratteristiche che si ritroveranno in altre successive e di maggiore successo.
La Casa di New Haven realizzò questo mitra su commissione della United Defence Supply Corporation, un ente del Governo americano che si occupava delle forniture per l’allora Ministero della Guerra, il quale a sua volta lo distribuì tramite l’OSS alle formazioni guerrigliere operanti sia in Estremo Oriente che in Europa. L’unico esercito regolare ad aver impiegato questo mitra della Marlin è stato l’Esercito Coloniale Olandese che, all’epoca operava nei possedimenti delle Indie Orientali Olandesi (alcune isole che fanno attualmente parte della Repubblica Indonesiana) e che si trovò coinvolto insieme ad inglesi ed americani nei combattimenti contro i giapponesi.

La Storia

Lo UD M.’42 è una delle tante armi di “transizione” progettate negli anni immediatamente precedenti il secondo conflitto mondiale. Concettualmente si pone in una posizione intermedia fra i mitra della generazione del Thompson M.1921 americano e dello MP 18 tedesco, caratterizzati dalla calciatura massiccia in legno simile a quella dei normali fucili per la fanteria e con solo tiro a raffica, e le armi prodotte durante la guerra, costituenti la cosiddetta seconda generazione, caratterizzate da un disegno estremamente semplificato con largo impiego di pezzi stampati, calciature ridotte all’essenziale e, in molti casi, possibilità di selezionare il tiro a raffica o semiautomatico.
Lo UD M42 presenta appunto caratteristiche intermedie alle due generazioni, infatti alla calciatura rigida in legno ed alle parti meccaniche ottenute per fresatura dal pieno, unisce soluzioni tecnologiche come il selettore-sicura a tre posizioni ed una organizzazione meccanica piuttosto semplice per l’epoca.
Il mitra in questione è stato progettato negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale da Carl G.Swebilius, fondatore della High Standard, in nome della quale ottenne il brevetto dell’arma in data 15 ottobre 1940. I prototipi vennero realizzati in due calibri: per il 9 mm. Parabellum, del quale il progettista si rendeva conto appieno delle possibilità e della grande diffusione di questa cartuccia in tutto il mondo; ed in .45 ACP, per rispondere alle specifiche del concorso indetto dallo US Army per dare un sostituto al Thompson M.1921. Questi prototipi leggermente più lunghi della versione in 9 Para (840 mm. contro 807) furono presentati dalla High Standard Manufacturing Company in forma non ufficiale presso l’Aberdeen Proving Ground nel tardo agosto del 1940, ma vennero esclusi dalle fasi successive delle prove, dopo che si resero disponibili le versioni semplificate del Thompson e le carabine Wichester M1.
Nonostante questo, i buoni risultati ottenuti dal modello di serie in calibro 9 mm. Parabellum, come ad esempio un’ottima precisione nel tiro mirato, grande resistenza alla polvere e al fango e, fattore più importante di tutti: l’usare una munizione diffusa in tutto il mondo ed in modo particolare in Europa, suscitarono l’attenzione del “Office of Strategic Service” il famoso OSS che nel dopoguerra avrebbe dato origine all’ancora più famosa CIA, per un’arma da distribuire a forze partigiane o eserciti alleati. Si era ormai nel 1941 e gli Stati Uniti, anche se ancora non ufficialmente in guerra, erano sempre più impegnati nel sostegno alla Gran Bretagna ed ai suoi alleati tramite la Legge Affitti e Prestiti, e ben pochi nelle alte sfere di Washington si illudevano di poter continuare ancora in una simile situazione di non belligeranza.
Pertanto tramite la United Defence Supply Corporation, una delle tante società costituite allo scopo e controllate direttamente dal governo che si occupavano di forniture militari, venne ordinata la produzione in serie del mitra, denominato “United Defence Model 1941” da cui la sigla UDM 41 sulla carcassa: sigla poi mutata in “UD M42” una volta avviata la produzione in serie.
L’organizzazione della catena di montaggio e quindi l’intera produzione, vennero affidate alla Marlin Firearms Company di New Haven nel Connecticut dato che essa non era direttamente impegnata nella produzione di altre armi militari di più diretto interesse per le necessità dell’esercito americano, ed il numero di esemplari costruiti superò di poco le 15000 unità.
Essendo un’arma destinata ad essere fornita ai reparti che operavano nella clandestinità, è ben difficile ricostruire le strade delle varie forniture. Ma la gran parte di questi mitra finì nelle mani dei guerriglieri che operavano nell’area del Pacifico: Filippine e soprattutto Indonesia dove andarono ad armare anche i reparti dell’Esercito Olandese delle Indie Orientali operante in quel settore. Alcuni altri esemplari vennero invece paracadutati ai partigiani francesi del “Maquis”, ed in Francia essi furono particolarmente apprezzati per la loro solidità e sicurezza di funzionamento sia nel tiro a raffica che semiautomatico nel quale garantivano anche una buona precisione.
In definitiva si tratta di un’arma particolarmente interessante per le sue soluzioni tecniche e per la sua buona qualità di lavorazione che lo contraddistingueva se paragonata ad altri modelli presenti sugli stessi fronti, primo fra tutti lo Sten britannico che se costava molto meno era anche molto più rozzo nelle finiture e meno affidabile. Anche se la produzione non ha raggiunto i livelli tipici di un’arma del tempo di guerra, si tratta pur sempre di un modello di mitra che oltre ad aver adottato soluzioni tecniche di armi ben più recenti, prima fra tutte: il selettore di tiro, l’hold-open e la leva di armamento non solidale con l’otturatore, risulta interessante anche sotto l’aspetto dell’impiego operativo che lo ha visto utilizzato in quella guerra clandestina parallela a quella combattuta dagli eserciti regolari e che ha costituito uno degli aspetti più interessanti della Seconda Guerra Mondiale.



La Tecnica

Lo UD M42 è realizzato interamente in acciaio, molto ben fabbricato con parti interamente ottenute con lavorazioni a partire dal pieno e senza far ricorso a pezzi stampati. L’arma funziona in base al principio della chiusura a massa (blowback) con ciclo di sparo iniziante ad otturatore aperto, e presenta l’otturatore vero e proprio di diametro ridotto rispetto alla massa del carrello. Il percussore non è solidale con l’otturatore, ma analogamente a quello del più noto mitra Thompson è trattenuto in posizione arretrata da una molla elicoidale che lo circonda, la percussione è assicurata da un apposito pezzo imperniato sulla massa del carrello immediatamente dietro la parte di minor diametro dell’otturatore, questo pezzo a fine corsa in avanti urta contro una barra trasversale realizzata all’interno della scatola di scatto e preme contro la testa del percussore provocando la detonazione dell’innesco e lo sparo; questa soluzione garantisce contro eventuali percussioni degli inneschi prima che le cartucce siano completamente dentro la camera di scoppio.
Sul lato destro della capsula di culatta di forma cilindrica fuoriesce la manetta d’armamento, questa non è collegata stabilmente all’otturatore, ma dopo averlo armato tirandola indietro può essere rimandata in avanti bloccandosi a fine corsa e rimanendo ferma durante tutto il ciclo di sparo, una linguetta della maniglia copre anche la fenditura di scorrimento impedendo l’ingresso di corpi estranei nell’interno della scatola di culatta.
Questa stessa scatola di culatta nella quale si muove l’otturatore si restringe nella sua parte anteriore, ed in questa è ricavata l’apertura per l’inserimento del caricatore e la finestra di espulsione dei bossoli. La canna della lunghezza di 11 pollici (279 mm) è saldamente avvitata alla scatola di culatta e porta un mirino a lama di generose dimensioni. L’astina guardamano è sagomata con un’impugnatura a pistola ed è interamente in legno; alla canna è attaccata anche la maglietta anteriore della cinghia di trasporto.
L’insieme della massa del carrello e dell’otturatore ha una forma caratteristica, infatti esso è costituito da due sezioni cilindriche di diverso diametro: quella anteriore più sottile porta il dente dell’estrattore ed è forata per tutta la sua lunghezza per permettere il passaggio del percussore. La parte a sezione maggiore rappresenta la massa principale dell’otturatore ed è fresata inferiormente con la tacca su cui fa presa il dente di scatto, in questa fresatura è incernierata anche la leva che contrastando con la parte anteriore della scatola di scatto determina l’avanzamento del percussore e lo sparo. L’otturatore nella sua parte posteriore reca anche l’alloggiamento per la testa della molla di recupero e del relativo guidamolla che, posteriormente contrasta sulla piastra che chiude la scatola di culatta e che è realizzata in pezzo unico con la sottostante scatola di scatto.
Passando ad esaminare la scatola di scatto, sul lato destro dell’arma si trova il comando della sicura-selettore di tiro, questa può assumere tre posizioni: full-auto, safe e semi-auto; il selettore presenta la particolarità di avere un’appendice interna che, quando è messo in posizione “safe” (sicura inserita) con l’otturatore in posizione avanzata, sporge all’interno della camera di culatta; armando l’otturatore con la manetta questo preme sull’appendice e sposta il selettore sulla posizione semi-auto. Questa soluzione ingegnosa risulta particolarmente utile su un’arma destinata alla guerra clandestina fatta di agguati e di colpi di mano, potendo tenere il mitra con l’otturatore in posizione avanzata ed il selettore in sicura e passare alla posizione di fuoco semplicemente armandolo.
Sempre sul lato destro, al di sopra della guida del caricatore è situata la leva che comanda lo svincolo fra scatola dello scatto e scatola di culatta. Il ponticello del grilletto è ricavato di pezzo con la carcassa e posteriormente a questo è collegato il calcio in legno simile a quello di un normale fucile da caccia, con una pistola piuttosto pronunciata. Sulla parte inferiore del calcio è fissata la maglietta metallica della cinghia. Anche la piastra del calciolo è metallica ed in questo non si discosta molto da altre armi della stessa epoca.
Il caricatore è una versione ridotta (per le minori dimensioni delle cartucce calibro 9 mm.Parabellum rispetto alle .45 ACP) di quello del Thompson. Si tratta in pratica di un caricatore prismatico bifilare in lamiera d’acciaio che contiene 20 colpi, la suola dell’elevatore dopo l’ultimo colpo solleva il comando del “hold-open” che blocca l’otturatore in posizione aperta.
Il collegamento del corpo dell’arma si realizza con una guida scanalata realizzata sulla parte anteriore della scatola di scatto dove si inserisce la barretta saldata sulla faccia posteriore del caricatore, la leva di svincolo è situata inferiormente alla guida e si aziona semplicemente premendola in avanti col pollice della mano che trattiene il caricatore. Oltre al normale caricatore da 20 colpi venne prodotto anche un tipo da 40 realizzato semplicemente saldando due caricatori da 20 fronte a fronte, di cui uno in posizione rovesciata, ottenendo in forma industriale ciò che tutti i combattenti di tutti gli eserciti hanno fatto artigianalmente usando nastro adesivo o bande di gomma, l’unico pericolo essendo quello di danneggiare le labbra del caricatore rovesciato contro qualche ostacolo. La dotazione normale dei mitra UD M42 forniti alle formazioni partigiane francesi comprendeva un solo caricatore doppio già montato sull’arma e quattro caricatori normali da 20 colpi contenuti in una giberna di tela a quattro tasche, per un totale di 120 cartucce quale normale dotazione di combattimento.
Lo smontaggio da campo dell’UD M42 si realizza con estrema facilità togliendo il caricatore e, dopo aver portato l’otturatore in posizione avanzata, si spinge verso il basso la leva di svincolo, a questo punto la scatola di culatta si separa dalla scatola di scatto ed il gruppo otturatore-molla di recupero si estrae posteriormente. Per la normale manutenzione e pulizia dell’arma non occorre andare oltre in quanto tutti gli organi meccanici sono così facilmente accessibili.
Esternamente l’UD M42 si presenta interamente finito per fosfatazione (parkerizzato), ad esclusione del caricatore che è normalmente brunito; il calcio e l’astina di legno sono tirati ad olio ed anche in questo l’arma della Marlin denota un livello di finiture nettamente superiore alla media, specialmente se si pensa che si tratta di un mitra destinato ad essere paracadutato a reparti partigiani che non pretendevano certamente armi di lusso per il proprio armamento.
Gli organi di mira sono costituiti da un mirino a lama e da una tacca a “V” fissata sul prolungamento verticale posteriore della carcassa che chiude la scatola di culatta, questa tacca è registrabile in altezza tramite un bottone zigrinato posto sul lato sinistro per distanze comprese fra 50 e 200 yards, ed in derivazione laterale tramite una vite sul lato destro. Tutto ciò concorre a fare del mitra della Marlin un’arma valida anche per il tiro mirato, al contrario di quasi tutte le altre armi della categoria.

Scheda Tecnica

Tipo: UD M42
Paese d’origine: Stati Uniti d’America
Fabbrica: Marlin Firearms Company di New Haven
Calibro: 9 mm.Parabellum
Funzionamento: chiusura labile, ciclo iniziante ad otturatore aperto.
Tipo di fuoco: selettivo: a raffica e semiautomatico
Cadenza teorica: 700 colpi/minuto
Lunghezza totale: 807 mm.
Lunghezza canna: 279 mm.
Peso (arma scarica): 4,115 Kg.
Peso (arma carica): 4,536 Kg.
Caricatore: prismatico bifilare in acciaio stampato
Capacità: 20 colpi (40 il modello ottenuto saldando capovolti fronte a fronte due caricatori normali da 20)
Rigatura: 6 righe destrorse
Velocità alla bocca: circa 400m/sec.
Mirino: a lama
Tacca: a”V”, regolabile in elevazione e derivazione
view post Posted: 16/10/2021, 15:51 Nambu Tipo 14 - Armi da fuoco straniere
In tema di Nambu Type 14 devo ammettere che la mia memoria aveva tradito. Gli esemplari mal rifiniti che ricordavo erano di fabbricazione giapponese, arsenale di Kokura ed erano causati dalla progressiva scarsità di materia prima e di maestranze qualificate. Il modello cui facevo riferimento aveva subito alcune modifiche per semplificarne la produzione. Le più evidenti sono l'estremo posteriore dell'otturatore su cui fa presa la mano ridotto ad un cilindro zigrinato e le guancette lasciate lisce e senza scanalatura di presa. In foto un esemplare del novembre 1944.

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Anche le fondine delle Nambu subirono un calo di qualità con il progredire della guerra, esemplari tardivi sono realizzati in canapa impermeabilizzata con la lacca di gomma e bordata di una strisciolina di pelle.

Altro argomento sempre correlato alle Nambu è il loro utilizzo da parte dei Viet Mihn e dei Viet Cong. Le pistole catturate all'invasore giapponese saranno state ovviamente impiegate anche se armi come il Revolver T 26 e la Nambu T 14 avevano munizioni peculiari e rare. Alcuni autori americani ipotizzano una conversione in 7,62x25 e addirittura mostrano un esemplare che avrebbe subito uno simile trasformazione.

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Sinceramente la cosa mi convince poco e mi fa pensare ad un falso realizzato per imbarcare qualche gonzo e realizzare un guadagno notevole.
Le ragioni per cui la cosa mi convince poco sono:
La enorme differenza di potenza tra la cartuccia 8x22 e la 7,62x25 che avrebbe causato un tormento meccanico su un otturatore strutturalmente non robustissimo
La cartuccia più lunga avrebbe avuto problemi ad essere alloggiata in un caricatore concepito per una munizione più corta.
La canna è stata sostituita con una presa da una P 08 con una serie di enigmi meccanici su come essa abbia potuto essere adattata al fusto e al carrello.
D'altra parte bisogna ammettere che nelle officine della giungla facevano miracoli come costruire copie della 1911 brutte come il peccato, ma funzionanti.

Un saluto giacomo
view post Posted: 15/10/2021, 16:11 Nambu Tipo 14 - Armi da fuoco straniere
Altro che pazienza...grazie per la bella scheda tecnica integrata da filmati.
Stimolato dal ricordo di alcune rozze copie cinesi sono andato a cercarle per inserirle nella trattazione dell'argomento, ma curiosamente ho trovato una storia esotica ed interessante...almeno spero.
Negli anni 1944/45 le linee di collegamento tra le forze giapponesi in Cina e la madrepatria erano pericolosamente insidiate delle forze alleate. I giapponesi iniziarono a darsi un'occhiata in giro per trovare officine e fabbriche in cui realizzare armamento di supporto. Nel Nord della Cina venne realizzata una pistola che derivava dalla Type 14 e conteneva alcune semplificazioni per facilitarne la produzione. In particolare la leva della sicura era posta in una posizione più ergonomica ed era più semplice da azionare mentre lo smontaggio, piuttosto complesso sulla Nambu originale era semplificato da una leva posta sul fusto sul lato destro delle stesso, in posizione anteriore che svincolava il complesso canna carrello e otturatore.
L'arma venne denominata Type 19 e avrebbe potuto essere una buona arma sostitutiva se non fosse stata realizzata in modo approssimativo e rozzo...
Di nessuna rilevanza per alleviare la carenza di armi corte dei giapponesi la pistola costituisce una sorto si Sacro Graal per i collezionisti d'oltre atlantico che in essa vedono la rarità di un pezzo di armamento giapponese realizzato in Cina.
Fonte: Forgotten Weapons
"Japanese Military Cartridge Handguns 1893-1945" di Derby e Brown

Un paio di foto della rara pistola

Nambu_2




nambu



Un caro saluto giacomo
view post Posted: 7/10/2021, 13:52 Nambu Tipo 14 - Armi da fuoco straniere
COMPLIMENTI!!!!!!
Arma in eccellenti condizioni, con la guardia del grilletto tipo Kiska...fantastica.
Ottima anche la scheda dell'arma.
Immagini come quelle da te postate riaccendono il mai sopito desiderio di collezionare. Capita l'esemplare, come questo, che oltre ad essere raro, perfetto e del tutto inconsueto serve come una macchina spazio temporale e ci trascina in luoghi remoti ed esotici e tempi ed eventi lontani.


japanese_marines_in_chinese_shanghai_1937__ebay_788




Trovo adeguata questa immagine che mostra la Nambu nelle mani di un militare nella Shangai occupata.

Ti ringrazio per la condivisione delle belle immagini del tuo splendido esemplare e per le emozioni e le suggestioni evocate.

Un grazie di cuore giacomo
view post Posted: 14/9/2021, 16:13 L'ultima Beretta USA - Armi da fuoco straniere
La lezione afgana insegna che, alla fine è sempre l'omino con la sua tenacia, la sua disperazione, la sua voglia di non mollare, la sua capacità di sanguinare che vince, anche se male armato, su combattenti ricchi, bene armati, abituati alla vita comoda ma poco disposti al sacrificio. La sostituzione della M9 mi pare del tutto gratuita e la necessità di avere un sistema modulare una questione con poco costrutto.
Potevano tenersi la 1911, la Beretta e magari anche le sixshoots che tanto la musica non cambiava.
Ritengo che l'arma da fianco sia una risorsa marginale, forse impiegata in modo efficacie dai corpi speciali, ma per il resto ripeto marginale.
In fondo la Beretta non l'hanno mai digerita...
Un caro saluto giacomo
1542 replies since 16/8/2009