Spero di dare un contributo alla conoscenza di questa fondamentale arma. Kanister ha già detto le cose essenziali. Ho trovato un vecchio articolo tradotto da me dall'inglese, se può far piacere lo aggiungo. Come diceva giustamente Kanister e come si capisce bene dall'articolo l'MP 18 costituì una scelta tecnica e strategica ben precisa i cui canoni d'impiego erano ben chiari fin dalla progettazione. Il nostro vantato primato in realtà non esiste. La Villar Perosa nacque come una sorta di mitragliatore più leggero per l'aeronautica e con lo scudo per le truppe. In entrambe i ruoli fallì e solo 'intuizione di smontare l'arma binata in unità singole e montarle su un calcio da carabina fece imboccare la strada che porterà alle eccellenti realizzazioni italiane. Devo aggiungere che molto recentemente ho avuto modo di avere tra le mani una Villar Perosa recuperata sulla Presena. Benchè priva di scudo e mangiata dalla ruggine pesava ancora un botto..Altro che arma d'assalto. Spero vi interessi l'articolo e possiate perdonare eventuali errori di traduzione Un caro saluto Giacomo
Maschinen Pistole MP 18.I Bergmann
La vita nelle anguste, fredde, umide e maleodoranti trincee del fronte occidentale durante la Grande Guerra era realmente molto difficile. I combattimenti a distanza ravvicinata rappresentavano un’esperienza da incubo, in spazi ristretti si aggiravano masse di combattenti abbruttiti, votati alla reciproca distruzione; le loro armi preferite erano pistole, bombe a mano, baionette e attrezzi di scavo. I fucili a ripetizione manuale, con la loro lunghezza di 110 – 125 cm, e la relativa lentezza di fuoco erano spesso più di peso che d’utilità: troppo ingombranti e troppo lunghi. Non si poteva neppure far di conto sulle mitragliatrici del tempo (Lewis e Chauchat escluse) pesanti e difficilmente trasportabili, per fornire il necessario supporto di fuoco mobile nella situazione tattica, estremamente fluida e mobile, dell’assalto alla trincea nemica. Si sentiva il bisogno di un’arma leggera, trasportata e servita da un singolo combattente, in grado di fornire la necessaria potenza di fuoco. La soluzione americana a questo dilemma fu rappresentata dall’impiego dei fucili a munizione spezzata Winchester Modello 97 e modello 12. La soluzione germanica fu più radicale.
Sviluppo dell’arma
Nel 1915 La Commissione Prova Armi a Spandau identificò le specifiche per una nuova arma da utilizzare nelle particolari condizioni del combattimento ravvicinato, come avveniva nella guerra di trincea. Doveva trattarsi di un’arma individuale, di peso non eccessivo e in grado di sparare a raffica, finalizzata al combattimento su distanza ravvicinate non superiori a 200 metri, quanto più possibile semplice da costruire e calibrata per impiegare la cartuccia da 9 mm Parabellum. All’inizio, la Commissione aveva pensato di convertire le pistole semiautomatiche in uso, la Luger Artiglieria e la Mauser C96, in armi a raffica. Le due armi erano dotate di canne piuttosto lunghe (20 cm la Luger), di calciolo inserito nell’impugnatura e di caricatori abbastanza capaci (la Luger poteva montare il caricatore da 32 colpi “trommel magazine” ). Peraltro il meccanismo di queste semiautomatiche era poco adatto al tormento meccanico del funzionamento a raffica, senza considerare il fango e la sporcizia tipici della trincea. Inoltre la cadenza di tiro era troppo elevata in relazione al peso delle armi prese in esame rendendo molto difficile, per non dire impossibile, mantenere la mira sul bersaglio sparando a raffica. Basandosi su queste esperienze, la Commissione ritenne che fosse necessario un tipo d’arma completamente nuovo. Due progettisti, Andreas Schwarzlose a Berlino e Hugo Schmeisser a Suhl impegnarono il loro talento nello sviluppo della nuova arma. Il prototipo di Schmeisser, appoggiato dalla Waffenfabrik Theodor Bergmann, presso cui il disegnatore lavorava, fu scelto dalla Commissione nel 1918. L’arma venne chiamata Maschinenpistole MP 18/I. Non risulta sia mai esistita una MP 18, non c’è una chiara spiegazione circa la cifra I che segue la denominazione. Esistono prove che prototipi dell’MP 18 furono testati al fronte fin dal 1916 (un rapporto britannico circa l’interrogatorio di un prigioniero fornisce la descrizione di un’arma che può solo essere una MP 18, o meglio un suo prototipo) anche se la produzione di serie iniziò tra la fine del 1917 e i primi del 1918, quando il Ministero della Guerra ordinò 50.000 MP 18.I, da realizzarsi presso la Waffenfabrik Theodor Bergmann. Nei piani del ministero vi era di inserire in ogni compagnia di fanteria sei sezioni di pistole mitragliatrici, ogni sezione era formata da un tiratore che trasportava l’arma e da alcuni militari addetti al trasporto delle munizioni costituite da una dotazione di base di 2500 colpi, costituta sia da caricatori già riempiti che da scatole di cartucce di riserva. Alla data dell’11 novembre 1918, Giorno dell’Armistizio, poco meno di 3000 MP 18.I (alcuni autori sostengono un numero superiore attorno ai 10.000 pezzi) erano entrate in servizio con i reparti di prima linea, ciò nonostante l’efficacia dell’arma impressionò notevolmente gli Alleati, che inclusero tra le clausole armistiziali il divieto, per la Germania, di fabbricare e sviluppare nuovi modelli di pistola mitragliatrice. La Waffenfabrik Bergmann continuò comunque la produzione dell’ama fino al 1920, in violazione del divieto per un totale di 35.000 – 40.000 pezzi. Dopo la cessazione della produzione la Waffenfabrik Bergmann cedette la licenza di fabbricazione ad una azienda svizzera, la SIG (Schweitzerische Industrie-Gesellschaft), di Neuhausen. La MP 18.I continuò, a partire dal 1920, ad essere prodotta in quantità rilevanti dalla SIG per conto di numerosi acquirenti stranieri, tra cui la Cina, il Giappone e la Finlandia. Con numerosi espedienti, come la produzione o lo sviluppo di nuovi modelli presso aziende straniere, i tecnici tedeschi si mantennero all’avanguardia nella tecnologia e nello sviluppo delle pistole mitragliatrici, primato che mantennero fino alla Seconda Guerra Mondiale.
Esame dell’arma
La MP 18.1 iniziò a tracciare quel cammino di semplificazione delle armi, che avrebbe trovato durante la Seconda Guerra Mondiale le applicazioni più estreme; l’arma, calcolando anche il caricatore (ma escludendo le viti), contava soltanto 34 pezzi. In linea con la produzione d’armi dell’epoca era realizzata in modo eccellente, con accurate lavorazioni per fresatura dal pieno; il livello di lavorazione e finitura era paragonabile ad armi commerciali. Il mezzo calcio in noce riprende la forma della calciatura del Gewehr 98 e serve da supporto alla parte posteriore della culatta cilindrica. La parte anteriore è bucherellata, agendo così da camicia di ventilazione della canna e impedendo alla mano di venire a contatto con la stessa, quando arroventata dal tiro. Dietro alla camiciatura della canna (circa a metà del tubo di culatta), troviamo il bocchettone del caricatore, che consente l’inserimento ed il fissaggio del serbatoio, sul lato sinistro; sul lato opposto troviamo la finestra per l’eiezione dei bossoli esplosi. L’otturatore, il cui peso si aggira sui 700 grammi, si muove nella culatta, dietro alla canna di 195 mm, circondata dalla camicia di raffreddamento bucherellata. Sull’otturatore è montato l’estrattore, caricato a molla, e una appendice ricurva, che funge da manetta d’armamento, che scorre in una fessura posta sul lato destro della culatta, la manetta segue l’otturatore nel suo moto. La fessura in cui scorre la manetta d’armamento presenta, nella sua porzione posteriore, un intaglio in cui si può inserire la manetta stessa per bloccare l’otturatore (tale blocco funge da sicurezza ausiliaria). La molla di recupero è inserita anteriormente nella estensione posteriore, cava, del percussore ed è avvolta su un’asticella fissata al tappo di culatta, che funge da guidamolla. Il percussore con la sua porzione posteriore cava era inserita nell’otturatore, cui trasmetteva il moto anterogrado della molla di recupero. L’espulsore è fissato solidamente nella parte interna della culatta e scorre in un’apposita fessura dell’otturatore attraverso la quale arriva a colpire il bossolo spento trattenuto dall’estrattore, proiettandolo fuori dall’arma. Sul lato sinistro della culatta, dietro il bocchettone del caricatore, troviamo la sicura ordinaria costituita da un dispositivo analogo a quello presente sui fucili modello 1898. I congegni di mira sono costituiti da un alzo a fogliette, tarate per il tiro a 100 e 200 metri, montato su uno zoccolo solidale con la culatta e un mirino posto anteriormente sulla camicia bucherellata della canna. Il gruppo di scatto è fissato all’interno del calcio, la culatta bascula facendo perno con un apposito aggancio posto nella porzione anteriore della calciatura. La culatta è mantenuta solidamente unita alla calciatura da un pulsante di blocco a molla, premendo questo pezzo si libera la culatta che può quindi basculare in avanti; il tappo di culatta può a tal punto essere svitato liberando il complesso molla di recupero, percussore e otturatore. A tal punto si è effettuato lo smontaggio da campagna. Lo smontaggio della canna è più complesso e richiede un attrezzo da inserire nel disco forato che circonda la volata, agendo su tale attrezzo è possibile svitare la canna dalla camicia bucherellata. Il peso dell’arma, priva di caricatore, è piuttosto rilevante: 4180 gr, ma è il prezzo da pagare alla realizzazione di un’arma massiccia e robusta. Nella prima versione messa in campo, la MP 18.I, era equipaggiata con un caricatore a ”chiocciola” da 32 colpi, del modello realizzato da Tatarek e Von Benko per l’impiego sulla Luger Artiglieria, che era inserito in un bocchettone particolare il quale presentava un angolo posteriore di circa sessanta gradi al fine di assicurare la presentazione della cartuccia all’otturatore con un angolo di alimentazione ottimale. La produzione postbellica della MP 18.I impiegò un caricatore prismatico disegnato da Schmeisser, capace di 20 colpi e con presentazione alternata del proiettile; le armi vennero di conseguenza modificate con la sostituzione del bocchettone d’alimentazione, non più angolato e con una bocca più larga. I caricatori da 20 colpi e i bocchettoni relativi erano prodotti dalla G.C.Haenel di Suhl. E’ interessante notare che Hugo Schmeisser aveva originariamente disegnato la MP 18.I per essere utilizzata con caricatori prismatici a presentazione alternata; modificò il disegno originale per adattare l’arma all’impiego dei caricatori a “chiocciola” in seguito alle pressioni della Commissione di Prova che si era intestardita sull’impiego di questo complesso e tutt’altro che pratico dispositivo.
Funzionamento
La MP 18.I, spara ad otturatore aperto il che significa che prima di sparare l’otturatore è fissato nella posizione arretrata dal dente di scatto, contro la spinta della molla di recupero. Quando il grilletto viene premuto il dente di scatto libera l’otturatore che viene spinto in avanti dalla forza della molla di recupero. La punta del percussore è spinta fuori della faccia anteriore dell’otturatore. Nella sua corsa in avanti l’otturatore sfila la prima cartuccia dal caricatore e la spinge nella camera di scoppio; a chiusura della camera assicurata il percussore percuote l’innesco determinando la detonazione della carica di lancio. L’espansione dei gas di scoppio determina contemporaneamente la progressione del proiettile lungo la canna e la spinta all’indietro dell’otturatore, contro la resistenza della molla di recupero. La differenza di massa tra proiettile e otturatore fa si che l’otturatore muova più lentamente del proiettile tanto che quando quest’ultimo ha abbandonato la canna l’otturatore non ha ancora estratto il bossolo dalla camera di cartuccia. L’otturatore procede nella sua corsa retrograda estraendo ed espellendo il bossolo spento sulla destra, attraverso la finestra d’espulsione, fino a raggiungere il punto più arretrato della sua corsa. A questo punto, se il grilletto rimane premuto, l’otturatore muove in avanti sotto la spinta della molla di recupero, rinnovando il ciclo di fuoco. Non esistono dispositivi per il fuoco semiautomatico.
Conclusioni
Sebbene, sotto il profilo strettamente tecnico, la MP 18 non sia stata in assoluto la prima pistola mitragliatrice essendo stata preceduta dalla italiana Villar Perosa modello 1915 in calibro 9 mm Glisenti, resta certamente la prima arma di questo tipo nella moderna concezione del termine. L’arma italiana era infatti formata da una coppia di pistole mitragliatrici strutturalmente unite e dotate di un pesante scudo di protezione, il tutto a palese detrimento di leggerezza, maneggevolezza e mobilità. Solo in seguito a successive esperienze, anche condotte dal nemico con esemplari di Villar Perosa catturate, si arrivò al Beretta Modello 1918 costituito da un’arma singola, montata su una calciatura da moschetto e rispondente alle caratteristiche tipiche della pistola mitragliatrice. La Mp 18.I prestò servizio nelle fasi finali della Grande Guerra, ed in particolare all’offensiva chiamata Kaiserschlacht. Dopo la fine della guerra l’arma restò in dotazione solo alle forze di polizia tedesca, in ossequio alle clausole armistiziali. Pare che alcune armi siano state impiegate anche nella Seconda Guerra Mondiale, in particolare da parte delle Waffen SS che spesso erano armate con armi di seconda linea o catturate al nemico. La MP 18.I ha rappresentato l’inizio di una nuova era sia tecnologica che tattica, all’epoca della sua introduzione rappresentava il massimo della tecnica armiera. Lo schema di base dell’arma è rimasto in uso per oltre 70 anni.
Dati tecnici
Funzionamento: a massa battente, con ciclo di fuoco che inizia ad otturatore aperto Calibro: 9 mm. Parabellum Lunghezza: 832 mm. Lunghezza canna: 200 mm. Rigatura: 6 righe destrorse Peso a vuoto: 4.180 gr. Organi di mira: mirino a lama sul copricanna, alzo a fogliette tarate a 100 e 200 metri Caricatore: 32 colpi con “trommel magazine”. Dopo la guerra caricatore prismatico da 20 colpi Cadenza di tiro: 500 colpi/minuto Velocità iniziale: 380 m/s
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