Posts written by lancieri novara 5

view post Posted: 7/4/2020, 15:02 Browning - Armi da fuoco straniere
Ne prendo atto...non sono un esperto di lavori manuali...certo che lasciare un bel pezzo come la HP 35 di Cigno in quelle condizioni mi pare un delitto...un restauro "corservativo" mi pare la via giusta senza arrivare ai reduilt tanto giustamente stigmatizzati da kanister.

un caro saluto giacomo
view post Posted: 7/4/2020, 14:22 Browning - Armi da fuoco straniere
Ma l'elettrolisi proprio no? eppure ne dicono un gran bene...

view post Posted: 7/4/2020, 13:21 Browning - Armi da fuoco straniere
E figurati se me la prendo...condivido con te la maggior parte delle affermazioni...tempo fa ho visto un video di restiling di una Webley 38 che avrebbe richiesto la pena capitale...nulla di meno.
Tra l'altro ho fatto un po' di confusione con l'immissione delle immagini. Di fatto volevo fornire all'amico possessore dell'HP un tutorial per lo smontaggio e la ristruturazione. Cum granu salis.
Ovviamente. Trovo peraltro l'impiego dell'elettrolisi particolarmente interessante per sbarazzarsi di sporcizia e ruggine. io non ne ho pratica, ma le immagini mi paiono promettenti. Purtroppo l'oggetto della nostra cupidigia peggiora giorno per giorno e prendere un'occhiata di come restaurare in modo assennato le armi ormai molto stagionate e spesso in cattiva conservazione può avere un senso.

Un tutorial per smontaggio dell'HP

view post Posted: 7/4/2020, 13:00 Browning - Armi da fuoco straniere
Allora...il restauro al 100% come mostrato dai video con gusto yankee è discutibile. Le armi hanno un loro significato per la patina che porta con sè il senso della storia.
Una via corretta potrebbe essere uno smontaggio con rimozione della ruggine e delle ossidazioni e un montaggio senza bruniture. Và anche detto che portare al nuovo un'arma storica è sbagliato..ma anche lasciar scadere un bel pezzo non ha senso.
Mi sono limitato ad indicare un paio di video sul recupero di armi inguardabili...riportate alla vita..magari troppo brand new..ma neanche pescate dalla scatola dei pezzi da rottamare.
Complessivamente ho sempre mostrato grande rispetto per la patina storica.
A tal proposito vorrei ricordare un vecchio post su una HP 35 da me vista e desiderata in Kosovo la scherzosa immagine delle stalking cui ho sottoposto altri militari per poter carpire immagini delle loro armi.
Cordiali saluti giacomo

https://miles.forumcommunity.net/?t=32215616

Schieramento_KFOR_a_Decane__12__1
view post Posted: 7/4/2020, 11:28 Browning - Armi da fuoco straniere
Un'arma così intrinsecamente bella e che ha servito in vari eserciti sia durante la seconda guerra mondiale che dopo merita di essere rimessa in condizioni buone. Io non sono in gamba con i lavori manuali, mi permetto di indicarti alcuni tutorial pubblicati su youtube e che, se si è in grado di fare un lavoro di ottima qualità, possono riportare l'arma a eccellenti condizioni.

view post Posted: 6/4/2020, 15:37 Le Navi Ospedale Oggi - I Mezzi di supeficie e subacquei
USNS_Comfort_Statue_of_Liberty

Il preparare il libro sulla nave ospedale Arno mi ha portato ad una conoscenza piuttosto ampia dell'evoluzione del ruolo operativo delle navi ospedale. Concludevo il capitolo relativo alla storia delle navi ospedale sostenendo che gli enormi costi di gestione di una moderna struttura ospedaliera dotata di tutti i più moderni ritrovati in campo di tecnica sanitaria e il mantenimento del personale superspecializzato in grado di gestirle erano un lusso irraggiungibile per nazioni di medio rango e, in effetti, solo Cina e USA si possono permettere navi di questo tipo che svolgono anche un ruolo di propaganda sanitaria con campagne in aree geografiche a scarso sviluppo sanitario con il doppio scopo di aiutare e, più subdolamente, di costituire un polo di attrazione del consenso da parte delle popolazioni impiegate.
Come sempre la Storia, che pure si ripete, pone innanzi scenari nuovi e impensati che possono trovare risposta in soluzioni che apparivano superate.
Recentemente a Genova è stata impiegata come nave ospedale un traghetto rapidamente convertito per accogliere pazienti a bassa intensità, ma bisognevoli di un isolamento sanitario. Tale soluzione appare particolarmente indovinata e consente di somministrare cure adeguate e sorveglianza clinica ad una platea di pazienti o sospetti in quarantena che sarebbero altrimenti inseriti in strutture abitative di cui è lecito dubitare dell'isolamento.
Il tipo di nave individuata, la sua modularità e l'individuazione di un ristretto, ma ben definito campo di applicazione ne consente un uso ottimale che andrebbe, a mio avviso, esteso a tutte le città di mare rimuovendo contagiati asintomatici o paucisintomatici dal contesto abitativo ove potrebbero costituire un serbatoio di propagazione.
Gli stati uniti hanno messo in campo la Mercy e la Confort riservandole peraltro a luoghi di trattamento di pazienti non Covid 19 positivi.
Di fatto la pandemia attuale ha per certi versi sdoganato e reso nuovamente attuale un mezzo di soccorso sanitario apparentemente obsoleto.
Nel ripensare ad un dopo che rivolga un occhio di riguardo alla gestione delle emergenze potrebbe avere senso mantenere aliquote di materiali idonei alla conversioni di alcune navi crociera o traghetti al fine di poter disporre in pochi giorni di un significativo supporto ad aree colpite da un evento catastrofico.

Un caro saluto giacomo

GNV_splendid2016



Il Traghetto Splendid in porto a Genova come Nave Ospedale Covid 19
view post Posted: 6/4/2020, 11:10 Vesely SMG - Armi da fuoco straniere
Carissimo Gianluigi, ti ringrazio per l'accoglienza, questo nuovo rientro spero sia più duraturo avendo raggiunto il completamento dell'opera che avevo in gestazione.
Alcune considerazioni. La Gran Bretagna, e con essa buona parte dei paesi europei non avevano appreso le lezioni delle ultime fasi della Grande Guerra e di quella di Spagna. Il problema centrale di molti progettisti è di fornire una alimentazione adeguata ad armi che erano descritte come pozzi senza fondo che inghiottivano pallottole. L'arma di Vesely presenta molte analogie con altri progetti realizzati a Brno come la ZK 383, arma eccellente, ma dotata di una serie inutile di accessori che ne snaturano le due caratteristiche principali: maneggevolezza e peso contenuto. Anche la capacità di modificare la cadenza di tiro appare la soluzione ad un problema che non esiste. Il caricatore a doppia capienza di Vesely costituisce la parte più delicata (e la prova col fango ce lo mostra) e la più debole, forse il progettista era stato influenzato dal caricatore da 50 colpi del Lanchester imbarazzante come peso e ingombro. Nel ripesare tra i vecchi file ho pescato un articolo sul ZK 383 di cui mi permetto di allegare copia. Arma ben finita e affidabile era nata vecchia..usata dalle Waffen SS e dai bulgari venne apprezzata, ma non costituì mai un esempio da imitare.



CECOSLOVACCHIA_ZK383B__9__0



P.M. Cecoslovacca ZK 383

Articolo di Jirì Fencl pubblicato su TAC Armi ottobre 1991

L’impiego della pistola mitragliatrice si è diffuso enormemente dopo la seconda guerra mondiale; prima di allora le gerarchie militari non le avevano dedicato molta attenzione, né avevano riposto grande fiducia in questo tipo d’arma. La p.m., secondo l’opinione corrente degli esperti militari e civili di allora, era giusto adatta ai gangster o alla polizia e fu solo all’inizio degli anni ’40 che iniziò gradualmente ad essere utilizzata per l’equipaggiamento degli eserciti.
L’esercito cecoslovacco adottò la prima p.m. il giorno 20 settembre 1938; fu denominata “Pistola mitragliatrice mod.38” e si supponeva che facesse parte della dotazione della guardia di frontiera. Tale evento coincise però con l’annessione della Cecoslovacchia da parte della Germania e quindi la produzione in serie dell’arma fu praticamente stroncata sul nascere.
Un’altra p.m. concepita prima della guerra, la ZK 383”, non fu mai adottata ufficialmente dall’esercito cecoslovacco; tuttavia proprio quest’arma ebbe una certa notorietà e fu anche venduta all’estero. Venne disegnata dai fratelli Josef e Frantisek Koutsky e prodotta, a partire dal 1938, dalla Zbrojovka di Brno. Già prima dell’inizio della guerra furono sviluppate diverse versioni dell’arma, che venne camerata anche per calibri diversi (9 mm Parabellum, 9 mm Steyr, 45 ACP). L’arma entrò in produzione in due versioni:
- “ZK 383”, il modello base disegnato per la fanteria, con canna intercambiabile, bipiede e manicotto forato per la protezione della canna;
- -“ZK 383/P”, con canna fissa priva di manicotto e di bipiede, destinata agli equipaggi dei carri armati e alla polizia (è nota comunemente proprio come modello per la polizia).
La versione standard è composta da quattro sottoinsiemi: la canna e la carcassa; la calciatura con il ponticello del grilletto; il meccanismo di otturazione; il bipiede.
La canna è unita alla carcassa con un incastro a baionetta; tale sistema di accoppiamento assicura al tempo stesso una buona precisione e la possibilità di smontare la canna rapidamente senza utensili.
La carcassa ha forma cilindrica. La parte anteriore accoglie al suo interno la canna, proteggendo la mano del tiratore dal calore che si sviluppa; è stata opportunamente forata, in modo che possa circolare indispensabile al raffreddamento dell’arma. Il bocchettone del caricatore è collocato sul lato sinistro della carcassa, mentre la finestra d’espulsione è ricavata su quello opposto. Sempre sul lato sinistro della carcassa, nella sua parte posteriore, è presente una lunga fessura per lo scorrimento della manetta d’armamento. Sulla parte superiore è presente la tacca di mira (ribaltabile), mentre su quella inferiore si nota la presenza dell’astina di legno, che favorisce la presa dell’arma durante la fase di sparo. La carcassa è unita con un perno al gruppo di scatto, a cui è fissata la calciatura. Sul lato sinistro del gruppo di scatto è presente la leva per la selezione della modalità di tiro: ruotata in avanti l’arma spara a raffica, ruotata indietro spara a colpo singolo. Il congegno di sicurezza manuale blocca sia il grilletto che l’otturatore. E’ interessante notare che la molla di recupero è alloggiata all’interno del calcio di legno; essa è posta in relazione all’otturatore tramite una lunga asta di rinvio. Il calciolo metallico è ribaltabile e funge da coperchio per lo scomparto destinato ad alloggiare la bacchetta per la pulizia e un flacone per l’olio.
Il meccanismo di otturazione è alquanto semplice, essendo composto di sole cinque parti: il corpo dell’otturatore, la massa aggiuntiva, il percussore, l’estrattore e la manetta d’armamento. Il percussore è perfettamente coassiale al corpo dell’otturatore, mentre l’estrattore (comandato da una molla) è collocato sul lato destro e serve pure per bloccare in sito il percussore. La manetta d’armamento è fissata alla parte posteriore del corpo dell’otturatore.
Il bipiede serve come supporto per la p.m. durante il tiro quando l’utente è in posizione coricata, nel caso ad esempio che l’arma sia impegnata come una mitragliatrice leggera. Il bipiede si accoppia alla carcassa tramite un giunto a sfera, in modo che sostenga sì l’arma ma consenta di spostarla liberamente in fase di puntamento. La p.m. “ZK 383” fu costruita con due diversi tipi di tacca di mira: una ribaltabile analoga a quella del fucile Mauser K98, e una diottra, più adatta più adatta al tiro di precisione grazie anche alla maggior lunghezza della linea di mira (520 mm).
Il modello per la polizia differiva per alcuni dettagli: la canna era saldamente avvitata alla carcassa e non presentava il manicotto forato di protezione. Non era presente nemmeno il bipiede e, di conseguenza, la relativa sede nell’astina per accoglierlo in posizione ripiegata.
Il funzionamento dell’arma è basato sul principio del rinculo; la chiusura, labile, è determinata dalla massa dell’otturatore. La “ZK 383” si distingue però per la possibilità di variare tale valore inserendo o togliendo una massa aggiuntiva all’interno dell’otturatore. In sua presenza si ha una cadenza di tiro di 500 colpi al minuto, mentre senza massa aggiuntiva la cadenza sale a 700 colpi al minuto. Riassumiamo brevemente la sequenza del ciclo di sparo, il cui inizio è ad otturatore aperto. La pressione sul grilletto provoca l’abbassamento del dente di aggancio con conseguente avanzamento della massa battente per effetto della distensione della molla di recupero. Nella sua corsa in avanti, la massa battente sfila la prima cartuccia del caricatore, la camera, e quindi il percussore ne colpisce la capsula d’innesco, con conseguente esplosione del colpo. La pressione del bossolo sulla testa dell’otturatore (o massa battente) ne provoca il rinculo e la compressione della molla di recupero. In questa fase avvengono l’estrazione e l’espulsione del bossolo sparato. Da notare che la massa battente raggiunge la posizione di massimo arretramento, avanza per un certo tratto in avanti, e, nel tiro a colpo singolo viene agganciata dal dente di scatto.
La p.m. “ZK 383” era corredata da numerosi accessori: dieci caricatori, la bacchetta per la pulizia, la cinghia per il trasporto, il flaconcino per l’olio, due giberne per i caricatori, il fodero, una canna di riserva con relativa custodia. I caricatori sono del tipo prismatico bifilare; realizzati in lamiera d’acciaio la loro capacità è di 25 o 30 cartucce a seconda del calibro. La bacchetta di pulizia (in acciaio) è alloggiata nel calcio, mentre il flaconcino in lamiera contiene 0,01 litri d’olio. Uno scovolo in crine di cavallo si avvita al tappo del flaconcino, in modo da utilizzarlo come impugnatura; lo scovolo poteva però essere avvitato anche alla bacchetta. La cinghia di trasporto è uguale a quella del fucile Mauser K98; si aggancia all’arma per mezzo di due magliette ad anello. Sia le giberne che la custodia sono in tela impermeabilizzata e bordata di cuoi; ogni giberna contiene cinque caricatori. Infine il contenitore per la canna di riserva è in lamierino di metallo.
La p.m. “ZK 383” fu realizzata con gran cura, utilizzando i materiali più avanzati per l’epoca; tale livello di qualità incise sensibilmente sui costi di produzione. L’arma tuttavia garantiva un’assoluta intercambiabilità delle parti (grazie all’accurata lavorazione) e un buon funzionamento anche in condizioni disagevoli. Il progetto prevedeva certi accorgimenti, quali ad esempio un sistema di ritenzione delle parti più piccole in fase di smontaggio per evitare di perderle, o l’impossibilità di assemblare l’arma in modo sbagliato; inoltre l’uso e la manutenzione erano semplificati al massimo. D’altro canto, la “ZK 383” riflette le contraddizioni dell’epoca sulla teoria d’impiego della pistola mitragliatrice: la presenza del bipiede e la possibilità di sostituire rapidamente la canna ad esempio sono tipiche della mitragliatrice, a cui la p.m. si sostituì nel tiro a brevi distanze. Nel corso della seconda guerra mondiale si definì meglio il ruolo proprio della p.m., ma al termine del conflitto i parametri di valutazione mutarono nuovamente. Con i nuovi criteri la “ZK 383” divenne superata proprio a causa dell’eccessiva complessità richiesta per la sua realizzazione: i costi di produzione erano eccessivi a fronte di una qualità del prodotto che per certi versi risultava esuberante rispetto alle reali necessità.
All’inizio della guerra la p.m. fu offerta sui mercati esteri. Fu esportata in Bulgaria, ove rimase in uso presso certe unità fino al 1960. Dopo il conflitto giacevano presso il costruttore circa 20.000 esemplari di p.m. pronti per essere assemblati: di questi la maggior parte fu inviata in Sud America (Venezuela e Brasile). Sempre dopo la guerra divenne d’attualità il problema dell’adozione di una p.m. per l’esercito cecoslovacco. Fu presa in considerazione l’ipotesi di rimettere in produzione la “ZK 383”, ma dopo una lunga riflessione si preferì accantonare quest’arma che, seppure tecnicamente perfetta risultava troppo costosa da produrre. Dopo ulteriori ripensamenti e prove valutative da parte dell’esercito cecoslovacco, furono scartate anche altre armi derivate da questa p.m., come il modello camerato in 7,62 Tokarev che adottava il caricatore della p.m. russa PPSh, o la versione semplificata “ZK 383 H” dotata di bocchettone del caricatore posto inferiormente e ribaltabile in avanti.
Dopo anni di accanita competizione fu adottata una nuova e moderna p.m., nota come “Modello 23/25”, disegnata da Jaroslav Holecek e realizzate dalla Zbrojovka di Strakonice. Per inciso, tale arma vantava già la caratteristica della “massa avanti”, ossia la massa battente avvolgeva telescopicamente la canna, dando vita ad un’arma particolarmente compatta.
Per concludere si può affermare che i vertici dell’esercito cecoslovacco preferirono affiancare alla già collaudata p.m. “Mod.38” prodotto dalla Zbrojovka di Strakonice un progetto nuovo e originale, quello della “ZK 383” prodotta dalla Zbrojovka di Brno. Le due industrie entrarono quindi in competizione e – come spesso accade – proprio grazie a questo tipo di gara nacque un prodotto di assoluta qualità.




Scheda tecnica

Fabbricante: Zrojovka di Brno
Modello: pistola mitragliatrice “ZK 383”
Calibro: 9 mm Parabellum (anche 9 mm Steyr e 45 ACP)
Funzionamento: chiusura a massa; inizio del ciclo di sparo ad otturatore aperto
Tiro: a colpo singolo o a raffica con selettore di tiro
Cadenza di tiro: 550 colpi al minuto con massa aggiuntiva, 700 colpi al minuto senza massa aggiuntiva
Canna: lunga 325 mm; sei rigature con passo di 400 mm
Sistema di percussione: diretto, a mezzo di percussore solidale alla massa battente
Alimentazione: caricatore prismatico amovibile bifilare; capacità di 30 colpi
Lunghezza della linea di mira: 378 mm (520 con diottra)
Peso (arma scarica): 4,46 kg (ZK 383); 4,11 kg (ZK 383/P)
Lunghezza totale dell’arma: 875 mm

cz_383_bulgarian_service


Militari Bulgari con ZK 383

Un caro saluto giacomo
view post Posted: 5/4/2020, 16:02 Vesely SMG - Armi da fuoco straniere
20191227-110514

La forzata permanenza a casa mi ha consentito di ultimare il libro su nave Arno…lasciando spazio al ritorno ad antichi e tutt’altro che sopiti amori.
Oggetto di queste note è una pistola mitragliatrice davvero rara di cui, in vero, non avevo conoscenza. Durante un mio recente soggiorno in UK per trascorrere le vacanze di Natale con l’amato pargolo sono stato da lui accompagnato a visitare la sezione di Duxford dell’Imperial War Museum. Come dire il frutto non cade distante dall’albero e l’amato rampollo aveva da tempo promesso di accompagnarmi in questa visita che mi ha lasciato entusiasta per la quantità e qualità enorme di pezzi in esposizione. Aerei, corazzati, e una sezione dedicata ai giustamente rinomati paracadutisti britannici. Nel mare magnum di divise, trofei, equipaggiamenti e armi l’occhio è stato attirato da uno strano schioppo, chiedo venia in anticipo, inizialmente scambiato per quel catorcio del Smith&Wesson light rifle 1940, prevalentemente per la somiglianza nella foggia insolita del caricatore. Meglio osservando l’arma e studiandone le foto con calma mi sono reso conto che l’infelice progetto della S&W non c’entrava per nulla, ma mi trovavo di fronte ad un modello a me sconosciuto.
Il moschetto automatico è frutto della progettazione di un tecnico cecoslovacco di Brno, Josef Vesely, rifugiatosi in Gran Bretagna dopo l’invasione nazista che aveva sviluppato il mitra oggetto di queste note. L’arma, camerata per il 9 mm Parabellum, presentava un meccanismo a massa, un selettore per tiro a raffica e colpo singolo e la possibilità di intervenire sull’otturatore variando il rateo di tiro da 900 a 1000 colpi al minuto. Le mire erano tarate sulle distanze di 100, 200 e 300 yarde. Decisamente troppo elevata, probabilmente causa di un controllo modesto nel tiro a raffica e certamente motivo della vera peculiarità innovativa dell’arma: un caricatore capace di 60 colpi posti nel caricatore suddiviso in due colonne separate messe una davanti all’altra. La colonna anteriore porta 31 colpi, quella posteriore 29. Un particolare dispositivo blocca le cartucce nella colonna posteriore fino a che quelle poste anteriormente vengano attinte completamente per passare, al loro esaurimento, all’uso delle posteriori. Acquisiti i brevetti britannici l’arma venne sottoposta dall’ Ordnance Board a un ciclo di prove presso la Royal Small Arms Factory a Enfield nell’ottobre 1942. L’arma fallì il test con il fango, ma nel complesso funzionò bene, venne rifiutato essendo già disponibile il Lanchester. Il V-41 venne considerato un progetto promettente da tenere a mente per ulteriori sviluppi. In seguito la Royal Navy provò il modello successivo V-42 a bordo dell’ HMS Excellent, ma l’arma venne respinta per il rinculo eccessivo la cadenza di fuoco troppo elevata. Il V-43 avrebbe dovuto essere particolarmente dedicato per le truppe aviotrasportate (e questo ne spiega l’inserimento nella sezione dei Red Devil del museo di Duxford) ma l’arma non venne giudicata idonea all’uso perché la scomposizione in pezzi per essere facilmente trasportabile la rendeva fragile. In complesso vennero prodotti meno di una dozzina di pezzi nelle varie versioni. La ricerca di caricatori più capaci era stata una caratteristica di molta produzione dei mitra, a partire dai padelloni del Tommy gun. In complesso i magazzini a tamburo ad alta capacità seppero coniugare con un certo successo la necessità di autonomia di fuoco con l’ingombro (Thompson, Suomi, PpSh 41) mentre i caricatori ad astuccio non riuscirono in modo altrettanto soddisfacente a risolvere il problema (Suomi coffin magazine, Lanchester e adattatore MP 40). Il Velsey era un’arma, a mio avviso, troppo complicata per un uso campale, in particolare il paragone con lo Sten non poteva che essere perdente. L’arma di Sheperd e Turpin, lungi dall’essere un gioiello d’ingegneria era semplice e abbastanza affidabile, facile da pulire e da manutenere.

Vedi www.forgottenweapons.com/submachine-guns/vesely-v-42/

Calibro 9×19mm Parabellum
Lunghezza 85 centimetri
Canna 26 centimetri
Caricatore da 60 colpi amovibile
Rateo di tiro 900 – 1000 colpi/min

un caro saluto giacomo
view post Posted: 14/9/2019, 15:46 Sommergibili e "Missionari - LE FORMAZIONI PARTIGIANE
Caro Gian
come ho premesso la mia osservazione era limitata a due casi ben precisi avvenuti alla foce di Piave....e anche volendo ci sarebbe da discutere anche su questi. La scelta del punto di sbarco era del tutto infelice sia per la già citata presenza di un fondale basso, ma anche per la forte presenza militare in tutta l'area. Come narra Furio Lazzarini nel suo libro "l'Amalfi racconta" da lui cortesemente donatomi, dopo l'8 settembre per timore di sbarchi anglo americani vennero riattivate le fortificazioni dell'area di Cavallino Treporti, pressochè in disuso dopo la Grande Guerra e vennero edificate fortificazioni e bunker su tutto il litorale da Punta Sabbioni a Cortellazzo. Cito testualmente: "Prioritariamente gli strateghi tedeschi decisero di concentrare i propri sforzi sulla difesa passiva, provvedendo ad erigere ostacoli e sbarramenti anticarro lungo le spiagge, coprendoli con il tiro di fiancheggiamento di mitragliatrici e cannoni posti in casematte. Gran parte degli arenili furono disseminati di mine anticarro e antiuomo.....Le strade principali, necessariamente lasciate praticabili, erano spesso interrotte da posti di blocco fortificati o costeggiate ad intervalli regolari, da postazioni con cannoni, mortai, mitragliatrici campi minati." Come dire..l'ideale per un gruppo di incursori..la zona di bocca di Piave era poi letteralmente disseminata di bunker disposti non soltanto sulla spiaggia, ma in profondità nell'interno.
Quindi anche la scelta di sbarcare lì una pattuglia di missionari era già un sabotaggio.
giacomo
view post Posted: 14/9/2019, 14:32 Sommergibili e "Missionari - LE FORMAZIONI PARTIGIANE
Carissimi,
Alcune osservazioni. Conosco in modo particolarmente accurato l'area Jesolo, Cortellazzo, foce di Piave e, limitatamente a tali obbiettivi, mi pare onesto ammettere che sbarcare a Jesolo anzichè a Cortellazzo alla foce del Piave poteva avere un senso. La pineta che si affaccia sul litorale e sulla foce di Piave è letteralmente infestata di bunker, di cui molti presenti tutt'oggi e da me visitati, era presidiata da truppe germaniche e della RSI, Jesolo poteva essere un diversivo o un errore di rotta "accettabile", il fondale inoltre in zona è minimo e il sommergibile avrà dovuto emergere e sbarcare gli incursori molto distante dalla costa obbligandoli ad una lunga vogata sul canotto. a rischio di scoperta.
Tali osservazioni, dovute alla conoscenza del sito, non inficiano minimamente i ragionamenti fatti sopra, cercano solo di chiarire e circoscrivere l'errore fatto nell'atterraggio.
Concordo pienamente con kanister circa lo scopo della ricerca effettuata da laici, ma basata sul metodo storico, acquisizione dei testi, valutazione, interrogativi e ricerca di risposte...la borraccia può aspettare...o per dirla con Giovannino Mosca "Per un'oliva pallida si può delirare"
ma non per una tonalità di verde oliva...

Un caro saluto giacomo
view post Posted: 11/9/2019, 14:47 Lanciarazzi - Armi da fuoco straniere
Ho recuperato su wikipedia un paio di foto del Bunderarchive che mostrano la pistola in oggetto, la seconda con stampella nella sua funzione "lanciagranate" mi pare fossero quelle pubblicate a suo tempo su diana Armi

Bundesarchiv-Bild-101-I-732-0123-13-Russland-Soldat-der-Div-G




Bundesarchiv-Bild-101-I-698-0038-25-A-Russland-Waffenvorf-hrung



Un caro saluto giacomo
view post Posted: 10/9/2019, 14:21 Lanciarazzi - Armi da fuoco straniere
Mi pare in eccellente stato la tua Walther Heeres-Leuchtpistole. Davvero bella!!
Derivata dalla modello '34 aveva fusto in alluminio e guancette in backelite allo scopo di alleggerire il tutto. Per risparmiare l'alluminio, materiale strategico per le costruzioni aeree venne realizzata in acciaio. Oltre alle comuni cartucce da segnalazione era in grado di sparare una granata di opportuno diametro. Mi pare di ricordare un articolo di Diana Armi, lontano nel tempo e ormai finito chissà dove, in cui erano mostrate queste lanciarazzi con una sorta di impugnatura da spalla fissata nel foro visibile nella porzione postero superiore del castello impiegate da militari germanici in atto di sparare. In seguito la Walther realizzò una lanciarazzi la Leuchpistole 42 (LP42), molto più economica da realizzare in quanto costruita in lamiera stampata e saldata, efficace ed economica era certo infinitamente meno costosa della tua bella lanciarazzi.
Un caro saluto giacomo
view post Posted: 22/2/2019, 17:04 LA GATTINA DI FINO - Armi da fuoco straniere
Ho letto con vivo interesse la disavventura amorosa dell'eroe dei due mondi, molto ben narrata e, come tutte le notizie escluse dalla storiografia ufficiale, dissepolta dalla coltre di omertà con cui era stata avvolta. Gran temperamento la pulzella..o meglio..già spulzellata..e tutto sommato storia antica come il mondo se non fosse capitata al nostro eroe nazionale...grazie ancora della gradita lettura.
giacomo
view post Posted: 17/12/2018, 19:16 Beretta 35 - 1944 - Le Pistole Beretta
Bellissima pistola, con buone finiture nonostante l'anno di fabbricazione. Ho visto delle 4 Ufficio Tecnico che portavano tracce di lavorazione che definire pesanti è un eufemismo. Ho solo il dubbio che l'arma sia stata ribrunita come mostra la sbrunitura del lamierino delle guancette e l'oscuramento del riferimento della sicura. Peccato veniale peraltro...anche se il lavoro poteva essere fatto meglio.
Complimenti arma bella e sana...la Beretta resta sempre un cult..

un caro saluto giacomo
view post Posted: 27/10/2018, 15:38 IL GRANDE UNO ROSSO di Samuel Fuller - Cineforum
Mi pare di ricordare che in un interessante film girato nel 1959 da tedeschi ci fossero un gruppo di giovani della gioventù hitleriana che affronta per difendere un ponte un reparto americano. Nel combattimento impiegano panzerfast e i fucili, se cecchinino o meno sinceramente non lo ricordo. Il ponte (Die Brücke) diretto da Bernhard Wicki. A mente direi che ce ne sono altri...ma sono al momento privo della mia cassaforte da 2 tera con i film di guerra.

Un saluto giacomo
1542 replies since 16/8/2009