La guerra Italo-Jugoslava del 1953.

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carpu65
view post Posted on 30/6/2014, 16:37 by: carpu65




Un breve riassunto dei fatti:
CITAZIONE
1953.
La seconda guerra mondiale era finita da appena 8 anni, l'Italia era impegnata nella ricostruzione dopo la rovina, ma la minaccia di un nuovo conflitto aleggiava sulla Penisola spirando dal confine orientale, che in quel momento era tutt'altro che definito.
Alla fine di aprile 1945, con il cedimento della linea gotica e la fine della resistenza delle truppe germaniche in Italia, gli armati di Tito dilagarono in Istria, Venezia Giulia e Friuli, raggiunsero Trieste precedendo la divisione neozelandese del generale Freyberg.
In base a successivi accordi venne adottata la famosa «linea Morgan» che definiva una «zona A» (Trieste, Gorizia, Pola e la fascia confinaria fino a Tarvisio) affidata al controllo degli Alleati e una «Zona B» (Fiume, Istria, isole del Quarnaro) assegnata alla Jugoslavia.
Quando, nel 1947, il Friuli, Monfalcone e mezza città di Gorizia furono restituite all'Italia, Trieste, definita Territorio Libero (Tlt), rimase sotto amministrazione alleata:quindi non jugoslava, ma nemmeno italiana.
Ci fu poi il drammatico esodo degli istriani da Istria e Dalmazia, regalate alla Jugoslavia e, nel 1948, la rottura fra Tito e Stalin, che ebbe un effetto negativo per l'Italia.
Gli Alleati, infatti, nell'illusione di guadagnarsene l'amicizia, offrirono a Belgrado aiuti economici e militari, di conseguenza non si parlò più del ritorno di Trieste all'Italia, che in precedenza era sembrato sul punto di essere accettato.
Tito però non aveva rinunciato alla città giuliana: dallo spostamento arbitrario dei picchetti confinari all'invio di infiltrati, all'ammassamento di truppe alla frontiera, alla diffusione di minacciosi proclami:la pressione intimidatoria era continua e opprimente.
La cattura di 5 agenti della polizia civile triestina provocò l'immediata reazione del Dipartimento di Stato e quando Tito si azzardò a emanare un ultimatum, che imponeva l'allontanamento della guarnigione alleata da Trieste, fu lo stesso presidente Harry Truman a intervenire, assicurando che in caso di occupazione jugoslava della città ne avrebbe ordinato alla flotta il bombardamento.
L'atteggiamento provocatorio di Tito sortì un effetto positivo per l'Italia: Truman, che fin allora aveva ravvisato nella Jugoslavia di Tito un avamposto utile alla Nato in funzione antisovietica, cambiò radicalmente opinione e si convinse che Trieste doveva tornare all'Italia.

Questo l'antefatto ed il quadro della situazione.
Andiamo agli avvenimenti di quel 1953:

CITAZIONE
Quando, nell'ottobre 1953, gli angloamericani annunciarono il ritiro delle loro truppe dalla «Zona A» e l'insediamento dell'esercito italiano, Tito reagì dichiarando che l'arrivo alla frontiera dei soldati italiani era da considerare un'aggressione, alla quale avrebbe risposto ordinando l'occupazione di Trieste.
Nell'agosto di quell'anno, Giuseppe Pella aveva sostituito Alcide De Gasperi alla guida del governo, Paolo Emilio Taviani reggeva il dicastero della Difesa, il generale Efisio Marras era capo di Stato Maggiore Difesa.
Venne ordinata la mobilitazione di 13.000 riservisti; il V Corpo d'armata di Padova schierò reparti a rinforzo dei presidi confinari; la divisione di fanteria Trieste ebbe l'ordine di pronti a muovere per occupare la «Zona A» del Tlt.
Gli ufficiali e i sottufficiali veterani del 1940-45 avvertivano ormai odor di guerra, anche se la maggior parte del popolo italiano ignorava che ai confini orientali i blindati del reggimento Genova Cavalleria prendevano posizione; che il 76° Reggimento fanteria, appoggiato dai cannoni del 155° Reggimento artiglieria, stava attivando le postazioni; che gli alpini dei battaglioni L'Aquila e Tolmezzo, i bersaglieri dell'8° Reggimento, i fanti di marina del San Marco erano in marcia e i paracadutisti del 183° Reggimento Nembo pronti al lancio.
Anche le divisioni Mantova e Cremona erano in movimento lungo la fascia confinaria, tra Tarvisio e Monfalcone; i fornelli di mina per le interruzioni stradali caricati; elementi destinati a operazioni clandestine si erano già infiltrati nel territorio controllato dalle truppe di Tito.
Per due volte truppe jugoslave sconfinarono, provocando la reazione italiana; per 4 volte tentativi di infiltrazione sono furono sventati da nostre pattuglie che hanno aperto il fuoco; per 10 volte aerei di Belgrado violarono lo spazio aereo nazionale, ma la guerra che ha sfiorato l'Italia tra la fine di agosto e la metà dicembre 1953 non deflagò.
Il 20 dicembre la crisi militare poteva dirsi esaurita.

in caso di ostilità aperta il dispositivo militare italiano era, a quel tempo, in grado di sostenere il confronto con le truppe di Tito?
L'opinione degli addetti militari statunitense e britannico di allora era positiva, anche se dal punto di vista numerico la forza jugoslava era maggiore e, in quanto a mezzi, Belgrado disponeva anche di un buon nerbo di carri armati M 47 Patton, forniti in dono dagli Usa, superiori agli Sherman e ai Chaffee in dotazione ai reparti carristi italiani.
Netta, invece, da parte italiana, la superiorità aerea: circa 200 velivoli da combattimento a getto, in gran parte F 84 Thunderjet, mentre la linea di volo jugoslava era ancora i n prevalenza costituita da macchine a elica residuati della II guerra mondiale, tipo P 47 Thunderbolt e S 49C Ikarus.
L'Italia poteva poi contare su una rispettabile componente navale che mancava a Tito e che consisteva in due incrociatori, tre cacciatorpediniere, oltre a naviglio minore.
C'è da osservare che nel corso del breve e fortunatamente incruento ciclo operativo ebbero modo di manifestarsi le mende croniche del dispositivo militare nazionale: mezzi obsoleti, scarsa mobilità per carenza di motorizzazione, gravi lacune nelle scorte, mancanza di coordinamento aeroterrestre.
Secondo punto: l'atteggiamento forte da parte del governo italiano era reso possibile perché il possente apparato del Partito Comunista, che si era sempre schierato a favore della Jugoslavia, tanto che tra il 1943 e il 1945 le formazioni partigiane comuniste italiane erano addirittura inquadrate nel IX Corpus di Tito, da quando la Jugoslavia aveva rotto con l'Unione Sovietica di Stalin aveva virato di 180 gradi.
Il segretario del Pc triestino, Vittorio Vidali, aveva addirittura creato un'organizzazione anti-Tito a favore di Mosca. Fattore decisivo: in quel momento l'Italia poteva contare sul sostegno pieno degli Stati Uniti.
Truman, che proprio nel 1953 lasciava la presidenza al generale Eisenhower, aveva manifestato la convinzione che Tito, con la sua arroganza, ben si meritasse una severa lezione e il suo successore era sostanzialmente dello stesso avviso.
Il governo italiano era quindi in una situazione favorevole sia all'interno.

CITAZIONE
Dopo le elezioni del 1953 e la liquidazione di De Gasperi, l' avvento del nuovo premier Pella diede subito il segnale di un brusco cambiamento di rotta.
Pochi giorni dopo aver ottenuto la fiducia in Parlamento, con i voti determinanti di monarchici e missini, Pella e il ministro della Difesa, Paolo Emilio Taviani, accelerarono la preparazione di una soluzione militare del problema Trieste. Il dossier riservatissimo che circolava tra i palazzi romani era intitolato: «Esigenza T».
Quella «T» stava, ovviamente, per Trieste.
L' offensiva fu attuata tanto sul piano politico-diplomatico quanto su quello militare. Sotto il primo profilo, Pella dichiarò chiaro e tondo che, in assenza di un impegno solenne degli Alleati a favore dell' italianità della Venezia Giulia, Roma non avrebbe ratificato il Trattato della Comunità europea di difesa, né avrebbe concesso alla Nato alcuna base militare sul proprio territorio nazionale.
La sera del 28 agosto 1953, Taviani convocò il Capo di Stato maggiore dell' esercito, generale Giuseppe Pizzorno, per predisporre a tappe ravvicinate un piano di occupazione a sorpresa della «zona A» del Territorio libero di Trieste. Le strategie militari di attacco vennero elaborate nei minimi dettagli: non si trattava soltanto di cogliere alla sprovvista la guarnigione alleata (forte di circa diecimila uomini), ma anche di prepararsi ad affrontare una prevedibile reazione jugoslava.
Ciò che accadde dalla fine di agosto al novembre del 1953 non furono semplici esercitazioni al confine orientale, sul modello di quelle che, nei decenni seguenti, si svolsero sotto l' egida della Nato.
Fu qualcosa di estremamente diverso. L' operazione «Delta» si configurava come un triplice attacco terrestre, aereo e marino fondato sull' azione «di sfondamento» della fanteria e dell' artiglieria. Il blitz sarebbe stato coperto da unità di combattimento scelte come il battaglione «San Marco», i paracadutisti, reparti di cavalleria blindata.
Dal mare e dal cielo, le forze terrestri sarebbero state sostenute da gruppi navali incentrati sulla forza d' impatto di un paio di incrociatori e di alcuni cacciatorpediniere, e da oltre duecento caccia.
La «fase calda» della crisi di Trieste iniziò gli ultimi giorni di agosto del ' 53.
Quando si verificò un movimento di truppe al confine orientale italiano, si comprese che la situazione avrebbe potuto rapidamente degenerare in un conflitto armato.
L' escalation di tensione continuò dopo che, l' 8 ottobre, Stati Uniti e Gran Bretagna annunciarono la disponibilità a ritirare le loro truppe dalla «zona A».
A quel punto, l' incognita maggiore dell' operazione «Delta» non era più rappresentata dalla possibile resistenza che gli Alleati avrebbero posto in essere all' entrata della fanteria italiana a Trieste.
Il vero fattore critico era costituito dal tipo di reazione contraria degli jugoslavi. Dopo la dichiarazione congiunta degli angloamericani, Tito affermò che considerava la mobilitazione degli apparati di difesa italiani alla stregua di prove tecniche di aggressione e che avrebbe contrastato militarmente lo sconfinamento delle forze armate tricolori nella zona di occupazione alleata.
Naturalmente, il maresciallo non conosceva la complessità minuziosa dell' operazione «Delta».
Le dichiarazioni belliciste di Tito, e il timore che il dittatore di Belgrado potesse essere indotto a compiere un «colpo di testa» entrando a sua volta nella «zona A», indussero lo Stato maggiore della Difesa a pianificare opere di sbarramento delle comunicazioni, prevedendo la posa di mine sui ponti del Tagliamento.
A metà novembre, il clima di tensione cominciò a calare. Da Tito giunse un primo segnale apertura, cui venne fatto corrispondere un identico messaggio di buona volontà da parte del governo Pella. Iniziò il ripiegamento delle truppe che si sarebbe concluso il 20 dicembre.
Nel febbraio 1954, il nuovo premier, Mario Scelba, nel frattempo succeduto a Pella, rappresentò l' Italia ai negoziati con Usa, Regno Unito e Jugoslavia.
Il 5 ottobre successivo, dietro la garanzia di ulteriori aiuti economici e militari americani, Tito accettò il ritorno di Trieste sotto la sovranità italiana.

Nel caso in cui gli eventi fossero precipitati e Tito avesse attaccato,come realisticamente sarebbero andate le cose?
L'Italia poteva contrattaccare riprendendo parte dei territori perduti?
(fermo restando che probabilmente gli Alleati non avrebbero permesso di tenerli tutti,imponendo un compromesso con la Jugoslavia anche per non far cadere Tito).
Quali forze si sarebbero contrapposte e con quali esiti?
L'Aviazione e la Marina,i cui mezzi erano nettamente superiori a quelli Jugoslavi,potevano essere decisive?
Oppure l'Esercito Italiano sarebbe andato incontro ad una nuova sconfitta?
 
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