| La Jugoslavia non era certo un paese ricco, per quanto il suo prodotto interno pro capite fosse quattro volte quello dell'Albania e circa doppio rispetto a Bulgaria e Romania. Da un punto di vista economico aveva diversi problemi, catalizzando sia i problemi di un'economia pianificata che quelli di un'economia capitalista aperta al mercato: ha sempre sofferto di un'alta disoccupazione, circa il 15%, cifra enorme se comparata ai tassi praticamente inesistenti dei paesi occidentali in boom economico; essendovi libertà di movimento, questo spinse un'importante fetta della forza lavoro (circa il 20%) ad emigrare, soprattutto verso Svizzera, Germania, paesi scandinavi, ma anche Canada o Australia. Il termine politico che veniva adoperato era "Lavoratori temporanei all'estero", quanto temporanei, poi, lo sapevano solo loro...
Negli anni '60 la produttività era piuttosto alta, ma come in altri paesi socialisti iniziò a scendere inesorabilmente dagli anni '70 e non vi fu verso di fermarla. Incentivi diretti alla produzione venivano dal fatto che le fabbriche erano autogestite dai consigli dei lavoratori: la proprietà dei mezzi era male definita, di fatto erano statali, ma i lavoratori avevano diritto ad appropriarsi e distribuire i profitti del lavoro, un'eresia vera e propria rispetto ai paesi del Patto di Varsavia. Il problema però non erano i profitti, ma le perdite, queste venivano "socializzate", ovvero se le accollava lo stato, garantendo i posti di lavoro ma sovvenzionando fondamentalmente imprese inefficienti, il che non faceva che peggiorare il debito pubblico. Anche la politica monetaria era piuttosto libera, il dinaro jugoslavo veniva stampato non solo dalla banca centrale federativa, ma anche dalle banche centrali delle singole repubbliche, le quali potevano indebitarsi in maniera autonoma sui mercati dei capitali, scudate però poi dalla federazione come garante in solido, con evidenti effetti esponenziali sul debito della stessa. Questo ovviamente comportava anche problemi di forte inflazione, che seppure rendeva le merci jugoslave più competitive sui mercati esteri non fu sufficiente per riportare mai in pareggio una bilancia commerciale cronicamente in deficit. Ciò anche per investimenti poco oculati in settori a bassa redditività ed al contempo scarsa attenzione ad altri più cruciali (energia, materie prime...). Naturalmente la gestione politica di una federazione di questo tipo era molto complessa, e la pace sociale aveva alti costi: questo portò alla moltiplicazione di industrie simili in ciascuna delle repubbliche, con costi in termini di efficienza e non raggiungimento di sufficienti economie di scala, ma al contempo sovraproduzione di beni inutili.
Stabilite le tare, bisogna però dire che la qualità della vita, per quanto basata su un sistema non sostenibile nel lungo periodo, era decisamente alta. Anche la Jugoslavia visse il suo boom economico, con effetti sociali del tutto analoghi a quelli italiani: urbanizzazione, motorizzazione (la famosa Zastava 750, copia della Fiat 600, dalle analoghe fortune...), istruzione gratuita e di ottimo livello, estati al mare, in Croazia ma anche Grecia. E poi naturalmente punte di eccellenza in Slovenia, sia in campo sanitario, ma anche dell'industria bianca (Gorenje) o del design.
Riguardo alle libertà individuali, c'erano alcuni argomenti tabù, ma erano pochi e chiari: non si criticava il partito comunista, Tito o la politica della "terza via" dei paesi Non allineati. Certe professioni erano naturalmente più sensibili, ad esempio di sicuro non saresti mai potuto diventare giudice senza esserti iscritto al partito, ma per la stragrande maggioranza dei lavori civili, così come addirittura per l'esercito o la polizia, l'iscrizione al partito non era necessaria né precludeva alcunché, sebbene naturalmente di tanto in tanto avresti potuto ricevere pressioni da qualcuno per farlo.
I sistemi di distribuzione alimentare erano centralizzati, per cui i prodotti standardizzati, ma c'erano negozi che vendevano liberamente prodotti e marche occidentali, naturalmente a maggior costo... La cultura popolare era assolutamente aggiornata e influenzata dai costumi occidentali: si ascoltava e comprava musica americana, i cinema erano pieni di film di Hollywood, negli anni '80 c'era un'interessantissima scena rock jugoslava con artisti e gruppi all'avanguardia di tutto rispetto. Alcuni prodotti erano introvabili, ma per questo era uso comune la gita del weekend a Trieste, pieno di benzina e via, a comprare i mitici jeans (uno status simbol per qualsiasi giovane che volesse essere figo), le scarpe italiane (ah, la moda italiana! Il top!) e qualche vestito.
L'uscita e l'entrata nel paese erano assolutamente liberi: per dare un'idea efficace di quanto, dico solo che il passaporto jugoslavo era il passaporto più quotato e costoso sul mercato nero mondiale dei documenti falsi, in quanto era l'unico che permetteva una libera circolazione sia all'est che all'ovest, cosa impensabile per qualsiasi altro paese al mondo! Come ho detto prima, vi fu una forte emigrazione lavorativa, causata soprattutto dalla penuria di lavoro, molto meno da questioni ideologiche, ma la gran parte della popolazione era felice di vivere lì e allora. Ogni tanto leggo di "cappa di oppressione", ma lo trovo semplicemente ridicolo e strumentale: se la gente avesse avuto questa idea se ne sarebbe andata a frotte, libera com'era... ci sarà un motivo se in Istria non c'era nessun Muro di Berlino.
Se dovessi riassumere in una parola l'idea che ho della Jugoslavia di allora, direi cosmopolita. Ingenua, ma cosmopolita.
|