La guerra Italo-Jugoslava del 1953.

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carpu65
view post Posted on 2/7/2014, 23:42




CITAZIONE (-Drugo- @ 2/7/2014, 22:58) 

Pare fu molto gentile e galante anche con la splendida attrice di origine slava Sylva Koscina,in Jugoslavia per girare il kolossal "Le battaglia della Neretva".
Del resto ho visto alcune foto della consorte di Tito,risalenti agli inizi degli anni 50,ed era una magnifica donna,un pò giunonica (alla Yvonne Samson).
 
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view post Posted on 3/7/2014, 08:56
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Già. Tito e le donne è un capitolo a parte, come dicevi giustamente, era un viveur.

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Un'estate, nella sua famosa residenza estiva sull'isola di Brioni, dove invitava tutte le celebrità, c'era l'attore Bata Živojinović, molto famoso in Jugoslavia. L'attore disse a Tito: "Presidente, che casa magnifica avete qui.", Tito rispose: "Io? Questa casa è dello Stato!", al che Živojinović: "Dello Stato?! Ah, beh! Allora la prossima estate ci verrò con mia moglie". :)

Ad ogni modo siamo andati più che off topic.
 
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view post Posted on 3/7/2014, 11:46


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Trovo gli ultimi interventi di Carpu e Drugo molto interessanti. Convincere qualcuno ad andare in guerra a farsi ammazzare quando la sua probabilità di morire per fame , malattia,vendette personali ecc. è molto alta, è abbastanza facile, almeno in guerra ti danno una medaglia. Quando la vita si fa meno dura il gusto della bella morte passa. A questo aggiungiamo l'esperienza della guerra come distruzione totale, caliamola nella storia italiana in cui l'ultimo conflitto finì con un'umiliazione prima della sconfitta ed avremo il pacifismo europeo ed italiano in particolare.
 
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AntonioMartino94
view post Posted on 3/7/2014, 12:02




CITAZIONE (cap.med.cpl. @ 3/7/2014, 12:46) 
Trovo gli ultimi interventi di Carpu e Drugo molto interessanti. Convincere qualcuno ad andare in guerra a farsi ammazzare quando la sua probabilità di morire per fame , malattia,vendette personali ecc. è molto alta, è abbastanza facile, almeno in guerra ti danno una medaglia. Quando la vita si fa meno dura il gusto della bella morte passa. A questo aggiungiamo l'esperienza della guerra come distruzione totale, caliamola nella storia italiana in cui l'ultimo conflitto finì con un'umiliazione prima della sconfitta ed avremo il pacifismo europeo ed italiano in particolare.

Esattamente. La Jugoslavia raggiunse uno sviluppo maggiore dei paesi sovietizzati? Come era percepita in Italia anche dopo il ritorno di Trieste in seno alla Patria?
Comunque chi ha materiale (figurini,foto) sui due eserciti del periodo sarebbe bello che li postasse
 
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view post Posted on 3/7/2014, 19:53


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Negli anni 70 la yugoslavia si aprì al turismo italiano, da Pescara partiva nei mesi estivi un traghetto per Spalato. Chi ci andò ( mio padre) parlava di un paese austero ma non misero e in cui non si percepiva quella cappa asfissiante che lui stesso percepì in un viaggio in Polonia negli stessi anni. La yugoslavia era considerata un paese comunista più di nome che di fatto con casinò per turisti e una televisione ( capodistria) commerciale. Almeno questo vale per gli anni 70 e in una regione non di confine.
 
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view post Posted on 3/7/2014, 20:32
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La Jugoslavia non era certo un paese ricco, per quanto il suo prodotto interno pro capite fosse quattro volte quello dell'Albania e circa doppio rispetto a Bulgaria e Romania. Da un punto di vista economico aveva diversi problemi, catalizzando sia i problemi di un'economia pianificata che quelli di un'economia capitalista aperta al mercato: ha sempre sofferto di un'alta disoccupazione, circa il 15%, cifra enorme se comparata ai tassi praticamente inesistenti dei paesi occidentali in boom economico; essendovi libertà di movimento, questo spinse un'importante fetta della forza lavoro (circa il 20%) ad emigrare, soprattutto verso Svizzera, Germania, paesi scandinavi, ma anche Canada o Australia. Il termine politico che veniva adoperato era "Lavoratori temporanei all'estero", quanto temporanei, poi, lo sapevano solo loro...

Negli anni '60 la produttività era piuttosto alta, ma come in altri paesi socialisti iniziò a scendere inesorabilmente dagli anni '70 e non vi fu verso di fermarla. Incentivi diretti alla produzione venivano dal fatto che le fabbriche erano autogestite dai consigli dei lavoratori: la proprietà dei mezzi era male definita, di fatto erano statali, ma i lavoratori avevano diritto ad appropriarsi e distribuire i profitti del lavoro, un'eresia vera e propria rispetto ai paesi del Patto di Varsavia. Il problema però non erano i profitti, ma le perdite, queste venivano "socializzate", ovvero se le accollava lo stato, garantendo i posti di lavoro ma sovvenzionando fondamentalmente imprese inefficienti, il che non faceva che peggiorare il debito pubblico. Anche la politica monetaria era piuttosto libera, il dinaro jugoslavo veniva stampato non solo dalla banca centrale federativa, ma anche dalle banche centrali delle singole repubbliche, le quali potevano indebitarsi in maniera autonoma sui mercati dei capitali, scudate però poi dalla federazione come garante in solido, con evidenti effetti esponenziali sul debito della stessa. Questo ovviamente comportava anche problemi di forte inflazione, che seppure rendeva le merci jugoslave più competitive sui mercati esteri non fu sufficiente per riportare mai in pareggio una bilancia commerciale cronicamente in deficit. Ciò anche per investimenti poco oculati in settori a bassa redditività ed al contempo scarsa attenzione ad altri più cruciali (energia, materie prime...). Naturalmente la gestione politica di una federazione di questo tipo era molto complessa, e la pace sociale aveva alti costi: questo portò alla moltiplicazione di industrie simili in ciascuna delle repubbliche, con costi in termini di efficienza e non raggiungimento di sufficienti economie di scala, ma al contempo sovraproduzione di beni inutili.

Stabilite le tare, bisogna però dire che la qualità della vita, per quanto basata su un sistema non sostenibile nel lungo periodo, era decisamente alta. Anche la Jugoslavia visse il suo boom economico, con effetti sociali del tutto analoghi a quelli italiani: urbanizzazione, motorizzazione (la famosa Zastava 750, copia della Fiat 600, dalle analoghe fortune...), istruzione gratuita e di ottimo livello, estati al mare, in Croazia ma anche Grecia. E poi naturalmente punte di eccellenza in Slovenia, sia in campo sanitario, ma anche dell'industria bianca (Gorenje) o del design.

Riguardo alle libertà individuali, c'erano alcuni argomenti tabù, ma erano pochi e chiari: non si criticava il partito comunista, Tito o la politica della "terza via" dei paesi Non allineati. Certe professioni erano naturalmente più sensibili, ad esempio di sicuro non saresti mai potuto diventare giudice senza esserti iscritto al partito, ma per la stragrande maggioranza dei lavori civili, così come addirittura per l'esercito o la polizia, l'iscrizione al partito non era necessaria né precludeva alcunché, sebbene naturalmente di tanto in tanto avresti potuto ricevere pressioni da qualcuno per farlo.

I sistemi di distribuzione alimentare erano centralizzati, per cui i prodotti standardizzati, ma c'erano negozi che vendevano liberamente prodotti e marche occidentali, naturalmente a maggior costo... La cultura popolare era assolutamente aggiornata e influenzata dai costumi occidentali: si ascoltava e comprava musica americana, i cinema erano pieni di film di Hollywood, negli anni '80 c'era un'interessantissima scena rock jugoslava con artisti e gruppi all'avanguardia di tutto rispetto. Alcuni prodotti erano introvabili, ma per questo era uso comune la gita del weekend a Trieste, pieno di benzina e via, a comprare i mitici jeans (uno status simbol per qualsiasi giovane che volesse essere figo), le scarpe italiane (ah, la moda italiana! Il top!) e qualche vestito.

L'uscita e l'entrata nel paese erano assolutamente liberi: per dare un'idea efficace di quanto, dico solo che il passaporto jugoslavo era il passaporto più quotato e costoso sul mercato nero mondiale dei documenti falsi, in quanto era l'unico che permetteva una libera circolazione sia all'est che all'ovest, cosa impensabile per qualsiasi altro paese al mondo! Come ho detto prima, vi fu una forte emigrazione lavorativa, causata soprattutto dalla penuria di lavoro, molto meno da questioni ideologiche, ma la gran parte della popolazione era felice di vivere lì e allora. Ogni tanto leggo di "cappa di oppressione", ma lo trovo semplicemente ridicolo e strumentale: se la gente avesse avuto questa idea se ne sarebbe andata a frotte, libera com'era... ci sarà un motivo se in Istria non c'era nessun Muro di Berlino.

Se dovessi riassumere in una parola l'idea che ho della Jugoslavia di allora, direi cosmopolita. Ingenua, ma cosmopolita.
 
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view post Posted on 3/7/2014, 23:21
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Nell'estate del 1975, in piena regola con le tendenze dell'epoca, comprai un pulmino Volkswagen, lo attrezzai a camper e con una coppia di amici e tre ragazzini mi imbarcai a Pescara diretto a Spalato. Dopo un visita a un vicino paese verso nord, bellissimo, del quale non ricordo purtroppo il nome scesi la costa fino a Dubrovnik, passando per Cattaro e da li mi inoltrai nella strada del Montenegro fino a raggiungere Pristina e Skoplje per arrivare poi in Grecia. Durante tutto il viaggio, durato una quindicina di giorni, con soste in vari camping non fummo mai fermati dalla polizia ne sottoposti a controlli di qualunque genere. La popolazione era gentile e generalmente corretta. L'unico "problema" si verificò in un villaggio interno del Montenegro, a evidente maggioranza mussulmana, dove le nostre donne si recarono imprudentemente a fare la spesa in costume da bagno, tornando rapidamente e con l'aria alquanto preoccupata, seguite credo dall'intera popolazione maschile del villaggio compresa fra i 12 e i 90 anni. A parte questo piccolo incidente che dieci anni prima sarebbe avvenuto anche in qualunque paese italiano a sud di Napoli, ricordo una bella vacanza, in un bellissimo paese con gente accogliente e non vocata alla "rapina" del turista, diversamente da quanto accadeva da noi e non solo da noi.
 
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christmas(XMAS)
view post Posted on 4/7/2014, 23:09




Voloavela,
Se fosti andato nel 1950, avresti colto un immagine un tantino differente...
-Per Carpu; grande disquisizione, esaustiva e politicamente assente (vera) al riguardo dei fatti.
- Non occorre essere degli storici per comprendere il perchè delle foibe...
- Ad ogni buon conto, per non andare fuori OT, mi riservo di chiarire in proprio OT quanto sopra, nato ben prima, ma molto, moolto prima (1867 o giù di lì) : il fascismo non c'entra, in realtà, una beneamata cippa... - ha solo che peggiorato la preesistente pessima situazione - , che, alla faccia dei buonisti/progressisti/fancaxxisti/politically correct etc.,persiste tuttora, in questo lembo estremo del NordEst Italiano.: Basta che si guardi quanto accaduto 20/15 anni fa di là : Si sono massacrati allegramente a vicenda, e, mi risulta che non vi erano più i biechi "nazifascisti"..., Ma erano loro, solamente loro.: I Romani, secoli fa, li definivani Illiri barbari e sanguinari: Non mi sembra sia cambiato molto da circa due millenni...
 
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carpu65
view post Posted on 5/7/2014, 00:46




Beh,se è per questo anche i vichinghi erano un popolo sanguinario,ed ora la Svezia e la Norvegia sono i paesi più pacifici e progressisti del mondo.
Io lascerei perdere spiegazioni antropologiche (e non si tratta di buonismo).
 
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view post Posted on 5/7/2014, 08:54
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christmas,
riguardo al 1950, come credo di aver scritto si è trattato di un quinquennio (48-53) che probabilmente più si è avvicinato al sistema di matrice sovietica, per le ragioni e finalità sopra esposte. Fortunatamente, è stato tutto sommato un momento storico conciso. Per tutto il resto, ho iniziato almeno cinque risposte differenti, ma mi sembra (spero) che questa conversazione abbia tenuto fin qui un profilo dignitoso e forse anche (per qualcuno) interessante, per cui faccio finta che tu abbia battuto dei tasti a caso e miracolosamente siano uscite parole di italiano, mancanti purtroppo di gran senso. :)
 
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AntonioMartino94
view post Posted on 5/7/2014, 13:42




Ringrazio Drugo per l'accurata analisi della situazione Jugoslava, hai fornito degli ottimi spunti, interessanti soprattutto per chi, come me, è nato negli anni in cui il "paradiso" titino andava tragicamente in frantumi, lasciando morte e povertà.

Ultima domanda: come furono invece gli anni post-Tito? (scusate l'OT)
 
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view post Posted on 5/7/2014, 15:43
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Intendi gli anni '80, dalla sua morte alla disgregazione della Jugoslavia, o dalla guerra in poi?

Gli anni '80 furono caratterizzati dalla sclerosi di quelle tendenze di cui ho parlato prima, ovvero si assistette ad un aumento ulteriore della disoccupazione, mentre l'inflazione galoppava oramai a doppia cifra, sfociando in aperta iperinflazione verso la fine del decennio, con conseguente impoverimento delle classi lavoratrici e dei pensionati. La crisi economica era accompagnata da una crisi politica, dopo 40 anni di comunismo le richieste di apertura democratica da parte della popolazione erano sempre più pressanti: un partito oramai stanco, fossilizzato su vecchie espressioni, simboli, miti della guerra di liberazione ai quali la popolazione, soprattutto i più giovani, venuti dopo, erano ormai anestetizzati e lontani, mentre d'altra parte era evidente la corruzione dilagante, fisiologica di un sistema monopartitico in cui i quadri politici vivevano palesemente agiati mentre la crisi colpiva i lavoratori. Nel 1989 venne designato l'ultimo primo ministro della Jugoslavia federativa, Ante Markovic, noto per le sue posizioni aperte e liberali: egli introdusse importanti riforme di apertura al mercato, privatizzazione delle imprese statali, stabilizzazione valutaria, il tutto con discreto successo. Al contempo, come sempre accade, l'introduzione di riforme liberalizzatrici in un contesto di recessione economica ebbe anche diversi contraccolpi: accelerò la rovina di molte imprese sottocapitalizzate e sovraindebitate, che non potevano minimamente competere sul libero mercato, dando un'ulteriore spinta alla disoccupazione ed al malessere sociale. Inoltre, il suo programma venne sabotato da quelle correnti del partito che cercavano invece l'instabilità per cavalcarla ai propri fini politici (ciò che fece Milosevic in Serbia). Era il 1990, ed il tempo delle riforme era scaduto. Complesse dinamiche sociopolitiche, con una forte dose di orchestrazione dall'alto dell'establishment politico e militare stavano minando il paese alle fondamenta, per giustificare lo scoppio di un conflitto da cui solo loro avrebbero tratto vantaggio. Mi spiace dire che la ragione "etnica" della guerra in Jugoslavia risponde in minima parte alle ragioni del conflitto, una grande truffa da cui hanno tratto vantaggio solo ladri di stato e ruffiani, oltre che l'opinione pubblica occidentale, che si è potuta così cullare nella convinzione che la ragione di tutto stava in quegli "Illiri barbari sanguigni da millenni", e che pertanto una cosa del genere non potrebbe certo accadere su suoli più "civili". A chi è interessato, suggerisco a tal proposito l'ottima e agile (150 pagine) lettura del libro ormai classico di Paolo Rumiz, Maschere per un massacro (ora anche in economica Feltrinelli).
 
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schveik
view post Posted on 5/7/2014, 16:10




Ho seguito il thread con interesse; un ringraziamento a Drugo per i suoi interventi puntuali e chiarificatori.
 
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view post Posted on 5/7/2014, 20:18
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Carpu per cortesia potresti indicare da dove provengono le citazioni contenute nel tuo primo intervento?
La ricostruzione dell'allertamento militare italiano per l' "Esigenza T" mi sembra un po' superficiale e con qualche errore.
Ad esempio se si scrive che "i paracadutisti del 183° Reggimento Nembo pronti al lancio" significa che non si ha conoscenza che il Nembo all'epoca era un normale reggimento di fanteria inquadrato nella divisione di fanteria "Folgore" e che da alcuni mesi, provenendo da Belluno, era stato schierato nel settore meridionale del confine orientale (da sud di Gorizia al mare). In quegli anni, inoltre, i reparti paracadutisti erano in via di formazione nel CMP e potevano al massimo mettere in campo una compagnia operativa.
L'Esigenza T peraltro fu una grande prova di mobilitazione dell'Esercito allora in piena fase di espansione e con notevoli problemi in disponibilità di materiali e munizionamento, ciò nonostante la prova fu sostanzialmente positiva e foriera di insegnamenti importanti nella fase di sviluppo e ricostruzione di quegli anni.

Questa di seguito la lettera che nel 2009 mandai al Corriere della Sera sull'argomento visto che il "noto" Sergio Romano nella sua rubrica aveva scritto diverse inesattezze. Ovviamente la precisazione non fu pubblicata! :)

..................................................
Mi riferisco alla risposta da lei data sul Corriere del 31 luglio scorso al sig. Toriaco su “Pella e il caso Trieste” e spero che, nonostante la pausa estiva mi abbia impedito di inviare prima una precisazione, possano trovare spazio queste informazioni relative all’effettivo ruolo delle Forze Armate, o meglio dell’Esercito, in occasione della crisi per Trieste del secondo semestre del 1953.
In realtà non si trattò di un semplice schieramento di due divisioni alla frontiera ma di una imponente mobilitazione di circa 70.000 uomini che non ha precedenti nella nostra storia militare del tempo di pace ed enormemente superiore al molto più noto, pubblicizzato e mussoliniano “schieramento delle divisioni al Brennero” in occasione della crisi austriaca del 1934.
La cosiddetta “Esigenza Trieste” ha inizio il 29 agosto 1953 con la convocazione del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gen. Pizzorno, da parte del Ministro della Difesa Taviani ed i primi provvedimenti alla frontiera vennero attuati agli inizi di settembre 1953 con l’impiego delle forze di copertura stanziali del V Corpo d’Armata, contemporaneamente venne predisposto il piano Delta per un’azione di sorpresa per l’occupazione della zona A nel caso che Tito desse pratica attuazione all’annessione della zona B. A metà settembre il dispositivo attuato fu smobilitato.
E’ con la metà del mese di ottobre che abbiamo una nuova attivazione del dispositivo militare con lo schieramento massiccio di reparti del V Corpo d’Armata sulla linea di frontiera: sinteticamente e semplificando, la brigata alpina Julia rinforzata dalla brigata alpina Cadore (all’epoca in corso di costituzione) da Tarvisio al Monte Lubia (a nord di Cividale del Friuli), la divisione fanteria Mantova dal Monte Lubia al fiume Vipacco (poco a sud di Gorizia), la divisione fanteria Folgore dal Vipacco al mare (la zona del Carso).
La divisione corazzata Ariete rimase nelle sue sedi ad ovest del Tagliamento quale riserva di scacchiere, da Piemonte e Liguria fu fatta affluire la divisione fanteria Cremona che andò a posizionarsi a tergo della divisione Mantova mentre dall’Alto Adige la brigata alpina Tridentina affluì come riserva delle due brigate alpine schierate nel settore montano di frontiera.
Completavano il dispositivo reggimenti ed altre unità di artiglieria, genio e trasmissioni del V Corpo d’Armata oltre a tutto il supporto logistico necessario ad alimentare i reparti schierati.
I reparti furono completati agli organici di guerra con il richiamo di personale dal congedo (oltre 12.000 uomini), trattenendo alle armi il primo scaglione della classe 1931 ed aggregando personale specializzato da unità e scuole di formazione di tutta la penisola.
Le predisposizioni non interessarono solo lo schieramento dei reparti ma compresero anche i lavori di fortificazione campale, l’impiego delle unità pionieri d’arresto per le operazioni di “interruzione” e posa dei campi minati e l’attivazione dei reparti da posizione a presidio della fortificazione permanente da poco realizzata sulla linea del Tagliamento.
Il piano Delta venne aggiornato alla nuova situazione e per la sua attuazione fu previsto l’impiego della divisione Trieste, di stanza in Emilia-Romagna, rinforzata da quattro battaglioni di fanteria provenienti dall’Italia meridionale.
L’esigenza terminò ai primi di dicembre ed entro il 20 del mese tutti i reparti erano rientrati nelle loro sedi stanziali.
Questo a grandi linee e molto sinteticamente quanto fu attuato; in definitiva sotto l’aspetto militare l’esigenza Trieste dimostrò l’avvenuta ripresa dell’Esercito dopo la catastrofe bellica pur se lo colse in piena ricostruzione ed ampliamento in seguito all’entrata dell’Italia nella NATO.
Si tratta di una vicenda pressoché sconosciuta al di fuori degli “addetti ai lavori” che credo comunque meriti di essere ricordata.
 
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view post Posted on 5/7/2014, 20:39
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jolly46AB, le tue conoscenze dei fatti militari dell'esercito italiano del dopoguerra sono sempre estremamente precise e interessanti, ti ringrazio! Sarebbe interessante sapere se ci fu anche qualche contatto diretto tra i governi italiano e jugoslavo in quei mesi, oppure si comunicò solo a suon di manovre e avvertimenti? Mediarono gli angloamericani?
 
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64 replies since 30/6/2014, 16:37   9564 views
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