CITAZIONE (Rudolf96 @ 21/8/2015, 20:47)
... Può essere che caschi in sughero siano stati fatti anche in epoche successive tipo anni '60/70 ?
Non ho dati per rispondere alla domanda. Ma tenderei a rispondere negativamente. Facile che per i caschi coloniali sia successo lo stesso che per gli elmetti Mod.33 : nel dopoguerra, i magazzini ne disponevano ancora in quantità sufficienti a soddisfare la domanda. Se poi parliamo non di anni Quaranta-Cinquanta, ma piuttosto di Sessanta e successivi; credo si debba considerare che quest'ultimi hanno visto un veloce, progressivo abbondono dell'uso del casco di sughero per climi tropicali ed equatoriali, fino a relegarlo tra gli oggetti da museo o quasi. Perfino nel gioco del polo è stato da tempo sostituito da elmetti in materiale diverso e maggiormente protettivi. I militari non lo usano più e nemmeno i civili che un tempo formavano la popolazione europea delle tante colonie e protettorati tutti arrivati proprio in quegli anni all'indipendenza. Neanche un fanatico lettore di Karen Blixen si avventurerebbe oggigiorno con un casco coloniale in testa per le vie di Nairobi, o per quelle del Cairo o di Luxor se ammiratore di Agatha Christie.
In India e Pakistan, poi, si correrebbe il rischio di accendere i sempre latenti sentimenti nazionalisti e anticolonialisti.
Se proprio si ama un tal genere di copricapo e non si vuole rinunciare al piacere di indossarlo nell'ambiente per cui è nato; consiglio paesi asiatici come la vecchia Indocina (ora Vietnam, dove -come è noto- il casco in sughero ha equipaggiato l'esercito che ha sconfitto francesi e americani ed è diventato uno dei simboli della Vittoria) o Singapore. Potete fare, se lo credete, come ho fatto io e comperarvi un casco di poco prezzo ma fatto rigorosomente in materiali tradizionali (anche il sottogola in cuoio vero e non plastificato, e la fodera interna di un bel rosso squillante). E poi uscirvene con il nuovo acquisto in testa (o tenuto sottobraccio), fuori dalla vostra camera al Raffles Hotel (di Singapore, ma c'è bisogno di scriverlo ?), e appoggiarlo al tavolo con due poltroncine posto di fronte alla porta di ogni stanza dell'albergo sotto il porticato di legno. Vi sedete e con il vostro nuovo casco sotto gli occhi potete perdervi nel fascinoso mondo dei Pith Helmets, Sola Helmets, Sun o Tropical Helmets, Polo Helmets, Aden Helmets -tutti cugini e parenti tra loro e tutti ottimi compagni di viaggio e ... di fantasticherie. Meglio, molto meglio, naturalmente, se avrete avuto l'accortezza di chiamare prima un boy e di farvi portare un Singapore Sling (almeno uno !), il mitico cocktail nato proprio qui, al Raffles Bar.
Ohibò, chiedo indulgenza per questa elegia intonata al casco e per questi svenevoli ricordi di viaggio -oltretutto risalenti a tempi in cui Asia e Africa erano già abbondantemente percorse dalle torme di turisti dei viaggi organizzati e dei low flies. E questo mi conduce al punto finale : il casco in sughero è andato in disuso con tutto uno stile di vita, abitudini, convinzioni mediche che facevano temere agli europei i pericoli dei raggi solari -anche (e soprattutto) in viaggio di piacere e in vacanza. (A proposito: mai sentito parlare di "Cholera Belts" ? Per dire, ne era un convinto assertore anche un'autorità medica internazionale in fatto di malattie tropicali come il nostro Professor Castellani, medico personale di Umberto II in Portogallo, non del Dr. Livingstone o di Gordon Pasha.)
Negli Anni Sessanta del Novecento la gente vestiva ormai (al lavoro, in viaggio e in vacanza) in modo diverso da prima. E anche nella nostra flotta mercantile si era prodotta una mezza rivoluzione. Tonnellaggio complessivo ridotto (anche per la concorrenza dell'aereo nel trasporto sia merci che passeggeri) ed equipaggi a loro volta meno numerosi -per navi (non solo i portacontainers) dove molte operazioni sono automatizzate e non più manuali. Ergo, a che pro continuare oltre la produzione di caschi di sughero ?
Foch