STORIA della REGIA AERONAUTICA

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view post Posted on 15/9/2008, 11:00
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Le Origini

Il Ministero della Guerra, nel 1884, autorizzava la costituzione di un Servizio Aeronautico presso il 3° Reggimento Genio a Roma ed il reparto si sarebbe occupato degli aerostati da ricognizione. Il 23 giugno del 1887 veniva promulgata la prima legge aeronautica, la n° 4593 che normava ed istituiva una Compagnia Specialisti del Genio, destinata, tra l'altro, all'uso dei palloni frenati.

Il primo pilota di aerostato militare fu il capitano Alessandro Pecori Giraldi, comandante della Compagnia. Il primo impegno bellico avvenne in Eritrea nel 1887-1888 dove si impiegarono tre palloni per la ricognizione delle posizioni avversarie. La Compagnia venne successivamente trasformata in Brigata nel 1894.

Il primo pallone libero fu costruito dal capitano Maurizio Mario Moris, a proprie spese, sui piani di costruzione del tenente Cesare del Fabbro. Compì il suo primo volo salendo dai Prati di Castello, a Roma, il 11 giugno 1894 con a bordo gli stessi capitano Moris e tenente del Fabbro, i quali non avevano avuto precedenti esperienze. Ma l'aerostato era un mezzo assai difficilmente governabile.

Una soluzione migliore era rappresentata dal dirigibile (che appunto si può dirigere), una macchina, come lo era anche la mongolfiera, "più leggera dell'aria". Il dirigibile era provvisto di motori ad elica e timoni aerodinamici. Nel 1904 il maggiore Moris assunse il comando della Sezione Aeronautica della Brigata Specialisti ed incaricò i tenenti Gaetano Arturo Crocco ed Ottavio Ricaldoni di impostare lo studio di un dirigibile.

Nella caserma Cavour, a Roma, furono eseguite le prime prove sperimentali su modelli in scala e studiata la dinamica dei fluidi. Il primo dirigibile, il Crocco-Ricaldoni n° 1 volò il 3 ottobre del 1908.

Alla Brigata venne messo a disposizione, nel 1906, un assegno straordinario di 425.000 lire che integrava quello mensile di 50.000 lire (quest'ultima una cifra esigua per le esigenze della Brigata) e da qualche modesto intervento della Règia Marina.

Nel frattempo era nato un mezzo rivoluzionario, l'aeroplano. Anche in Italia vi furono varie iniziative, e nel 1909 nacque il Circolo Aviatori, presieduto dall'attivissimo maggiore Mori. Il maggiore riuscì a portare in Italia Wilbur Wright con uno dei suoi biplani: tra il 15 ed il 26 aprile 1909 compì sul prato di Centocelle 67 voli, trasportando 19 passeggeri ed istruendo il tenente di vascello Mario Calderara che divenne quindi il primo pilota con brevetto in Italia.

Quando Wright partì da Roma lasciò, come stabilito, l'aeroplano e Calderara impartì lezioni al tenente del Genio Umberto Savoja, cosicché in breve, Centocelle divenne la prima scuola di volo militare, nel gennaio del 1910. A capo del corso era il tenente colonnello Cordero di Montezemolo, mentre il servizio sanitario era affidato al pilota Luigi Falchi. Moris gli disse: «l'ho scelta non perché Lei è medico, ma così si troverà sul campo senza avere l'aria di chi aspetta la disgrazia».

A causa delle limitazioni del campo di aviazione di Centocelle, si chiuse questa scuola e se ne aprirono altre due, una ad Aviano (Udine) e l'altra a Cascina Malpensa (Varese). Grazie all'interesse suscitato dall'aviazione, l'Esercito rese indipendente la Brigata Specialisti nel 1910, affidandola al tenente colonnello Moris.

I vertici delle forze armate credettero molto nella nuova arma aerea, tanto che la legge n° 422 del 10 luglio 1910 ed il successivo regio decreto 944 del 28 ottobre dello stesso anno indicavano l'assegnazione di fondi per materiali di volo ed assistenza, mentre la legge 515 del 17 luglio ed il decreto del 9 agosto 1910 stabilivano l'ampliamento e la struttura delle forze aeree. Inizialmente era prevista una spesa di ben 25 milioni di lire, ritenuta insostenibile dal Ministero del Tesoro e ridotta a 10 milioni. Ad ogni modo la relazione tenuta dal Ministro del Tesoro, onorevole Tedesco, e da quello della Guerra, generale Spingardi, era esplicita sul fatto che l'organizzazione aeronautica si sarebbe ampliata negli anni a venire.

La Brigata Specialisti si trasformò in Battaglione autonomo, con otto compagnie ed il 28 ottobre fu costituita la Sezione Aviazione.

La prima occasione per sperimentare il nuovo mezzo aeronautico si presentò durante le manovre estive del Regio Esercito in Piemonte del 1911. Il Battaglione Specialisti mise a disposizione otto aeroplani, due dirigibili e due aerostati.


Guerra all'Impero ottomano

Il 29 settembre del 1911 l'Italia dichiarava guerra all'Impero ottomano e venne mobilitato anche il Battaglione Specialisti. Il 2 ottobre vi fu il primo sbarco di fanti di marina sotto la copertura della flotta schierata davanti a Tripoli. Il 15 ottobre arrivò anche l'aeronautica, formata da nove aeroplani, due Blériot XI, tre Nieuport IV G, due Etrich Taube e due biplani Farman, 11 piloti e 30 uomini di truppa comandati da un tenente ed un sergente.

Il loro compito era di compiere ricognizioni in territorio nemico per scoprire entità e spostamenti delle forze nemiche. La prima missione venne compiuta dal comandante della spedizione, capitano Carlo Maria Piazza, il 23 ottobre con un Blérot, la seconda dal capitano Riccardo Moizo, lo stesso giorno con un Nieuport. Lo stesso capitano Moizo riportò, due giorni dopo, le ali forate da tre fucilate, fu la prima azione di fuoco contro un aeroplano.

Il sottotenente Gavotti, il 1° novembre 1911, gettò a mano tre granate Cipelli da due chili su Ain Zara e una su l'Oasi di Tripoli stessa. Gli italiani eseguirono per primi al mondo tutte le azioni militari che poi divennero tipiche dell'impiego bellico aeronautico, come la ricognizione ed il bombardamento, tranne quella della caccia, dato che l'avversario non disponeva a sua volta di un'aviazione.

Il capitano Piazza eseguì il 28 ottobre il primo rilevamento di tiro per la corazzata Sardegna contro l'oasi di Zanzur, altrettanto fece il capitano Moizo il 24 novembre per una batteria contro l'artiglieria turca. Il 4 dicembre l'aeronautica svolse compiti di sorveglianza volando al fianco di tre colonne in marcia e verificando che non vi fossero uomini dell'esercito avversario in avvicinamento.

Anche in Cirenaica agivano squadriglie dell'aeronautica. Vicino a Bengasi il 15 dicembre del 1911 il sottotenente di vascello Francesco Roberti fu attaccato per la prima volta dall'artiglieria. Il capitano Piazza, il 23 febbraio del 1912 compì la prima fotoricognizione con una macchina fotografica Zeiss "Bebé" del Genio. Ogni volo consentiva un'unica istantanea, dato che il pilota non poteva cambiare la lastra fotografica con una sola mano, mentre l'altra era impegnata nel pilotaggio. I piloti in ricognizione eseguivano anche degli schizzi a mano delle zone d'interesse. Il 4 marzo il capitano Piazza ed il sottotenente Gavotti volarono per la prima volta di notte.

Il primo ferito in azione fu l'onorevole Carlo Montù, comandante della squadriglia volontari civili, colpito ad una gamba mentre volava come osservatore in Cirenaica.

Dato che il terreno melmoso impediva di manovrare gli apparecchi a terra alla squadriglia di Bengasi, nella zona di Sabri, venne costruita una piattaforma in legno lunga 100 m e larga 12, probabilmente la prima pista artificiale al mondo. Il 2 maggio venne eseguita la prima ricognizione notturna e l'11 giugno il primo bombardamento notturno.

L'Italia pianse anche il primo pilota caduto in battaglia, il sottotenente di cavalleria Piero Manzini partito da Tripoli per una ricognizione fotografica il 25 agosto 1912. Il capitano Moizo divenne il primo aviatore prigioniero di guerra, a causa di un avaria al motore che, il 10 settembre lo costrinse ad un atterraggio in zona nemica. Fu poi rilasciato l'11 novembre alla conclusione delle ostilità, dopo aver ricevuto un buon trattamento da parte degli ufficiali turchi.

Il trattato di Losanna del 18 ottobre del 1912 aveva posto fine alle ostilità ed aveva assicurato all'Italia il possesso di Libia e dell'Egeo.

L'aviazione italiana aveva partecipato alla guerra con quattro reparti rispettivamente a Tripoli, a Bengasi, a Derna ed a Tobruk. I mezzi erano tre dirigibili, il P2 ed il P3 (la sigla «P» indica piccolo, «M» medio e «G» grande) a Tripoli, il P1 a Bengasi e vari aerostati. Questi ultimi erano impiegati soprattutto per la regolazione del tiro di artiglieria.

Nel settembre del 1912 Guglielmo Marconi aveva sperimentato con successo la trasmissione radiotelegrafica di alcuni messaggi da una nave in rada ad un aereo in volo. Un esperimento, comunicazioni da aereo a terra, inverso era stato compiuto dai russi nel luglio del 1912. La guerra in Libia venne seguita con molta attenzione all'estero ed i risultati vennero sfruttati maggiormente dalle altre potenze che dalla stessa Italia.


Il Servizio Aeronautico

Il 27 giugno del 1912 la legge numero 698 istituiva il Servizio Aeronautico, presso la Direzione Generale Genio ed Artiglieria. Questo inquadrava il Battaglione Specialisti con dirigibili ed aerostati a Roma, il Battaglione Aviatori con reparti di aeroplani e scuole di volo a Torino, lo Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche sempre a Roma, un cantiere sperimentale a Vigna di Valle (Roma).

Anche la Règia Marina volle creare una sua sezione aeronautica, a Venezia e composta di idrovolanti, nell'ottobre del 1912. E nel maggio del 1913 costituì presso il Primo Reparto dello Stato Maggiore una Sezione Aeronautica della Marina, che nel 1914 divenne il Quinto Reparto. Sino ad allora i piloti dell'aeronautica erano stati di provenienza mista da Regio Esercito e Règia Marina.

Il maggiore Giulio Douhet, comandante del Battaglione Aviatori dal 13 novembre 1913, organizzò il battaglione in squadriglie perfettamente autonome dal punto di vista organizzativo e logistico, dotandole di aviorimesse smontabili, automezzi e carri officina.

Su proposta del pilota Leonino da Zara, l'Aero Club d'Italia indisse il 3 marzo 1912 una sottoscrizione «date ali alla Patria!» che fruttò circa tre milioni e mezzo di lire.

Ma il nuovo problema da risolvere era la mancanza di industrie e progetti aeronautici italiani per potenziare la flotta. Nel 1913 fu indetto un concorso aperto a velivoli di qualsiasi provenienza a patto che fossero prodotti in Italia, ma non dette i risultati sperati.

Un'altra priorità italiana era la costruzione della sezione idrovolanti, voluta nel 1913 dal Ministero della Guerra e posta al servizio della Règia Marina, per la difesa delle coste con base a Venezia in zona Le Vergini. I primi apparecchi furono i Borel ed i Farman francesi, mentre i piloti erano stati addestrati in Francia a Juan les Pins. Il 1 febbraio 1913 si istituì a Venezia una scuola di volo, dove si svolgeva anche attività di ricerca e realizzazione di nuove macchine disegnate dal tenente di vascello Manlio Ginocchio e da Alessandro Guidoni.

Presto le unità della flotta vennero dotate di idrovolanti che calavano in mare utilizzandoli per l'esplorazione. La prima corazzata ad adottare il nuovo mezzo fu la Dante Alighieri attrezzata con i Curtiss. La Marina si dotò anche di dirigibili, ottenendo dall'esercito due cantieri, quello di Jesi (An) e quello di Ferrara.

Intanto l'aeronautica era divenuta un Corpo Aeronautico autonomo il 18 giugno del 1913 ed a fine anno contava tre gruppi che comprendevano 14 squadriglie dislocate in massima parte nell'Italia settentrionale, due a Roma ed una a Tripoli. Ma si era lontani dagli obbiettivi prefissati a causa soprattutto dei ritardi nelle consegne industriali e del fatto che alcuni tipi di aeroplano non rispondevano alle aspettative. I velivoli erano Blériot, Neuport e biplani Farman.


La grande guerra

Tra la fine di luglio e gli inizi di agosto scoppiava in Europa il conflitto che avrebbe assunto proporzioni mondiali e tutte le grandi potenze in lotta si erano impegnate nella costituzione di una componente aeronautica. La Francia disponeva di oltre 600 aeroplani, la Russia addirittura mille, la Germania 500 aerei e 40 dirigibili ed aveva anche ideato una più corretta visione dell'arma aerea.
L'Italia, in un clima di incertezza politica e diplomatica, non aveva ancora idea da che parte schierare le truppe ed agli inizi si era dichiarata neutrale. Lo scarso potenziale industriale aeronautico aveva costretto l'Italia a rivolgersi all'estero sia per il rinnovo del parco aereo che per l'addestramento dei tecnici, in particolare Gran Bretagna, Francia, Germania e persino Stati Uniti d'America.

In Francia si acquistarono le licenze per i Farman 1914, i Neuport Caudron ed i Voisin, per i motori Gnôme e Caonton-Unné. In Germania per gli Aviatik e gli Albatros e per i motori Maybach, ma con la guerra la Germania bloccò le esportazioni, mentre Francia e Regno Unito posero condizioni politiche.

La mancanza di un riordino dell'aeronautica ostacolò la creazione di nuove componenti dato che sia il Règio Esercito che la Règia Marina erano restii a privarsi di personale valido. A fine autunno del 1914 un programma prevedeva la costituzione di nuove squadriglie, ma l'industria non riusciva a produrre che meno di dieci aerei al giorno. In questa situazione nacquero industrie quali la Macchi, la Società Anonima Meccanica Lombarda, la Savoia e la Società Idrovolanti Alta Italia.

L'ingegner Gianni Caproni concepiva, già nel 1913, un biplano trimotore di dimensioni generose, inconsuete ad esclusione del bombardiere quadrimotore Sikorskij S-22 "Il'ya Muromez" (nome di un eroe delle leggende russe).

Dopo varie traversie politico-burocratiche il Corpo Aeronautico divenne operativo, immediatamente subordinato all'Arma del Genio del Règio Esercito, con una Direzione Generale dell'Aeronautica al Ministero della Guerra affidata al colonnello Maurizio Mario Moris.

Il Comando dell'Aeronautica comprendeva il Battaglione Dirigibilisti, il Battaglione Aerostieri e lo stabilimento di costruzioni aeronautiche, mentre il Comando dell'Aviazione comprendeva un Battaglione Aviatori, un Battaglione Scuole Aviatori, una direzione tecnica dell'aviazione militare e un Istituto Centrale Aeronautico.

Uno stanziamento di 16 milioni e mezzo di lire era destinato agli approvvigionamenti dell'arma aeronautica e della aviazione della Marina (5 milioni di lire), ma la somma venne giudicata insufficiente soprattutto se confrontata con il bilancio delle altre aviazioni, e venne quindi aumentata a quasi 17 milioni di lire per la sola aviazione dell'esercito consentendo l'ordinazione di 193 aeroplani e 330 motori. Il problema del personale venne risolto creando un organico proprio, comprendente 374 ufficiali provenienti da tutte le armi.

La politica interventista dell'onorevole Salandra portò ad un'intensa preparazione bellica. Gli aeroplani a disposizione dell'aviazione dell'esercito erano complessivamente 86 ripartiti in 15 squadriglie, delle quali solo 12 operative con 75 apparecchi. I piloti con brevetto militare erano 70, con altri 20 in corso di istruzione, 40 riserve o istruttori nelle scuole.
L'aviazione della Marina aveva a disposizione una trentina di idrovolanti, ma nessuno di essi era impiegabile bellicamente, e due dirigibili, e disponeva di 12 piloti di prima linea.

L'esercito austriaco disponeva di 96 aerei ed un dirigibile. L'aviazione italiana non aveva compiuto nessun miglioramento tecnologico dalla guerra di Libia ed il giorno 24 maggio 1915, quando fu data l'autorizzazione a passare il confine, gli aeroplani italiani poterono compiere solo ricognizioni. La notte dello stesso 24 maggio gli idrovolanti austriaci bombardarono Venezia. Questa e le altre incursioni in territorio veneto ebbero almeno il risvolto di suscitare attenzione verso l'arma aeronautica.

Nei primi mesi di guerra l'aviazione austroungarica effettuò numerose incursioni, in particolare a Venezia, Padova, Treviso e Milano, che fu bombardata il 14 febbraio del 1916 da 11 biplani Lloyd e Lohner B-VII partiti dal Trentino. A La Spezia toccò l'11 luglio, da un solo Brandenburg pilotato dal sergente Joseph Siegel, a Napoli il 10 marzo, dal dirigibile tedesco L-59, partito dalla Bulgaria. I danni furono lievi, ma si ebbero molte vittime civili. A protezione di Napoli, dopo il bombardamento, fu schierata una squadriglia di idrocaccia della Marina con sede a Pozzuoli, mentre per la difesa di Milano furono impiegati anche i trimotori Caproni.

Fin dal 1916 venne distaccato a Valona, in Albania, l'8° Gruppo, mentre il 21° era schierato a Sakulevo in Macedonia. In Francia si trasferì invece il 18° Gruppo composto da tre squadriglie di Caproni, dove operarono assieme all'aeronautica francese. In Libia si trovavano la 104ª e la 106ª Squadriglia Farman e la 12ª Caproni contro gli insorti che minacciavano le città sulla costa, dove la guarnigione italiana si era ridotta. I tedeschi avevano istallato a Misurata una potente stazione radio per comunicare con i sommergibili, la quale venne distrutta dagli aerei italiani nel settembre del 1918.

La minaccia dei sommergibili era stata di tale portata nel Mediterraneo che le forze italiane furono costrette a creare un servizio di sorveglianza formato da 20 idrovolanti e 10 dirigibili lungo tutte le rotte. Nel 1916 contro 154 incursioni italiane ve ne furono 562 austriache, ma nel 1918 quelle austriache furono 542 e quelle italiane 1.224.

In base ad un accordo con la Francia che prevedeva la mutua assistenza, una squadriglia di Nieuport da caccia atterrò sul campo di Venezia Lido affiancata da una squadriglia di idrovolanti FBA (Franco-British Aviation Company) a Sant'Andrea.

L'aeronautica italiana compì un enorme sforzo per restare al passo di quella nemica, mentre già alla fine di giugno la linea degli apparecchi era già profondamente usurata. Gli aerei vennero ritirati, passati alle scuole di volo, e sostituiti dai nuovi modelli di Farman. Gli Aviatik biposto costruiti dalla SAML (Società Anonima Meccanica Lombarda), vennero inizialmente adottati per la difesa di Udine, Verona e Brescia.

Finalmente, nel novembre del 1915 fu possibile attrezzare quattro squadriglie operative con i Caproni Ca.32 (300 hp), trimotori in grado di sganciare quattro quintali di bombe addentrandosi per un centinaio di chilometri in territorio nemico e con un equipaggio di quattro uomini.

Agli inizi questi aeroplani erano impiegati in azioni poco appropriate, ovvero come una specie di artiglieria volante da contrapporre a quella nemica a terra. Le perdite furono assai dolorose.

Con l'avvento dei motori da 450 Cv (331 kW o 444 hp) furono attaccate le basi ed i porti più lontani. Il 17 maggio venne attaccato il porto di Pola, base della flotta austriaca. Fino ad allora compito dei dirigibili, vennero effettuate anche incursioni notturne.

Nel 1917 si accorparono le squadriglie di bombardieri nel Raggruppamento Bombardamento, il quale comprendeva il 4°, l11° ed il 14° Gruppo, con dodici squadriglie, al comando del Tenente Colonnello Egidio Carta, dipendente dell'Ufficio Servizi del Colonnello Riccardo Moizo. Più tardi invece il Raggruppamento Bombardamento fu affiancato a quello da caccia sotto un Comando Aeronautica del Colonnello Ernesto La Polla. Nell'ottobre del 1918, l'Italia disponeva di 58 bombardieri e di 210 caccia, comprese le quattro squadriglie della Marina con i biplani Ca.44 (Ca.5), da 600 Cv, ed i grandi triplani Ca.40 (Ca.4) da 1.200 Cv, con un carico bellico di 3.000 kg, per un peso totale di 6.500 kg.

Il 25 dicembre del 1917 l'asso canadese Capitano William George Baker del 28° Squadron britannico basato ad Istrana (Treviso) piombò da solo sul campo della 204ª Jasta tedesca da ricognizione con il suo Camel B6313 lasciando lo scompiglio. Il giorno successivo i tedeschi organizzarono una pronta risposta e, alle 8:30 della mattina, 25 Albatross, più i caccia di scorta, piombarono sul campo di Istrana, dove erano il 6° ed il 10° gruppo caccia italiani. Undici caccia italiani riuscirono a decollare, abbattendo otto aerei tedeschi senza riportare perdite.

I bombardieri effettuarono numerose incursioni e anche i caccia ottennero la superiorità aerea durante l'offensiva finale sui cieli dei combattimenti. Tutti i caccia italiani erano di progettazione francese, tranne l'Ansaldo A.1 Balilla, agile biplano, il quale però giunse troppo tardi nel conflitto per essere utilizzato concretamente.

L'Italia schierò almeno 60 dirigibili, seconda solo alla Germania, sia per numero che per intensità di impiego. Dieci dirigibili andarono perduti in combattimento e quattro in incidenti.

Nel 1918 arrivò il velocissimo S.V.A., progettato dagli ufficiali ingegneri Umberto Savoja e Rodolfo Verduzio per l'Ansaldo. Eccezionale nella salita e per la velocità, era reputato poco maneggevole e agli inizi venne adottato per la ricognizione, nella quale si dimostrò eccezionale. Fu anche usato come cacciabombardiere d'appoggio tattico alla Cavalleria. Il 9 agosto lo SVA fu protagonista del celebre volo su Vienna. 11 SVA della 87ª squadriglia partirono da San Pelagio, una località nei pressi di Padova, di cui tre furono costretti al rientro, mentre gli altri attraversavano le Alpi sulla rotta Udine-Klagenfurt, alla quota di 3.500 metri. L'aereo del Tenente Sarti era costretto ad atterrare in vista della meta, gli altri sette giunsero su Vienna, compreso Gabriele D'Annunzio, sullo SVA numero 10 pilotato dal Capitano Natale Palli.

Lo sforzo bellico italiano aveva prodotto 12.000 aeroplani e più di 24.000 motori, superata da Francia, Germania e Regno Unito, seguita da Russia, Austria e Stati Uniti d'America. Tornata la pace, si guardò all'impiego civile dell'aereo e anche molti piloti militari si rivolsero verso quest'ambito.

Nel 1920 si ricorda il notevole raid Roma-Tokyo compiuto da due SVA, pilotati da Arturo Ferrarin e Guido Masiero. L'impresa era stata pensata da D'Annunzio, che non partecipò. Parteciparono cinque Caproni e sette SVA, tra i quali quelli di Ferrarin e Masiero che fungevano unicamente da staffette, con aerei usati, ma che furono gli unici ad arrivare, entrando nella Storia dell'Aviazione.

L'istituzione della Regia Aeronautica

Al termine della guerra, la smobilitazione ridusse i ranghi dell'aeronautica. Tuttavia in Libia, l'operazione di riconquista vide protagonisti gli SVA ed i Ca.33-Ca.36, che, oltre alle azioni di bombardamento e ricognizione, si occupavano anche del rifornimento delle truppe per i generi di prima necessità.

Nel febbraio del 1922, il 10° Battaglione Ascari Eritrei venne assediato dai ribelli ad Azizia (‘Azīziyya, Tripolitania) e la sola possibilità di collegamento era quella aerea. Cinque Caproni trasportavano truppe fresche all'andata ed evacuavano feriti e personale civile al ritorno, questo fu il primo ponte aereo della Storia.

In patria l'aeronautica venne organizzata in Raggruppamenti: bombardamento - ricognizione, caccia e dirigibili. Gli aerei disponibili erano 273, mentre la Marina contava su 54 idrovolanti. Nel suo primo gabinetto Benito Mussolini elesse i due direttori generali Giulio Douhet, per l'aeronautica militare, e Arturo Mercanti per l'aviazione civile.

La Règia Aeronautica venne istituita con il regio decreto 645 del 28 marzo 1923. Il primo comandante dell'aeronautica (la carica di capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica non era stata ancora istituita) fu il generale Pier Ruggero Piccio. Il Generale volle subito iniziare a rendere l'Aeronautica un'Arma all'altezza del compito. Impose a tutti quelli che avevano richiesto di farne parte come piloti, di prendere il brevetto relativo. Inoltre un giorno prefissato impose a tutti gli stormi e le scuole di levare in volo tutti gli aeroplani in condizioni. Dei quasi 300 apparecchi, solo 66 riuscirono a decollare. Il 31 ottobre 1923 circa 300 tra aeroplani ed idrovolanti convergettero su Roma per prendere parte ad una parata e gli stessi aeroplani furono schierati a Centocelle il pomeriggio del 4 novembre il giorno in cui venne consegnata la bandiera all'Arma Aeronautica.

In quell'occasione il Presidente del Consiglio disse: «Siamo obbligati ad una politica fortemente aviatoria. Basta porsi sotto gli occhi una carta geografica per vedere che l'Italia non avrà mai un numero sufficiente di aeroplani per difendersi».

Il primo capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica fu lo stesso generale Piccio, nel 1925. Il 30 agosto venne costituito il Ministero dell'Aeronautica, con tre Direzioni Generali: Personale Militare e Scuole Aeronautiche, Personale Civile Aeronautico e Genio Aeronautico.

Nel 1925 lo spazio aereo italiano venne diviso in cinque zone aeree:

la 1a zona a Milano;
la 2a zona a Bologna;
la 3a zona a Napoli;
la 4a zona a Palermo;
la 5a zona a Cagliari.
L'armata era suddivisa invece in tre squadre, le quali erano a loro volta suddivise in divisioni, quest'ultime in brigate e stormi, gli stormi in gruppi, i gruppi in squadriglie. Le squadriglie dell'armata erano 78[1], mentre le squadriglie da ricognizione erano 57 e quelle da ricognizione marittima erano 35, con piloti dell'aeronautica ed equipaggi del Regio Esercito e della Regia Marina.

Attraverso l'opera di Italo Balbo, dapprima sottosegretario (1926), e poi ministro dell'aviazione (1929), venne dato grande impulso alla nuova arma aerea: furono costituite scuole di alta quota e di alta velocità, furono effettuate crociere collettive del Mediterraneo occidentale (1928), del Mediterraneo orientale (1929), la trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931) e la crociera di 24 apparecchi sul tragitto Roma-New York (1933), tutte imprese che ebbero vasta risonanza internazionale. I primati internazionali colti dall'aviazione italiana furono numerosissimi.

Parallelamente alla crescita aerea si sviluppò l'industria aeronautica che produceva materiali molto apprezzati all'estero e che venivano acquistati da una quarantina di Paesi quasi tutti extraeuropei. Il primo collaudo bellico della nuova arma si ebbe nella campagna etiopica durante la quale l'aviazione, che vi impegnò circa 500 aerei, ebbe parte importante e in qualche caso determinante, favorita dal completo dominio del cielo. Alla guerra di Spagna l'aviazione italiana partecipò con oltre 700 aerei e quasi 6.000 uomini, dando prova di efficienza e maturando esperienza nel combattimento aereo. Bisogna però sottolineare che la difesa aerea nemica era molto scarsa e poco agguerrita, falsando così il giudizio generale degli strateghi, che sopravvalutarono le effettive capacità degli aerei. Questo errore fu decisivo perché allo scoppio della seconda guerra mondiale la maggior parte dei velivoli si rivelò inadeguata e superata rispetto ai moderni mezzi alleati.

Il 28 ottobre del 1931 fu inaugurato il nuovo palazzo sede del Ministero dell'Aeronautica e del relativo Stato maggiore, disegnato dall'architetto Roberto Marino.

Ancora in guerra

La Regia Aeronautica, nella metà degli anni trenta, appariva come una delle migliori forze aeree sulla scena mondiale,[4] grazie anche al successo del caccia biplano FIAT C.R.32 nella guerra civile spagnola ed alle imprese aviatorie compiute. La realtà era però sostanzialmente un'altra, dato che le imprese in cui si era cimentata l'Aeronautica avevano spinto la sua evoluzione in una direzione sbagliata.
Seguendo la politica del riarmo di Mussolini, l'industria aveva fornito all'Aeronautica militare del Regno ottimi apparecchi. Il battesimo del fuoco dell'Arma aerea avvenne durante la riconquista della Libia (dal 1922 al 1932) in operazioni contro i ribelli in appoggio alle truppe di terra. Gli aerei impiegati furono all'inizio, i vecchi bombardieri Caproni e successivamente gli IMAM Ro.1, i Caproni Ca.73 e i Caproni Ca.101.


La guerra civile spagnola

Ma i primi veri e propri scontri aerei avvennero sui cieli della Spagna. Nel 1936 Mussolini fu il primo a fornire aiuto ai Nacionales di Franco. L'impegno della Regia Aeronautica in Spagna durò dall'agosto 1936 al marzo 1939. Nei primi tre mesi arrivarono 9 Savoia-Marchetti S.M.81 (ne erano partiti 12 ma tre si persero a causa del sovraconsumo di combustibile dovuto al vento contrario ed al volo in formazione), 45 FIAT C.R.32 e 21 ricognitori IMAM Ro.37bis nell'Aeronautica Legionaria. Nella zona delle isole Baleari operarono 6 Savoia-Marchetti S.M.81 e 9 FIAT C.R.32.

Fu subito chiaro che non esisteva un caccia capace di competere con il FIAT C.R.32, e questo valeva sia nel caso degli apparecchi repubblicani, Polikarpov I-15bis ed I-16 sovietici e Dewotine D.371 francesi, che nel caso di quelli della Legion Condor (il contingente tedesco) con i suoi 24 Heinkel He 51, ritenuti dallo stesso Franco inadeguati.[6] Anche i veloci bombardieri Savoia-Marchetti S.M.81 ed i FIAT B.R.20 erano impossibili da intercettare per i caccia repubblicani e molto apprezzati dagli spagnoli.[4] Il bombardamento nazionalista solo in pochi e noti casi toccò i centri abitati, molto spesso per l'insistenza di Mussolini, dato che Franco preferiva non infiammare ulteriormente gli animi del popolo spagnolo.

In particolare gli S.M.81, benché pochi, svolsero numerosissime missioni sia strategiche, con bombardamenti di obbiettivi vitali, che tattiche appoggiando le truppe di terra. Ma alla fine di ottobre 1936 l'URSS inviò un più congruo numero di aiuti, tra i quali 117 apparecchi per il fronte di Madrid ed altri 30 per quello basco. Il 7 novembre 1936 quando i nazionalisti attaccarono Madrid, fu subito chiaro che i caccia He 51 tedeschi non erano minimamente in grado di misurarsi con i rivali sovietici, tanto che la Legione Condor sospese le operazioni di quegli aerei.

In un vertice a Roma, il 6 dicembre, tra Mussolini, alcuni ministri e l'ammiraglio Wilhelm Canaris si decise di dividere l'onere del riarmo di Franco in modo tale che agli italiani sarebbe spettato il compito di fornire gli aerei da caccia ed ai tedeschi quelli da bombardamento (vi fu anche un tentativo appoggiato dagli spagnoli di fornire caccia italiani ai tedeschi, ma fu immediatamente rifiutato).

Il 22 dicembre 1936 sbarca a Cadice il Corpo Truppe Volontarie ed il contingente degli S.M.81 viene portato a 16. In febbraio vennero definitivamente ritirati dal combattimento tutti gli He 51 per manifesta inferiorità tecnica. Ai primi di marzo del 1937 l'Aviazione Legionaria poteva contare su 81 apparecchi, la Legion Condor 15 e l'Aviaciòn Nacional 61. Durante l'offensiva nazionalista a Guadalajara, durata dal 6 al 22 marzo, gli apparecchi della Aviazione Legionaria, portati il più vicino possibile alla battaglia, si trovarono in difficoltà a causa delle avverse condizioni meteo. In quel periodo arrivarono alcuni nuovi Heinkel He 111.

Dopo Guadalajara l'Aviazione Legionaria fu ulteriormente potenziata in tutte le componenti e durante la battaglia di Brunete impressionanti masse aeree si contenderono il dominio dei cieli. Infatti l'aviazione repubblicana disponeva di 90 I-16, 105 I-15 e 195 bombardieri e ricognitori, mentre i nazionalisti contavano su 122 FIAT C.R.32 e 13 Messerschmitt Bf 109B1. I due gruppi da caccia italiani Cucaracha (XVI gruppo) ed Asso di bastoni (I gruppo) fecero la parte del leone centrando 64 degli 80 apparecchi sovietici abbattuti.

Gli apparecchi italiani erano sempre più richiesti ed al 10 dicembre del 1937 l'Aviazione Legionaria poteva contare su 56 caccia e 48 bombardieri, mentre la Legion Condor e l'Aviaciòn Nacional disponevano complessivamente di 36 caccia e di 40 bombardieri, senza contare che i nazionalisti volavano su caccia C.R.32 e bombardieri S.M.79.

Al termine della battaglia di Turiel (22 febbraio del 1938) l'Aviazione Legionaria era forte di 168 aerei in efficienza, l'Aviaciòn Nacional 116 e la Legion Condor 96. Nessun caccia repubblicano ebbe mai ragione degli S.M.79 o dei B.R.20, dotati di un armamento difensivo migliore degli Heinkel He 111 e dei Dornier Do 17. Gli Junkers Ju 52, che gli spagnoli chiamavano con disprezzo «los camiones», furono rimpiazzati con 25 Savoia-Marchetti S.M.79, mentre nel maggio del 1938 a causa della crisi con la Cecoslovacchia, Hitler aveva sospeso gli aiuti a Franco.

Alla battaglia dell'Ebro (27 luglio 1938) i reparti italiani costituivano il grosso dell'aviazione di Franco. Sull'Ebro comparvero anche tre bombardieri da picchiata Junkers Ju 87 Stuka che, assieme ai Breda Ba.65 d'assalto, furono molto apprezzati per la loro precisione di tiro. Anche i nuovi Bf 109C cominciavano ad essere efficaci contro i caccia repubblicani (sull'Ebro solo 3 Bf 109C andarono persi a fronte di 23 abbattimenti, mentre andarono persi 6 FIAT C.R.32 contro 78 abbattimenti).

Il 23 dicembre 1938 durante la decisiva offensiva nazionalista su 365 apparecchi in linea 84 erano tedeschi, 145 nazionalisti e 136 italiani, inoltre tutti gli apparecchi da caccia nazionalisti, 45 FIAT C.R.32, erano italiani così come il 70% dei bombardieri. La Germania nazista contribuì in totale per un complessivo di 500 reichmark (15 000 specialisti, 593 arei, 100 carri armati, 600 cannoni ed altro), mentre l'Italia per 6 miliardi di lire (75 000 uomini, 6 000 aviatori, 764 aerei, 157 carri armati, 1 800 cannoni).

La Regia Aeronautica capì che erano necessari nuovi caccia più maneggevoli, ad ala monoplana con carrello retrattile ed abitacolo chiuso. Il nuovo apparecchio, il FIAT G.50, venne provato verso la fine della guerra nel 1938 (furono inviati 12 apparecchi di preserie), ma ormai gli avversari erano stati battuti e quindi non furono effettivamente provate le sue qualità, invero non così eccellenti per un aereo che avrà una carriera relativamente lunga.

Il 10 giugno del 1939 1 800 aviatori si imbarcavano sul Duilio a Cadice per tornare in Italia, a Genova. In Spagna rimanevano 193 caduti. Furono venduti al governo franchista tutti i velivoli (765 in totale), tranne qualche S.M.81 che necessitava di essere revisionato in patria.

In Cina, dove i giapponesi avevano ricevuto un certo numero di FIAT B.R.20, gli italiani poterono avere un riscontro della qualità dei loro velivoli in condizioni meno favorevoli. I giapponesi infatti subirono severe perdite contro gli stessi Polikarpov I-15bis ed I-16 che avevano combattuto in Spagna.

La rivolta del Goggiam

Tra il 1937 ed il 1940 le forze armate italiane in Africa Orientale si trovarono impegnate in una dura lotta contro i guerriglieri, in particolare nella regione del Goggiam nel governatorato dell'Amhara. La sera del 9 maggio 1936 Mussolini aveva proclamato la nascita dell'Impero italiano in Africa Orientale e la fine della guerra in Etiopia. In realtà più di tre quarti del territorio etiope erano sotto il controllo di due armate etiopiche e decine di migliaia di guerriglieri al comando dei feudatari amhara. Inoltre in agosto, nella stagione delle grandi piogge, Addis Abeba era rimasta praticamente isolata fino alla fine del settembre del 1936. Gli approvvigionamenti erano arrivati grazie alla linea ferroviaria di Gibuti, spesso assaltata dai guerriglieri, e al ponte aereo di Savoia-Marchetti S.M.81 e Caproni Ca.133 tra il porto di Assab ed il centro ferroviario di Dire Daua.

Cessate le piogge e ripristinati i contatti con la capitale, furono inviati 80 000 soldati italiani, 105 000 indigeni e 8 600 uomini dell'Aeronautica, con 250 aeroplani.
Con queste forze furono sbaragliate le ultime resistenze nella zona. Le popolazioni borana, galla e quelle musulmane avevano preferito il governo italiano alla dominiaziona amhara. Anche una parte dei feudatari amhara avevano giurato fedeltà al Regno d'Italia.

Il clima che si avviava alla distensione, però, venne guastato dall'attentato avvenuto durante una cerimonia ad Addis Abeba il 19 febbraio del 1937, dove venne ferito lo stesso viceré Rodolfo Graziani ed il generale Liotta, comandante dell'Aeronautica dell'Africa Orientale italiana. La reazione italiana colpì indistintamente popolazione civile e personaggi ritenuti poco affidabili. Questi fatti non interruppero comunque gli sforzi italiani per migliorare le infrastrutture etiopi.

Alla fine del maggio 1937 le principali basi aeree italiane dei governatorati erano state dotate di piste di volo preparate per ogni condizione atmosferica. Il campo di Addis Abeba era dotato di solide piste in macadam drenante ed aviorimesse. Intanto il generale Gennaro Tedeschini Lalli era il nuovo comandante dell'Aeronautica dell'Africa Orientale italiana, subentrato al generale Liotta quando la situazione si era ormai calmata. Infatti se nel gennaio del 37' erano state sganciate 126 t di esplosivo, nel luglio dello stesso anno ne erano state usate solo 16 t.

La Regia Aeronautica aveva nella zona 35 squadriglie dislocate in quattro settori (ridotti a 3 dopo la fine della guerriglia nell'Harrar), con un totale di 258 velivoli, di cui 163 in linea di volo ed altri 158 in riparazione. Vi era una scarsità di uomini a causa del fatto che la Regia era impiegata anche sul fronte spagnolo con l'Aviazione Legionaria.

Nell'agosto del 1937 una rivolta di vaste proporzioni divampò nel Goggiam, l'epicentro, nel Lasta e nel Baghemeder. Il Goggiam era una regione particolarmente isolata dell'Etiopia, a circa 2 500 m dal livello del mare, con al centro i monti Ciocché (4 300 m) circondata dal Nilo azzurro o Abbai e dalle zone semidesertiche del Sudan. La natura aveva incoraggiato lo spirito di indipendenza locale, sia contro il Negus che ora contro gli italiani, all'inizio accolti come liberatori. Gli stessi italiani infatti avevano fornito ai goggiamiti armi e rifornimenti per combattere l'autirità del Negus.

Le guarnigioni italiane erano state prese di sorpresa dalla rivolta ed avevano dovuto ritirarsi nei centri principali. Solo l'aviazione aveva potuto dare una mano, con bombardamenti sui ribelli. Nell'ultima settimana di agosto una quarantina di bombardieri dovette fare l'impossibile per aiutare i distaccamenti di truppe isolate, scaricando 20,7 t di bombe, in particolare sugli uomini del degiac Hailù Chebbedè che assediavano Socotà.

Il 23 agosto 300 uomini al comando di Umberto Nobile, del XXV battaglione coloniale, furono circondati nel Beghemeder da un migliaio di armati. Il 31 furono distrutte due compagnie che marciavano in loro soccorso e fu solo grazie all'intervento di un Caproni Ca.133, che riuscì a localizzarlo ed a rifornirlo di munizioni, che il distaccamento scampò al massacro. Anche il presidio di Danghila sopravvisse grazie all'Aviazione.

In settembre, malgrado il persistere di avverse condizioni atmosferiche, gli aerei continuavano la loro operazione di protezione delle forze terrestri. In ottobre alcuni Ca.133 furono spostati ad Alomanatà. La ribellione prendeva più vigore, obbligando l'aviazione ad intensificare le missioni. Il 24 ottobre sue S.M.81 ed un Ca.133 di Addis Abeba avevano bombardato con iprite (10 bombe C.500T) l'incrocio delle carovaniere Bot Gheorhis e Burié-Dembeccià, luogo di transito delle salmerie ribelli. Nello stesso mese vennero compiute missioni analoghe.

In novembre la situazione era peggiorata anche nel Goggiam meridionale. Il 21 novembre l'aviazione intervenne per allentare la morsa su Dembeccià, Burié, Fagutta e Sikilà ed altri centri attorno ad Engiabara. Il giorno successivo 12 Ca.133 bombardarono tutta la regione. Il martellamento indiscriminato però non faceva altro che inasprire gli animi degli etiopi che ingrossavano le file delle popolazioni ribelli. Uno dei più temibili capi della rivolta era il degiac Mangascià Giamberè, un feudatario del Goggiam meridionale. A lui si unirono molte popolazioni ribelli che insieme riuscirono a battere gli italiani.

I Caproni Ca.133 continuarono le operazioni di bombardamento ed attacco al suolo anche in dicembre. Gli aerei erano abbastaza resistenti all'artiglieria leggera dei ribelli, ma gli equipaggi rischiavano la vita. Anche il presidio di Uomberà resisté grazie ai rifornimenti ed agli spezzonamenti aerei. A fine dicembre il capitano Farello riuscì ad effettuate sortite da Motà da dove era assediato ed a battere i ribelli.

Il tenente colonnello De Laurentis era caduto in un agguato del degiac Manguscià, dove perse due ufficiali e 141 coloniali, e si ritirò fortunosamente a Tisisat Dil Dil. Il 30 novembre venne raggiunto da rinforzi e con questi liberò Adiet Tul ed il XXVII battaglione coloniale dall'assedio dei ribelli. Il comandante Barbacini, forte ora di otto battaglioni e numerose mandrie razziate, si diresse verso Isorà. Il comandante non comprese il problema di avere una formazione così lenta e poco difesa contro le veloci incursioni dei ribelli. Inoltre tutto il territorio dell'Amhara erano in servizio solo 12 bombardieri ricognitori, troppo pochi per assicurare la difesa della colonna di Barbacini. Non era possibile mantenere in efficienza più apparecchi a causa della scarsità dei rifornimenti che provenivano dalle lontane basi eritree. Il giorno 6 dicembre tre Ca.133 furono chiamati a ripulire una zona dove sarebbe dovuta transitare la colonna, ma le spezzoniere ed i colpi di mitragliatrice a bassa quota non furono efficaci contro i ripari di roccia usati dagli etiopi. L'attacco decisivo di Manguscià si scatenò la mattina del 7 dicembre, tra il monte Ligg ed il villaggio di Rob Gheveà quando i guerriglieri calarono dall'Amba Isorà seguiti da ribelli armati di lance e vecchi fucili. I ribelli riuscirono ad isolare i battaglioni in difesa delle salmerie. Due Ca.133 spezzonarono inutilmente la zona per togliere la pressione. La battaglia proseguirono fino al pomeriggio, quando ormai i battaglioni della retrovia erano ridotti a combattere corpo a corpo con i ribelli. I Ca.133, crivellati di colpi dell'improvvisata contraerea etiope, continuavano a mitragliare a bassa quota (circa 20 m). Il maresciallo motorista Guido Giorgi, benché ferito da una pallottola esplosiva (asportate parti del naso e della mascella ed una profonda ferita al petto) riusciva a tappare con le mani una tubazione di alimentazione della benzina ed a resistere così fino al ritorno al campo di Bahar Dar. Nel combattimento furono uccisi 196 coloniali, venti ufficiali italiani caddero sul campo, sette ebbero il tempo di rimpiangere la sorte dei compagni e due furono lasciati in vita da Manguscià.

Il giorno dopo quattro Ca.144 attaccarono i ribelli mentre terminavano le spartizioni, lasciando la possibilità al grosso delle forze italiane di rifugiarsi a Mancit. Nei giorni successivi si unirono ai bombardamenti di quanto rimaneva dei ribelli altri bombardieri sino al 22 gennaio del 1938. Gli italiani impararono la lezione ed il nuovo viceré, il Duca d'Aosta, proibì di razziare bestiame e l'uso di aggressivi chimici. Per la fine dell'anno gli italiani riuscirono a riprendere il controllo della situazione.

Ciò nonostante Manguscià riuscì ad eludere la caccia italiana, fino a quando nel 1941 da inseguito divenne inseguitore, allorché gli italiani, privati dei rifornimenti ed incalzati dalle divisioni britanniche, dovettero ritirarsi.


La seconda guerra mondiale

Dall'esperienza della guerra in Spagna i vertici dell'Aeronautica non trassero un buon insegnamento: non si valutò appieno l'importanza dell'aviazione tattica così come non si tennero d'occhio le novità introdotte nelle altre aeronautiche, come ad esempio i nuovi Me 109, molto più veloci delle controparti italiane e gli unici capaci di raggiungere i bombardieri Tupolev SB-2 (Скоростной бомбардировщик, appunto bombardiere veloce). Inoltre l'evoluzione dell'Aviazione fu disorganica e discontinua, con un disordinato via vai di equipaggi. Fin dal 1936 lo Stato Maggiore aveva incominciato l'operazione R (rinnovamento), da attuarsi entro il '40, che prevedeva per l'Arma 27 stormi da bombardamento, un gruppo di bombardieri a lungo raggio, 2 stormi ed un gruppo da bombardamento marittimo, uno stormo da trasporto, 10 dieci stormi da caccia terrestre, un gruppo da caccia marittima, due stormi d'assalto (ovvero da appoggio tattico).

L'evidente sproporzione tra caccia e bombardamento era dovuta alla sicurezza nelle doti velocistiche degli S.M.79, B.R.20 e dei futuri CANT Z.1007, assolutamente imprendibili per un FIAT C.R.32, ma assolutamente alla portata dei caccia esteri di nuova generazione. Infine si scelsero troppi tipi differenti di apparecchio per le varie specialità, col risultato di una difficile industrializzazione ed una altrettanto difficile gestione logistica di pezzi di ricambio e specialisti.

Il 31 ottobre 1939 divenne capo di Stato Maggiore il generale Francesco Pricolo. A fine agosto la Germania invase la Polonia, mentre Francia e Regno Unito scesero in campo a fianco della Polonia: era la guerra.

L'Italia scelse di dichiararsi inizialmente "non belligerante", a causa anche dell'impreparazione per un conflitto. I notevoli successi tedeschi al fronte fecero però cambiare idea a Mussolini che il 10 giugno del 1940 dichiarò guerra a Francia ed Inghilterra.

Al momento dell'entrata in guerra l'Arma aerea contava su 23 stormi da bombardamento terrestre, 2 da bombardamento marittimo, 6 stormi ed 8 gruppi da caccia, 1 stormo e due gruppi d'assalto oltre all'Aviazione da osservazione aerea e da ricognizione marittima per un totale di 3 296 apparecchi di cui 1 795 in efficienza.

Battaglia delle Alpi Occidentali.

Sul fronte francese operava la 1ª Squadra Aerea con tre stormi da bombardamento e tre da caccia, in appoggio anche la 2ª Squadra Aerea e l'Aeronautica della Sardegna contro la Corsica e la Francia meridionale. I FIAT C.R.42, pur efficaci, evidenziarono carenze in termini di velocità ed armamento nei confronti dei rivali d'oltre Alpe. A causa della scarsa penetrazione delle forze terrestri sul suolo nemico, il Comando italiano decise di concentrare gli sforzi dell'Arma aeronautica sulle Alpi per ottenere risultati. Un proposito poco assennato e che non portò come è intuibile nessun frutto. Intanto il 22 giugno la Francia capitolava, in questo modo la 5ª Squadra Aerea in Libia poteva concentrarsi sul fronte egiziano.

Campagna del Nord Africa.

Qui l'Aviazione ricevette il compito di contrastare le rapide incursioni inglesi (anche 400 km) sul territorio occupato dagli italiani. Negli attacchi ai commandos britannici vennero impiegati persino gli S.M.79 e, con più successo, i Breda Ba.65, troppo presto accantonati, e qualche FIAT C.R.32 veterano. I caccia italiani si trovavano già in difficoltà contro i Blenheim, ma quando furono in linea anche gli Hurricane si dovette attendere l'arrivo dei Fiat G.50 e dei Macchi M.C.200 per ristabilire un certo equilibrio.

In autunno l'Armata italiana era giunta sino a Sidi el Barrani, ma già in dicembre i britannici costringevano gli italiani ad una prima ritirata dalla Cirenaica. L'Aviazione italiana dovette intervenire ripetutamente per rintuzzare un avversario inferiore in numero ma superiore per agilità e per qualità di armamento.

Anche la decisione di istituire un Corpo Aereo Italiano fu penalizzante. Furono inviati in Belgio due stormi da bombardamento (il 13º ed il 43º, un'ottantina di FIAT B.R.20) ed il 56º Stormo Caccia Terrestre. L'integrazione con le forze tedesche fu difficile, i bombardieri, privi di attrezzature antighiaccio, non potevano operare con continuità, mentre i caccia erano inferiori per quota di tangenza (quota massima raggiungibile), armamento e velocità ai temibili Spitfire. Il CAI operò dal 22 ottobre 1940 al 3 gennaio 1941. Il maggior numero delle perdite fu dovuto alle condizioni ambientali ed alla scarsa integrazione con le strutture tedesche. Alla fine il 10 gennaio il Corpo tornò in Italia.

La Regia Aeronautica partecipò attivamente in tutti gli scacchieri operativi: in Africa Orientale, nel Mar Mediterraneo, nei Balcani, in Unione Sovietica, e sul territorio nazionale. Sul fronte della Manica, tra il settembre del 1940 e l'aprile del 1941, operò un Corpo Aereo Italiano dislocato nel Belgio costituito da 4 gruppi da bombardamento terrestre, 2 gruppi da caccia terrestre e una squadriglia da ricognizione aerea terrestre.

L'aviazione subì gravi perdite nel corso del conflitto: i morti e i dispersi furono 12.000, i feriti oltre 5.000.

Al momento dell'entrata in guerra, l'aviazione italiana poteva contare su una forza di 105.430 uomini, dei quali 6.340 piloti, e disponeva di 3.296 velivoli per impiego bellico, dei quali 1.332 bombardieri, 1.160 aerei da caccia e da assalto, 497 ricognitori terrestri e 307 marittimi, oltre a più di un migliaio di aeroplani d'addestramento; ciò nonostante solamente il 54% del totale era pronto per un impiego effettivo. I velivoli erano di tipi diversi e molti già abbondantemente superati, e l'industria aeronautica italiana, sia per la carenza di materie prime sia anche per manchevolezze organizzative, non riuscì a tenere il passo con quelle degli altri paesi in guerra. Dal giugno 1940 al settembre 1943 furono prodotti soltanto 10.388 aerei, non sufficienti a compensare le perdite subite; inoltre la produzione industriale fu dispersa nella costruzione di diversi tipi di aerei, invece che concentrarsi su pochi ma validi modelli.

Al momento dell'armistizio l'aviazione poteva contare ancora su 1.200 aerei, soltanto metà dei quali efficienti. Durante questo periodo vennero a formarsi due forze aeree italiane: una che operava nel nord Italia ai comandi della Repubblica di Salò, l'altra che operava al sud inquadrata della Balkan Air Force alleata, adoperando anche mezzi alleati come i Bell P-39 Airacobra.

La Regia Aeronautica Italiana compì sul cielo di Frascati la sua ultima missione in contrasto all'azione degli alleati di bombardamento della città e vi bruciò quanto vi restava dei suoi stormi.

Il 2 giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica Italiana, la Regia Aeronautica cessò di esistere, per prendere la denominazione di Aeronautica Militare.


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Tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Regia_Aeronautica

 
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view post Posted on 15/9/2008, 16:01
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La bella descrizione storica che hai riportato, mi ha fatto pensare ad una lapide che spesso vedo nel tornare a casa e che si riferisce ad un ufficiale caduto nel primissimo periodo delle esperienze aviatorie militari.
Il Capitano Arnaldo Ulivelli morì il 2 giugno del 1907 dopo essere precipitato con il proprio aerostato sulla via Cassia, poco distante dall’incrocio con Via della Camilluccia .
Il pallone aerostatico del genio militare , partito da Ponte Milvio, fu infatti colpito da un fulmine e precipitò in fiamme da un’altezza di 500 metri. Le cronache dell’epoca riportano che il Capitano Ulivelli morì poco più tardi all’Ospedale San Giacomo, dopo aver riconosciuto la moglie ed il Re, accorsi al suo capezzale.

Il Capitano Ulivelli viene considerato un pioniere dell’Aeronautica e a lui è stata intitolata , nel 1921, una caserma del Genio a Roma.

Nel punto in cui cadde l’aerostato , sulla via Cassia , nel tratto compreso tra Via della Camilluccia e Via dell’Acqua Traversa, fu eretto un monumento, in blocchi di tufo recante una lapide in travertino a ricordo del luttuoso evento .

Ho riportato la descrizione dell'accaduto da un sito che ne descrive la commemorazione del centounesimo anniversario da parte del XX Municipio di Roma
 
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view post Posted on 16/9/2008, 20:26
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La "storia" contiene alcune imprecisioni soprattutto per la parte riguardante le origini. Prego gli amici forumisti di tenerne conto qualora intendano servirsene per i loro studi.
 
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view post Posted on 16/9/2008, 20:34
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Ecco un'altra "scheda" tratta questa volta dal sito ufficiale dell'Aeronautica Militare (http://www.aeronautica.difesa.it) che integra opportunamente quella di apertura:


LA REGIA AERONAUTICA



LA FONDAZIONE DELLA FORZA ARMATA

Le esigenze belliche avevano avuto senza dubbio l'effetto di accelerare lo sviluppo della nuova arma aerea, del suo impiego - sia pure nella contrapposizione dottrina tra aviazione d'assalto, di cui era sostenitore Amedeo Mecozzi, e aviazione strategica, propugnata già da tempo dal Douhet - e, più in generale, del progresso tecnico del materiale di volo e dell'aeroplano. A fronte di questi fermenti positivi però la situazione economica della Nazione appare gravemente compromessa dai quarantuno mesi di conflitto il che, unitamente alla mancanza di una reale volontà politica in favore dell'aviazione, relegata a rango subalterno da un Esercito e una Marina che, non dimentichiamo, erano ancora le uniche a esistere come forze armate indipendenti, provoca una vera e propria smobilitazione che, se fa segnare delle battute d'arresto, non può però fermare il cammino di quella che è ormai considerata l'arma del futuro.


Già nei primi mesi del 1919 una missione militare italiana parte per l'Argentina. Di essa fanno parte Antonio Locatelli e Luigi De Riseis. Il 2 luglio Locatelli decolla con uno SVA da Buenos Aires diretto in Cile; un'improwisa tempesta scoppiata sulla Cordigliera delle Ande, sulle quali due mesi prima era caduto il pilota argentino Matienzo, rende impossibile questo primo tentativo. L'impresa riesce il 30 luglio e viene ripetuta il 5 agosto sul percorso inverso dallo stesso Locatelli che copre i 1.500 chilometri di distanza in sette ore e mezzo. Nel volo di andata, sul punto approssimativo dove era caduto Matienzo, Locatelli lascia cadere una corona di fiori e una pergamena con le firme di tutte le donne italiane di Mendoza. De Riseis, dal canto suo, parte il 2 agosto da Rio Lujan, nei dintorni di Buenos Aires, e, risalendo il Rio della Plata, raggiunge Asunciòn, percorrendo la rotta inversa quattro giorni dopo.

Il 12 maggio dello stesso anno, intanto, Mario Stoppani e Giuseppe Grassa partono da Torino con uno SVA 5 e uno SVA 9 e, in quattro ore, raggiungono Barcellona in tempo per l'inaugurazione dell'Esposizione mondiale aeronautica. Dopo alcune esibizioni acrobatiche nella stessa città catalana e a Madrid, Stoppani rientra in Italia con un volo senza scalo di 1.900 chilometri che si conclude sull'aeroporto di Centocelle. L'opinione pubblica seguiva con grande interesse queste "gesta" delle quali venivano colti soprattutto gli aspetti di affermazione individuale e quelli tecnico-sportivi. Senza dubbio, però, l'impresa che più d'ogni altra colpì la fantasia della gente e che fu vista a livello di cultura popolare come una versione aggiornata del viaggio di Marco Polo, fu il volo Roma-Tokio. Un'impresa incredibile per l'epoca in cui si svolse e che, più concretamente, ha costituito il primo esempio pratico delle enormi possibilità dell'aeroplano e del suo impiego come moderno vettore di pace e di progresso tra i popoli.

Tra il gennaio e il febbraio del 1920, dunque, quattro trimotori Caproni partono isolatamente senza peraltro riuscire ad andare più in là dell'Asia Minore dove vengono bloccati da incidenti di vario genere. Nel marzo decollano ancora, questa volta in formazione, cinque SVA agli ordini del capitano Mario Gordesco. Anche questo tentativo non ha fortuna: l'ultimo dei cinque velivoli subisce un incidente irreparabile a Calcutta. Contro ogni previsione il successo arride invece ad altri due piloti, Francesco Ferrarin e Guido Masiero, che il 14 febbraio erano decollati da Centocelle su due SVA con a bordo due giovani motoristi, Gino Cappannini e Roberto Maretto. Partiti in aggiunta alla missione ufficiale, con alle spalle appena sette giorni di tempo per organizza-re il volo, con un "bagaglio" individuale che, come avrebbe poi scritto lo stesso Ferrarin, comprende "due chilogrammi di zucchero, una bottiglia di acqua di colonia, una camicia e un pàìo di mutande; i due arrivano in coppia fino ad Adalia per poi proseguire separatamente verso Tokio che raggiungono insieme il 31 maggio e dove sono oggetfo di eccezionali festeggiamenti che si protraggono per quarantadue giorni. In tre mesi e mezzo di viaggio i due hanno percorso circa 18.000 chilometri per complessive 112 ore di volo alla media di circa 160 km/h. I due SVA, reduci dalla Grande Guerra, e sommariamente revisionati, erano dotati solo di strumenti per il controllo del motore: un contagiri, un termometro della temperatura dell'acqua, un manometro della pressione dell'olio e un indicatore del livello del carburante. Per la navigazione Ferrarin, che era stato il solo ad arrivare con lo stesso SVA con cui era partito, si era servito di una piccola bussola prelevata da un caccia inglese Sopwith e di alcune pagine... strappate da un atlante. Per il pilotaggio nessuno strumento, nemmeno l'indicatore di velocità.

I tempi per dare alla nuova Arma quell'autonomia fino ad oggi mancatale si rivelano a questo punto maturi, se non sul piano strettamente militare, non vedendo l'Esercito e la Marina di buon occhio il sorgere di una terza forza armata che avrebbe esercitato la sua competenza su quella componente aerea che esse avevano sempre impiegato in proprio, certamente su quello politico, i cui maggiori esponenti avevano invece colto già da tempo le grandi possibilità offerte dalla carica di novità, modernità, progresso tecnico e tensione spirituale che circondava il mondo dell'aviazione. Il 24 gennaio 1923 viene istituito il Commissariato per l'aeronautica; il 28 marzo la Regia Aeronautica e, pochi mesi dopo, l'Accademia Aeronautica. Il 4 novembre, quinto anniversario della vittoria, la nuova forza armata riceve, nelle mani del suo primo Comandante, I' "asso" e medaglia d'oro Pier Ruggero Piccio, la bandiera di guerra. Il 30 agosto 1925 il Commissariato diventa Ministero.


I PRIMATI E LE TRASVOLATE

La costituzione della Regia Aeronautica in forza armata autonoma dà un nuovo impulso allo sviluppo dell'aviazione italiana che si ripropone ben presto all'attenzione del mondo con altre imprese eccezionali. Nel 1925 Francesco De Pinedo e il motorista Ernesto Campanelli volano per 370 ore su tre continenti, percorrendo con l'idrovolante S.l6ter "Gennariello", 55.000 chilometri da Sesto Calende a Melbourne, a Tokio fino a Roma. Sempre De Pinedo, questa volta con Carlo Del Prete e con il motorista Carlo Zacchetti, compie nel 1927, a bordo dell'S.55 "Santa Maria", una crociera di 46.700 chilometri sul percorso Elmas-Porto Natal-Rio de Janeiro-Buenos Aires-Asunciòn-New York-Terranova-Lisbona-Roma. L'anno 1926 vede invece protagonista il dirigibile nella prima trasvolata del Polo Nord. L'iniziativa è ideata contemporaneamente dal celebre esploratore Roald Amundsen e dal colonnello Umberto Nobile, direttore dello Stabilimento Aeronautico di Roma.

Amundsen, dopo aver tentato invano di raggiungere il Polo con degli aerei, aveva infatti rivolto la sua attenzione al più leggero dell'aria sollecitando l'Aero Club norvegese ad acquistare un dirigibile. La scelta era caduta sull' N.1 costruito in Italia da Nobile che viene acquistato grazie ai finanziamenti forniti da un amico dello stesso Amundsen, Lincoln Ellsworth. La preparazione tecnica dell'impresa e l'allestimento delle basi lungo il percorso vengono fatte dal Governo italiano: l'avventura ha inizio. Il dirigibile, battezzato "Norge", parte il 10 aprile 1926 da Ciampino agli ordini di Nobile. Giunto in Norvegia, e presi a bordo Amundsen ed Ellsworth alla Baia del Re, alle 9,50 dell'11 maggio parte per l'ultima tappa della trasvolata polare. Il giorno dopo, alle 1,30, sorvola il Polo Nord sul quale vengono lanciate tre bandiere: quella italiana, la norvegese e, in onore del finanziatore dell'impresa, l'amencana. Il 14 alle 7,30 il "Norge" approda a Teller, in Alaska, dopo aver percorso 5.300 chilometri in 70 ore e 40'.

Trascorrono due anni e Nobile è pronto con un nuovo dirigibile, gemello del primo, che viene chiamato "Italia". La nuova spedizione è composta da quattordici italiani, un cecoslovacco e uno svedese. Il 15 aprile 1928 il dirigibile condotto da Nobile parte da Milano e, dopo un viaggio fortunoso, raggiunge la Baia del Re. lì 24 maggio alle 0,20 il Polo è raggiunto ancora una volta. Durante il viaggio di ritorno, dopo 131 ore di navigazione, la tragedia: il dirigibile perde improvvisamente quota e urta violentemente contro la banchisa. Dei sedici uomini a bordo uno muore nell'urto, nove sono sbalzati sui ghiacci e sei vengono trascinati via dall'aeronave ormai squarciata: di questi ultimi non si saprà più nulla. I superstiti, al riparo della celebre "tenda rossa" resisteranno sul pack fino a quando la generosa corsa contro il tempo per salvarli, nella quale perdono la vita alcuni uomini tra i quali Io stesso Amundsen, non si concluderà felicemente.

I naufraghi sono avvistati da Umberto Maddalena, Nobile viene portato in salvo dal primo aereo che riesce a prendere terra, quello dello svedese Lundborg, gli altri dal rompighiaccio sovietico "Krassin". L'awentura polare chiude definitivamente il discorso, nel nostro Paese, del "più leggero", forse solo con un piccolo anticipo sui tempi. Nel frattempo in Italia - dove nel 1927 era stato costituito a Guidonia un Centro studi ed esperienze dotato di sofisticati laboratori di ricerca e di apparecchiature d'avanguardia - si va facendo strada il progetto di effettuare lunghi raid con un numero consistente di aerei. Nascono così le crociere collettive, di cui si fa energico sostenitore Italo Balbo, Ministro dell'Aeronautica. Il primo esperimento di navigazione aerea di massa viene compiuto dal 26 maggio al 2 giugno del 1928 nel Mediterraneo occidentale con una Brigata e due Stormi per un totale di 61 tra S.S9bis ed S.55 sul percorso di 2.804 chilometri da Orbetello alla penisola Iberica e ritorno.

Un anno dopo dal 5 al 19 giugno, trentacinque S.55 volano per 4.667 chilometri effettuando la crociera del Mediterraneo orientale sul percorso Taranto-Atene-lstanbul-Varna-Odessa-Costanza con rientro ad Orbetello, un idroscalo che l'anno successivo vedrà nascere la Scuola di navigazione aerea d'alto mare e i preparativi per la prima traversata in formazione dell'Atlantico dall'Italia al Brasile. Dopo un'accurata e capillare organizzazione la mattina del 17 dicembre 1930 alle 6,45, quattordici idrovolanti S.55A due dei quali attrezzati ad officina, decollano da Orbetello, agli ordini di Italo Balbo. Il 15 gennaio 1931, dopo aver toccato Cartagena, Kenitra, Villa Cisneros, Bolama e poi, attraverso l'Atlantico, Porto Natal e Bahia, in 61 ore e mezzo di volo per 10.350 chilometri, la crociera si conclude a Rio de Janeiro sollevando l'entusiasmo di tutto il mondo e, più concretamente, aprendo di fatto la strada alle linee regolari tra i due continenti e ponendo le basi per un serio addestramento collettivo moderno.

Il successo della 1a Crociera atlantica e il prestigio che da essa deriva all'ancor giovane Aeronautica, consente di mettere in piedi un progetto analogo con cui celebrare degnamente il decennale della forza armata: la traversata dell'Atlantico fino agli Stati Uniti in occasione dell'Esposizione internazionale di Chicago e dell'inaugurazione del monumento a Cristoforo Colombo. La preparazione tecnica, l'organizzazione logistica, l'approntamento delle basi di appoggio, tutto viene previsto e organizzato con una cura, se possibile, ancora maggiore dell'esperienza precedente. Sempre agli ordini di Balbo, il 1° luglio 1933 otto squadriglie di ventiquattro S.55X, versione potenziata dell'ormai celebre idrovolante, decollano da Orbetello e, dopo varie tappe, raggiungono New York il giorno 19 in un clima di incredibile entusiasmo che ha il suo epilogo nella trionfale sfilata per Broadway.

Se le crociere di massa hanno segnato il passaggio dal periodo romantico dell'aviazione, dove tutto o quasi era affidato all'iniziativa del singolo, a quello "moderno", fatto soprattutto di organizzazione e programmazione seria e meticolosa, non per questo esse hanno impedito che nello stesso periodo altri primati e imprese individuali arricchissero il già blasonato albo d'oro della Regia Aeronautica. Nel 1928 Ferrarin e Del Prete avevano volato dall'Italia al Brasile con un idrovolante S.64, percorrendo 7.666 chilometri in 58 ore e 34 minuti e battendo i primati mondiali di durata e distanza in circuito chiuso. Gli stessi, dopo appena un mese, erano partiti da Montecelio e, dopo 51 ore di volo, senza scalo, avevano raggiunto in 7.188 chilometri Touros sulle coste del Brasile. I due primati erano stati migliorati due anni dopo da Maddalena e da Fausto Cecconi che con un S.64bis avevano percorso 8.188 chilometri in 67 ore e 13 minuti.

Nel 1934 il pilota Renato Donati conquista il primato di altezza raggiungendo i 14.433 metri, oltre mille in più del record precedente detenuto dal francese Lemonine. Per l'impresa viene opportunamente adattato un velivolo Ca.113 trasformandolo per le alte quote e dotandolo anche di un impianto di erogazione automatica di ossigeno. Dopo mesi di duro lavoro e di severo allenamento, Donati decide di tentare la mattina dell'11 aprile. Preparato l'aereo e indossata la tuta termoelettrica, alle 11,38 egli decolla. Secondo i calcoli la quota massima sarebbe stata raggiunta intorno a mezzogiorno; in realtà l'aereo inizia a scendere solo alle 12,45. Dopo un brusco atterraggio l'aereo, invece di fermarsi, comincia a girare su se stesso con Donati che, svenuto al momento di toccare terra, non è in condizioni di agire sui comandi. L'intervento sollecito dei meccanici evita più gravi conseguenze. Il pilota, ripresi i sensi, apprende di aver battuto il primato.

Il 7 maggio 1937 il colonnello Mario Pezzi, comandante del Reparto alta quota costituito a Guidonia, raggiunge i 15.655 metri d'altezza e poi, dopo essere stato superato dall'inglese Adams, ritenta l'impresa il 22 ottobre dell'anno successivo su uno speciale Ca.161bis dotato di un motore Piaggio a doppio compressore e di una cabina stagna, antesignana delle moderne cabine pressurizzate. I 17.083 metri raggiunti costituiscono ancor oggi un primato imbattuto per velivoli con motore a pistoni. Nel 1937, intanto, l'equipaggio formato da Cupini e Paradisi su S.79 vince la gara Istres-Damasco-Parigi. Un anno dopo Roma è collegata con Rio de Janeiro da tre S.79 della famosa Squadriglia dei "sorci verdi" in 24 ore e 20 minuti di volo con una sola tappa intermedia a Dakar. Un susseguirsi, insomma, di imprese tra le quali la più singolare resta quella compiuta nel 1933 da Tito Falconi che vola da Saint Louis a Chicago in tre ore, sei minuti e trentasei secondi... a testa in giù.

In una decina d'anni la Regia Aeronautica in competizione con le altre nazioni industrialmente progredite, aveva guadagnato oltre cento primati in varie categorie. Alla vigilia dell'entrata in guerra, nel 1939, essa - sugli 84 primati previsti dalla Federazione aeronautica internazionale - ne deteneva ben 33, contro i 15 della Germania, 12 della Francia, 11 degli Stati Uniti, 7 dell'Unione Sovietica, 3 del Giappone, 2 dell'Inghilterra e 1 della Cecoslovacchia. Le crociere, i raid, i primati avevano prodotto effetti considerevoli, sia sul piano interno che all'estero, in termini di prestigio e di crescita tecnico-organizzativa, ma avevano anche evidenziato limiti che la mancanza di un dibattito interno serio e spregiudicato impedì di cogliere. Al di là di ogni altra considerazione, l'affermazione dell'Aeronautica come nuova forza armata "alla pari" delle altre due, non costituì un elemento unificante della nostra politica militare, ma, in luogo di un'auspicabile maggior cooperazione tra le tre componenti, accentuò di fatto la tendenza isolazionistica di ognuna di esse.

LA RICONQUISTA DELLA LIBIA

Dopo la conclusione della 1a Guerra Mondiale, l'Italia fu impegnata nelle operazioni per la riconquista della Libia, che iniziarono nel 1922 e si conclusero solo dieci anni dopo. La repressione della resistenza interna attuata attraverso la guerriglia fu infatti più lunga ed estenuante del previsto, e il ruolo della Regia Aeronautica si rivelò determinante soprattutto per l'appoggio che essa fornì alle truppe di superficie. Alle operazioni parteciparono praticamente soltanto bombardieri e ricognitori in quanto, non esistendo aviazione avversaria, non furono impiegati reparti da caccia. Gli aerei utilizzati furono, all'inizio, quelli residuati dalla Grande Guerra e, successivamente, i Ro.1, i Ca.73 e i Ca.101. Erano passati solo tre anni quando il governo fascista, approfittando con estremo tempismo della crisi del sistema di equilibri europei determinata dal ritorno della Germania nazista ad una politica di potenza, decise di giocare la carta del "posto al sole": un modo per consolidare il potere e rispondere, come soluzione alla depressione in atto, a quelle aspettative che lo stesso regime aveva ingenerato nelle masse popolari.

IL CONFLITTO ETIOPICO

Iniziò così nel 1935, cogliendo a pretesto un presunto attacco ad un presidio italiano, la campagna di Etiopia, uno dei pochi territori africani non ancora colonizzato. L'obiettivo era importante e grande fu quindi lo sforzo organizzativo e logistico. Solo per consentire una funzionale operatività delle forze aeree furono costruiti 83 nuovi aeroporti: 29 in Eritrea e 54 in Somalia. La proporzione delle forze, la diversa qualità degli armamenti, l'assenza di un'aviazione contrapposta, la decisione del Negus, soprattutto, di affrontare il nemico in campo aperto piuttosto che ricorrere a forme di guerriglia, tutto ciò fece si che la guerra si risolse molto più rapidamente del previsto: dopo soli sette mesi dalla dichiarazione di guerra, infatti, le truppe italiane entravano vittoriose ad Addis Abeba e "l'impero riappariva sui colli fatali di Roma". La Regia Aeronautica aveva affrontato nella campagna una prova impegnativa, sia per le difficoltà ambientali e climatiche incontrate, sia per la vastità del territorio da controllare. Un ruolo essenziale nella condotta delle operazioni fu svolto dall'Aeronautica nel campo della ricognizione, del trasporto e dell'aerorifornimento. Ma non meno determinate fu, prima della caduta della capitale abissina e durante la successiva repressione della resistenza, l'impiego del mezzo aereo in campo tattico, contro truppe e postazioni avversarie, e in campo strategico, con bombardamenti di fortificazioni, ponti, vie di comunicazione e centri abitati. Inizialmente i reparti operanti furono equipaggiati con i Ro.1, Ca.97, Ca.101 e CR.20, ma ben presto questi aerei vennero sostituiti dai più moderni Ro.37 e Ca.111 per la ricognizione, mentre per il bombardamento vennero utilizzati i monoplani Ca.133 ed S.81.

LA GUERRA CIVILE SPAGNOLA

Era appena terminata la campagna etiopica che un'altra occasione si presentò al governo italiano per estendere la sua influenza fuori dai patri confini: dopo alcuni chiari segni premonitori, infatti era scoppiata in Spagna una durissima guerra civile che coinvolse ben presto alcune nazioni, tra le quali la nostra, e migliaia di volontari. Da una parte i democratici schierati a difesa di una Repubblica che, nelle lacerazioni interne e nel mancato sostegno delle grandi democrazie occidentali, sempre più prudenti quando nel gioco entrava la Germania, aveva visto esaurirsi in mille contraddizioni la spinta propulsiva per l'edificazione di una società nuova; dall'altra i generali, con a capo Franco, che contro questa Repubblica proponevano un progetto di restaurazione di stampo nazionalista e reazionario. A sostegno di questi ultimi si schierò l'Italia che, appena dodici giorni dopo il pronunciamento dei generali spagnoli, intervenne con nove trimotori S.81- inquadrati nel "Tercio", la Legione straniera spagnola - che da Melilla assicurarono il potere aereo sufficiente per consentire lo sbarco delle truppe franchiste dal Marocco alla penisola iberica. Se nei primi mesi della guerra le forze aeree in campo non furono numerose, ben presto i contendenti vennero però riforniti di materiale moderno. La Regia Aeronautica partecipò ai 32 mesi del conflitto con 730 velivoli: bombardieri S.81, S.79 e Br.20, caccia CR.32 e Ro.41, assaltatori Ba.65, ricognitori Ro.37, idrovolante Cant.Z.506 e, sperimentalmente, anche i nuovi caccia monoplano G.50. Per l'esigenza "Operazioni militari in Spagna" furono effettuati oltre 8.500 voli di guerra e conferite agli aviatori 56 medaglie d'oro al valor militare, di cui due ad ufficiali spagnoli. Senza entrare nel merito di un'analisi storico-politica delle vicende spagnole, l'utilizzazione dell'aviazione in questo teatro dette preziosi insegnamenti sull'impiego tecnico operativo del mezzo aereo, soprattutto in ordine alla vulnerabilità delle formazioni da bombardamento in assenza di protezione della caccia.

LA SECONDA GUERRA MONDIALE

I limiti di sviluppo di cui soffrirono nel loro complesso le forze armate italiane tra le due guerre mondiali non furono, fino ad un certo punto, un nostro fatto esclusivo. Mentre però negli altri paesi gli anni '35 e '36 segnarono, a fronte del profilarsi sempre più evidente del riarmo tedesco, la svolta decisiva per colmare i ritardi accumulati grazie a stanziamenti per la difesa di eccezionale portata, in Italia nello stesso periodo le risorse vennero invece assorbite da una politica di potenza a breve respiro che trovò in Etiopia e in Spagna le manifestazioni più rilevanti. Se a questi ritardi, reali soprattutto per l'Esercito e l'Aeronautica, si aggiungono poi gli altri elementi di debolezza strutturale del nostro potenziale, il quadro che ne deriva non è certo tale da spingere a condividere il troppo facile ottimismo di chi, all'epoca, vagheggiava una guerra di breve durata, al termine della quale sedersi al tavolo della pace dalla parte dei vincitori. Su questi elementi di debolezza e sul peso reale che essi ebbero, mancano ancor oggi studi adeguati e momenti di serio approfondimento critico, tutto essendo per lo più limitato alla ricostruzione di singoli avvenimenti che, presi anche nel loro insieme, sono però staccati da quel più ampio quadro di riferimento indispensabile per collegarli ed interpretarli correttamente. In tal modo tutto finisce quindi per trovare la sua ragione d'essere nella generica individuazione di responsabilità, di volta in volta attribuite all'incapacità della classe politica o all'inettitudine di quella militare, allo strapotere del nemico o addirittura all'accanirsi di un destino avverso.

Anche se rilevante è il pericolo di cadere in schematizzazioni e generalizzazioni approssimative - un pericolo peraltro altrettanto facile quanto quello di affastellare acriticamente tutto il passato in quanto tale nell'esaltazione agiografica e indiscriminata della "tradizione" - non è però possibile non accennare, se non vogliamo fermarci ai singoli episodi o alle vicende puramente politiche, a quegli elementi che pesavano in negativo sul nostro paese alla fine degli anni 30: l'arretratezza tecnologica dell'industria nazionale, ad esempio, o la relativa capacità di mobilitazione da essa messa in atto, la mancanza di materie prime o, per converso, quella di una chiara dottrina militare, o ancora l'incapacità del regime di comporre con coerenza la sua volontà di perseguire un certo tipo di politica insieme con l'ovvia necessità di indirizzare a questo fine risorse ben più ampie di quanto avvenne. Si pensi, tanto per avere un più concreto riscontro, che l'Italia liberale aveva destinato a spese belliche, nel periodo 1913-1919, il 76% delle uscite statali e il 38% del reddito nazionale lordo, contro il 20% e il 6% rispettivamente del periodo 1939-1940. Ma torniamo agli avvenimenti. Dopo un breve periodo di neutralità, dunque, il 10 giugno 1940 l'Italia entra in guerra a fianco dell'alleato tedesco. Al momento della dichiarazione la Regia Aeronautica è ancora in fase di riorganizzazione. L'attività svolta negli anni precedenti, se da una parte era servita ad aumentare l'esperienza professionale dei suoi piloti e tecnici, dall'altra aveva provocato il logoramento e del personale e, soprattutto, del materiale di volo, peraltro depauperato dalle consistenti esportazioni imposte da ragioni valutarie.

Complessivamente la forza armata può contare su 23 Stormi da bombardamento terrestre armati con velivoli Br.20, Cant.Z.1007, S.79 ed S.81; 2 da bombardamento marittimo su Cant.Z.506; 6 Stormi da caccia terrestre montati su Cr.42, G.50, MC.200 e CR.32; 1 Stormo d'assalto su Ca.310; 2 Gruppi da combattimento su Ba.88; una Squadriglia da caccia marittima su Ro.43 e 44; 37 Unità da osservazione aerea su Ca.311 e Ro.37 per l'Esercito e 19 da ricognizione su Cant.Z.501 per la Marina; 2 Gruppi dell'aviazione coloniale e 2 Suadriglie dell'aviazione sahariana su Ca.309. Un totale di 1.332 velivoli da bombardamento, 1.160 da caccia, combattimento e assalto, 497 per l'Esercito e 307 per la Marina, sparsi tra il territorio metropolitano, l'Albania, la Libia e le isole dell'Egeo. Gli aerei da trasporto, di ben 15 tipi diversi, sono 114 di cui 25 in Africa orientale, dove sono presenti anche 323 aerei da bombardamento, caccia e ricognizione. L'Italia, insomma, dispone di oltre 3.000 velivoli, ma di questi soltanto 1.796 efficienti e di pronto impiego e per di più sparsi in uno scacchiere vastissimo praticamente dalle Alpi all'Equatore. Gli aerei più moderni sono, tra i bombardieri, gli S.79, i Br.20 e i Cant.Z.506, e, per la caccia, i G.50, gli MC.200 e i CR.42, tutti già operanti nella Guerra di Spagna ad eccezione degli ultimi due. Soltanto la caccia dispone di una certa aliquota di apparecchi di costruzione metallica, mentre quelli da bombardamento e da ricognizione sono a struttura mista o addirittura interamente in legno. Ma anche alcuni velivoli che le valutazioni nazionali danno per moderni hanno caratteristiche di volo e di armamento nettamente inferiori a quelle degli apparecchi tedeschi o britannici delle corrispondenti specialità. Un divario che molto spesso sarà riequilibrato solo dal coraggio e dalle capacità dei nostri equipaggi. Con queste forze - che durante trentanove mesi di durissima guerra verranno rifornite di oltre 8.000 macchine delle varie specialità, purtroppo insufficienti a colmare le perdite o a sostituire gli aerei sorpassati tecnicamente - la Regia Aeronautica entra in campo ancora una volta per far fronte con valore e tenacia ai compiti che le sono stati assegnati. Le difficoltà si rivelano presto enormi e i risultati condizionati oltre che dallo scarto tecnologico e dall'insufficienza delle risorse, anche dalle caratteristiche proprie del conflitto, e cioè dalla vastità dello scacchiere e dalle distanze delle fonti di rifornimento, dalle diversità ambientali e climatiche dei vari teatri operativi, dalla durata stessa della guerra.

Secondo un copione che sembra ricalcare quello della 1a Guerra Mondiale, le operazioni hanno inizio il giorno successivo a quello della dichiarazione con voli di ricognizione prima e con azioni di bombardamento poi. A causa delle cattive condizioni meteorologiche sul fronte francese, infatti, si deve aspettare il giorno 13 per effettuare la prima operazione bellica vera e propria. Sono i Br.20 del 13° Stormo che durante la notte conducono un primo attacco su Tolone, poi ripetuto nella tarda mattinata. A quest'ultima azione partecipano anche i CR.42 del 3° e 53° Stormo che vengono duramente impegnati dai nuovi e ben armati Devvoitine. Dieci giorni dopo, comunque, le operazioni contro la Francia si concludono, in un clima che crede ancora alla guerra lampo, con la firma dell'armistizio: a quel punto le perdite dell'Aeronautica sono di 10 velivoli e 24 uomini. Contemporaneamente prendono avvio le operazioni in Africa settentrionale dove la Regia Aeronautica sarà duramente impegnata per lunghissimi mesi. Dopo un'avanzata che porta le nostre forze fino a Sidi el Barrani, la prima controffensiva inglese tra la fine del '40 e i primi mesi dell'anno successivo ci costringe al ripiegamento: già in questa fase la forza armata subisce pesanti perdite e un forte logoramento solo in parte compensati dall'arrivo di nuovi mezzi, tra cui lo Junker 87 "Picchiatello", e del X Corpo aereo tedesco. In tal modo è possibile sferrare un'offensiva che si conclude di fronte a Tobruk, mentre i nostri reparti in terra d'Africa iniziano a ricevere nell'aprile del '41 il primo aereo veramente competitivo, l'M.C.200 in linea fin dall'inizio delle ostilità. Alla seconda controffensiva degli inglesi nel novembre successivo, comunque, la situazione italiana in fatto di macchine è ancora fortemente carente, tanto da costringere anche all'impiego dei CR.42 come assaltatori con bombe alari da 50 e da 100 chili. Dall'Italia giungono intanto anche i primi M.C.202, veloci e manovrieri anche se dotati di un volume di fuoco giudicato ancora insufficiente, il cui contributo non è però tale da risolvere una situazione ormai compromessa. Gli inglesi insistono nell'avanzata, che si esaurisce a Sollum nei primi giorni del '42 e a farne le spese sono anche i "202". Nel Mediterraneo i nostri bombardieri e aerosiluranti contrastano con successo l'azione della flotta inglese. Il conflitto intanto si allarga sempre più. Alla fine del 1940 hanno inizio le operazioni in Grecia dove i nostri velivoli sono subito impegnati a contrastare e contenere la pressione nemica ed aiutare la difficile resistenza delle truppe italiane. I nostri equipaggi sono sottoposti ad una continua e snervante attività soprattutto per far fronte alla superiorità del nemico. Il 19 aprile 1941 ha inizio l'offensiva italo-tedesca nella quale una forza aerea di circa 400 velivoli si rivela determinante. Il 22 ottobre 1940, intanto, due Stormi da bombardamento su Br.20, uno Stormo da caccia su CR.42 e G.50 e una Squadriglia da ricognizione strategica su Cant.Z..1007bis erano stati inviati in Belgio a costituire il Corpo aereo italiano.

Lo scopo, dettato più da motivi di prestigio politico che da realistiche esigenze belliche, è quello di partecipare a fianco dei tedeschi all'attacco contro l'Inghilterra. La mancanza di addestramento degli equipaggi al volo strumentale (paradossalmente la Scuola di volo senza visibilità era stata sciolta proprio alla vigilia del conflitto!) e di idonee attrezzature radioelettriche abbreviano questa esperienza, tanto che nei primi giorni del gennaio successivo le nostre unità vengono richiamate e molti piloti inviati direttamente in Africa orientale, dove le nostre forze aeree conducono da tempo una battaglia a difesa delle nostre colonie, nella quale la distanza dalla madre patria accentua i già gravi problemi della nostra macchina logistica e rende estremamente difficoltosi i rifornimenti. In questo scacchiere vecchi velivoli come i Ca.133 e i CR.32, affiancati da pochi S.79, S.81 e CR.42, cercano di contrastare la superiorità di uomini e mezzi degli inglesi e la loro più efficiente organizzazione, che consente, malgrado il rinforzo di alcuni S.79 e di una cinquantina di CR.42 trasportati in volo con degli S.82, l'occupazione dell'intero territorio. A questo punto tutta l'aviazione italiana in quel settore è distrutta; l'ultimo CR.42 ancora in grado di volare compie alla fine di novembre 1941 l'ultima missione decollando verso Gondar nei cui dintorni viene abbattuto. Rimasto senza aerei, il personale si organizza allora in Reparti azzurri che combattono accanto a quelli dell'Esercito. Un dato documentato che testimonia della capacità dei nostri piloti che con coraggio e valore si erano opposti in maniera durissima alla controffensiva inglese, sono i 140 aerei nemici abbattuti in volo e gli 80 distrutti al suolo. Malta, nel frattempo, viene incessantemente martellata dalla nostra aviazione in un crescendo di incursioni che alla fine indeboliranno e logoreranno le nostre possibilità offensive. Per nove mesi la flotta inglese non riesce a forzare il blocco aereo e l'isola giunge quasi al collasso, salvandosi dal'occupazione solo per i pesanti impegni imposti alle nostre forze dagli avvenimenti del Nord Africa. Quando nell'estate del 1941 viene deciso di mandare un Corpo di spedizione italiano in Russia, l'Aeronautica partecipa con due Gruppi, forniti a più riprese di 51 M.C.200, 11 S.82, 3 Ca.133 e 32 Ca.312 a cui si aggiungono nel '42 altri M.C.200, e alcuni M.C.202 e Br.20. Dopo un ciclo molto duro, durante il quale il nemico peggiore era stato il micidiale inverno russo che aveva praticamente immobilizzato i nostri velivoli almeno fino a quando la proverbiale ingegnosità dei nostri specialisti non era riuscita ad inventare degli efficaci riscaldatori per i motori, nel gennaio del 1943 i reparti vengono richiamati in patria. Nel Mediterraneo la nostra aviazione aveva continuato gli attacchi ai convogli inglesi e in numerose e memorabili battaglie aveva inflitto loro perdite notevoli. Nella battaglia di mezzo giugno si erano salvate solo due navi mercantili. Dal 12 al 14 agosto si svolge una battaglia aeronavale, poi passata alla storia con il nome di battaglia di mezz'agosto, alla quale partecipano tutti i nostri aerosiluranti disponibili che riescono a colpire il convoglio e la scorta inglesi arrecando loro gravi danni. Nella prima metà del 1942 in Africa settentrionale le truppe italo-tedesche - conquistata la superiorità aerea grazie al determinante contributo dei "202" del 3° e del 4° Stormo - effettuano una travolgente avanzata fino ad El Alamein che, in un primo momento, sembra volgere a nostro favore le sorti della campagna africana. Questa speranza viene subito vanificata dall'ennesima controffensiva inglese, nella quale gli alleati lanciano tutte le loro risorse. Ormai il destino della guerra appare segnato e a nulla serve che la nostra industria inizi a produrre macchine finalmente competitive, tanto più che la scarsità di mezzi e di materie prime non consente ancora quella produzione di serie che avrebbe forse fatto sentire il suo peso. Gli ultimi aerei ad entrare in linea sono gli M.C.205, i Re.2005 e i G.55, macchine veloci e ben armate che si affiancano ad altre come il Re.2002, il P.108 o il Cant.Z.1018 di più recente realizzazione. Le ultime battute contro l'ormai schiacciante superiorità dell'aviazione alleata, la nostra Aeronautica le gioca nei cieli della Tunisia prima e dell'Italia poi dopo lo sbarco alleato in Sicilia: anche in queste fasi i nostri reparti, pur nella ormai generale certezza di quello che sarà l'esito finale della guerra, si sacrificano in un'estrema quanto inutile resistenza, con un ardimento che riceverà anche il riconoscimento dello stesso nemico.

I primi mesi del 1943 mostrano in tutta la loro evidenza i segni di una situazione nazionale irreversibilmente deteriorata. La perdita dell'Africa settentrionale e del controllo del Mediterraneo, la disfatta tedesca in Russia lasciano ormai l'Italia alla mercé degli alleati anglo-americani. A ciò si aggiunge, sul piano interno, un crescente e sempre più generalizzato malcontento popolare che si traduce anche in grandi scioperi nelle fabbriche del nord. Questi avvenimenti, dopo il crollo delle forze italiane in Sicilia e il timido tentativo di proporre ai tedeschi la possibilità di una pace separata, convincono i gruppi dirigenti italiani che l'unico modo per uscire dalla guerra, assicurandosi nel contempo la continuità senza traumi eccessivi della loro funzione egemonica, è quello di sacrificare Mussolini. Dopo i fatti del 25 luglio - quando l'Esercito viene chiamato per l'ultima volta a garantire l'ordine interno "turbato" dagli entusiasmi sollevati dalla notizia della caduta del fascismo - si arriva dunque alla firma dell'armistizio che Badoglio, capo del nuovo governo, partecipa alla Nazione in un messaggio, letto alla radio la sera dell'8 settembre, la cui ambiguità, peraltro non risolta da successivi e, soprattutto, tempestivi chiarimenti, pone la maggior parte dei combattenti in situazioni nelle quali di fronte allo sbandamento generale, alcuni hanno possibilità di scelta, altri meno. Coloro che, fatti prigionieri dai tedeschi, rifiutano di continuare a combattere al loro fianco, sono deportati nei campi di concentramento disseminati in Germania e in Polonia, i tristemente noti "lager", e lì costretti a lavorare in condizioni igieniche e alimentari paurosamente insufficienti. E', questo, uno degli aspetti forse meno conosciuti della resistenza che militari d'ogni ordine e grado hanno opposto ai tedeschi. Catturati in un momento di generale disorientamento, non di rado vittime delle false promesse dei comandi germanici, ma più spesso soccombenti di fronte a forze più decise e comunque in possesso di direttive chiare e precise, vengono in quei giorni internati dall'Italia, dalla Francia, dai Balcani, ben 599.158 tra sottufficiali e uomini di truppa e 14.033 ufficiali delle forze armate italiane. Considerati internati e non, come sarebbe giusto, prigionieri di guerra in modo da non poter invocare nemmeno l'applicazione delle garanzie giuridiche e internazionali che questa ultima condizione avrebbe comportato, essi affrontano con coraggio e dignità la scelta più difficile e le condizioni di vita più avvilenti che un essere umano possa sopportare, resistendo a lusinghe, promesse, intimidazioni, propaganda, alla realtà stessa della morte: di quel 98,7% di tutti gli internati militari che furono coerenti a questa scelta, circa 40.000 non faranno ritorno in patria. Altri combattenti, tagliati fuori dai reparti regolari di appartenenza e impossibilitati a raggiungere quelli costituitisi al sud, sbandano all'interno del paese e, quando decidono di continuare a combattere, lo fanno entrando a far parte di formazioni partigiane. Altri, ancora, compiono la scelta opposta e vanno ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana che nel frattempo Mussolini ha costituito nel nord Italia, nell'ambito della quale si costituisce anche un'aviazione composta da due Gruppi da caccia, uno di aerosiluranti e due da trasporto oltre ad alcune Squadriglie autonome. I caccia vengono impiegati in numerose azioni a difesa delle città del nord sottoposte alle massicce incursioni alleate. Gli aerosiluranti, in particolare, attaccano nel marzo del 1944 la flotta da sbarco alleata ad Anzio dove affondano sei unità; l'azione viene ripetuta il 10 aprile, mentre un mese dopo dieci S.79 volano fino a Gibilterra e, in un'azione di sorpresa, colano a picco quattro piroscafi. Al momento dell'ultima missione, il 5 gennaio 1945, i piloti caduti in combattimento per la R.S.I. saranno 146. Immediatamente dopo l'annuncio dell'armistizio, invece, interi Reparti aerei e singoli velivoli scelgono, in leale osservanza delle clausole firmate, di affluire verso gli aeroporti del sud Italia già in mano agli Alleati per continuare la guerra. Passano in tal modo le linee poco più di 200 velivoli, di cui circa la metà in reali condizioni di combattere, mentre una quarantina vengono abbattuti dai tedeschi durante il tentativo o vanno perduti per altre cause. Tra il settembre del '43 e il maggio successivo, circa 2.000 militari dell'Aeronautica, di cui 1.200 in volo, raggiungono Lecce, Palata, Canne, Biferno o Campo Vesuvio, una base insomma, da cui i velivoli della nuova Unità aerea riportano in volo, insieme alle gloriose insegne del "cavallino rampante" o del "gatto nero", quella coccarda tricolore simbolo dell'Italia e delle origini stesse della Forza Armata. Al di là delle cifre, comunque, quest partecipazione assume significato e rilevanza grandissimi; segna storicamente l'esplicita frattura con un passato che è ripudiato e la volontà di partecipare, in una sorta di rifondato patto sociale tra Forze Armate e Paese, alla lotta per il riscatto e la rinascita degli italiani. L'attività bellica dell'Aeronautica italiana inizia fin dalla mattina del 9 settembre quando due pattuglie di M.C.205 scortano alcune unità della nostra flotta da guerra in navigazione da La Spezia ai porti controllati dagli Alleati. Il giorno 11, durante il volo di trasferimento di un Reparto da bombardamento dall'aeroporto di Perugia alla Sardegna, la caccia tedesca attacca la nostra formazione dando luogo al primo combattimento aereo tra i due ex alleati. Il giorno 12, mentre aerei da caccia mitragliano colonne tedesche in ritirata nella penisola salentina, per la prima volta le coccarde tricolori appaiono nei cieli di alcune città italiane ancora occupate, sulle quali i nostri velivoli lasciano cadere manifestini, stabilendo in tal modo un concreto legame spirituale tra italiani uniti dalle stesse aspirazioni.

Tra il settembre e l'ottobre del 1943 l'attività dei nostri velivoli prosegue intensa, soprattutto lungo le coste dell'Albania, della Grecia e della Jugoslavia. Il 13 ottobre la dichiarazione di guerra del governo italiano alla Germania sancisce lo stato di fatto determinatosi con l'armistizio e riconosce quindi ufficialmente quell'attività di guerra che era iniziata immediatamente dopo l'8 settembre. Per non correre il rischio di trovarsi di fronte ad altri Reparti italiani, le nostre unità al sud vengono prevalentemente impiegate insieme alla Balcan Air Force oltre i confini, in attività offensive contro i tedeschi e difensive, di rifornimento, aviosbarco e trasporto a favore dei contingenti italiani e alleati impegnati, in situazioni spesso tragiche, nei Balcani e nelle isole ioniche.In questi mesi eccezionale si rivela il lavoro che riescono a compiere i tecnici e gli specialisti dell'Aeronautica. In una situazione in cui gli Alleati avevano di fatto requisito tutto ciò che poteva esser loro utile e i tedeschi si ritiravano verso nord lasciandosi alle spalle solo distruzione, il problema dell'efficienza della linea di volo era non solo gravissimo, ma condizione essenziale per poter continuare a combattere. In questo lavoro vengono fatti miracoli: si organizzano speciali squadre per ricercare e recuperare tutto il materiale possibile che, debitamente accentrato e immagazzinato, consente non solo di sottoporre a revisione la quasi totalità dei velivoli in carico che, per il 90%, avevano superato il prescritto limite di ore di volo, ma anche di rimetterne in efficienza un numero tale da ripianare le perdite subite dai Reparti operanti. Grazie a questi uomini l'Aeronautica italiana combatté a fianco degli anglo-americani utilizzando esclusivamente i propri mezzi fino alla metà di settembre del 1944, quando gli Alleati, nel dare atto agli aviatori italiani della lealtà, dell'entusiasmo e del valore dimostrati, potenziano il Raggruppamento caccia con l'assegnazione di alcuni P-39 "Aircobra" e "Spitfire" e i repari da bombardamento con alcuni Martin "Baltimore", un nome che avrebbe presto identificato uno stormo. L'8 maggio 1945, con la resa incondizionata della Germania, hanno termine anche le operazioni belliche che l'Aeronautica italiana aveva condotto per venti mesi in disagiate condizioni materiali e supplendo alla scarsezza di mezzi e di macchine solo con le risorse umane e l'entusiasmo. In questo periodo l'aviazione da caccia aveva effettuato azioni di ricognizione offensiva in territorio balcanico, controllando e mitragliando gli impianti e le linee del traffico terrestre, marittimo e aereo del nemico. Sugli stessi obiettivi erano stati effettuati anche spezzonamenti e bombardamenti a tuffo. La caccia era stata inoltre impiegata in missioni di scorta diretta alle formazioni da bombardamento e da trasporto in zona di guerra, in crociere d'interdizione per facilitarne il compito e in ricognizioni meteorologiche lungo le rotte e sugli obiettivi bellici. La continuità e l'efficacia di queste missioni avevano facilitato la conquista da parte degli Alleati di alcune isole dalmate. Di particolare intensità e rendimento erano state le azioni compiute in appoggio alle unità dell'Esercito popolare di liberazione jugoslavo, durante lo sgombero da parte dei tedeschi dell'Albania, del Montenegro, della Dalmazia e di altre regioni della Jugoslavia. L'aviazione da bombardamento aveva effettuato azioni offensive in territorio balcanico lungo le linee di comunicazione e contro attrezzature portuali, impianti aeroportuali, centri logistici e concentramenti di truppe. Da parte sua, l'aviazione da trasporto aveva effettuato un'intensa attività rifornendo costantemente le truppe italiane della Divisione "Garibaldi" e le truppe partigiane del maresciallo Tito, sia lanciando, generalmente con missioni notturne, i materiali necessari a quelle truppe per resistere agli attacchi nemici e, quindi, per passare all'offensiva, sia con atterraggi su campi di fortuna in zone prossime a quelle controllate dai tedeschi. Quando queste azioni erano state richieste con carattere d'urgenza, gli equipaggi italiani le avevano portate a termine anche in pieno giorno e non di rado senza scorta, sfidando la reazione violenta della contraerea e della caccia nemica. Durante i voli di rientro questi velivoli avevano spesso lanciato manifestini sulle città jugoslave ed albanesi. Dalle stesse regioni intensissimo era stato anche il trasporo di militari e partigiani che, feriti o ammalati, non erano più in condizione di combattere. L'aviazione da trasporto aveva compiuto anche molte missioni sul territorio italiano ancora in mano dei tedeschi, soprattutto per il lancio di manifestini sui centri abitati e di paracadutisti incaricati di particolari azioni di sabotaggio o informative. Collegamenti giornalieri per il trasporto di persone, posta e materiali, erano stati inoltre attivati con la Sicilia, la Sardegna e l'Africa settentrionale.

Meno appariscente, ma certamente non meno utile e rischiosa era stata l'attività svolta dagli idrovolanti nella scorta a convogli marittimi, nella caccia antisommergibile, nella vigilanza costiera, nel trasporto di personale, nella ricerca, soccorso e recupero di naufraghi o nel soccorso preventivo svolto sulle rotte dei velivoli alleati di ritorno da azioni belliche. Alcuni dati statistici danno pur nella loro freddezza, la misura del valore con cui, i piloti, gli specialisti, gli avieri, tutto il personale insomma, avevano saputo compiere fino in fondo il proprio dovere. La Bandiera dell'Aeronautica e quelle del 4°, 5° e 51° Stormo sono decorate con la Medaglia d'Oro al Valor Militare concessa per i cinque anni di guerra; lo Stormo "Baltimore" e quello notturno con la Medaglia d'Argento per l'attività svolta durante la Liberazione; lo Stormo trasporti con la Croce di Guerra al V.M. per lo stesso motivo. Per il ciclo di guerra 1940-43 due Stormi, il 36° e il 46°, sono decorati di Medaglia d'Oro al V.M.; ventinove Reparti di volo ricevono in totale 30 Medaglie d'Argento ed 1 di Bronzo al V.M. Alle 138 Medaglie d'Oro concesse ad appartenenti alla Forza Armata fino al settembre 1943 se ne aggiungono 26 per fatti d'arme compiuti nei venti mesi dopo l'8 settembre da militari dell'Aeronautica inquadrati in Reparti regolari o in Formazioni partigiane; 9 ricompense interalleate sono assegnate ai nostri aviatori nello stesso periodo. In cinque anni di guerra solo l'Aeronautica lascia sul campo oltre 9.000 morti e più di 3.500 dispersi. Terminata con questo pesante tributo di vite una guerra durata 59 mesi, l'Aeronautica italiana si presenta di fronte agli immensi problemi della ricostruzione con le "esigue unità", come le definì in un famoso ordine del giorno del 22 febbraio 1945 il Generale Aymone Cat, nuovo Capo di Stato Maggiore della Forza Armata. Esse sono in pratica le stesse che avevano fatto la Guerra di Liberazione, i Reparti, cioè, riuniti fin dal 15 ottobre 1943 nell'Unità aerea e che ora, inseriti in un'organizzazione territoriale ancora in via di assestamento, rappresentano tutto il potenziale aeronautico della nazione: tre Raggruppamenti comprendono rispettivamente il 4°, 5° e 51° Stormo per la caccia; gli Stormi "Baltimore" Notturno e Trasporti per i bombardieri; l'82°, 83°, 84° e 85° Gruppo per gli idro; tre servizi tecnici di raggruppamento provvedono infine ad assicurare l'efficienza dei reparti di volo. La ricostituzione delle forze aeree superstiti inizia con circa 200 velivoli efficienti, di cui la metà al sud o in Sardegna, gli altri sono quelli ancora impiegabili dei 246 che si erano sottratti in volo ai tedeschi raggiungendo l'Italia libera.



Edited by Fante - 17/9/2008, 09:19
 
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