Le OriginiIl Ministero della Guerra, nel 1884, autorizzava la costituzione di un Servizio Aeronautico presso il 3° Reggimento Genio a Roma ed il reparto si sarebbe occupato degli aerostati da ricognizione. Il 23 giugno del 1887 veniva promulgata la prima legge aeronautica, la n° 4593 che normava ed istituiva una Compagnia Specialisti del Genio, destinata, tra l'altro, all'uso dei palloni frenati.
Il primo pilota di aerostato militare fu il capitano Alessandro Pecori Giraldi, comandante della Compagnia. Il primo impegno bellico avvenne in Eritrea nel 1887-1888 dove si impiegarono tre palloni per la ricognizione delle posizioni avversarie. La Compagnia venne successivamente trasformata in Brigata nel 1894.
Il primo pallone libero fu costruito dal capitano Maurizio Mario Moris, a proprie spese, sui piani di costruzione del tenente Cesare del Fabbro. Compì il suo primo volo salendo dai Prati di Castello, a Roma, il 11 giugno 1894 con a bordo gli stessi capitano Moris e tenente del Fabbro, i quali non avevano avuto precedenti esperienze. Ma l'aerostato era un mezzo assai difficilmente governabile.
Una soluzione migliore era rappresentata dal dirigibile (che appunto si può dirigere), una macchina, come lo era anche la mongolfiera, "più leggera dell'aria". Il dirigibile era provvisto di motori ad elica e timoni aerodinamici. Nel 1904 il maggiore Moris assunse il comando della Sezione Aeronautica della Brigata Specialisti ed incaricò i tenenti Gaetano Arturo Crocco ed Ottavio Ricaldoni di impostare lo studio di un dirigibile.
Nella caserma Cavour, a Roma, furono eseguite le prime prove sperimentali su modelli in scala e studiata la dinamica dei fluidi. Il primo dirigibile, il Crocco-Ricaldoni n° 1 volò il 3 ottobre del 1908.
Alla Brigata venne messo a disposizione, nel 1906, un assegno straordinario di 425.000 lire che integrava quello mensile di 50.000 lire (quest'ultima una cifra esigua per le esigenze della Brigata) e da qualche modesto intervento della Règia Marina.
Nel frattempo era nato un mezzo rivoluzionario, l'aeroplano. Anche in Italia vi furono varie iniziative, e nel 1909 nacque il Circolo Aviatori, presieduto dall'attivissimo maggiore Mori. Il maggiore riuscì a portare in Italia Wilbur Wright con uno dei suoi biplani: tra il 15 ed il 26 aprile 1909 compì sul prato di Centocelle 67 voli, trasportando 19 passeggeri ed istruendo il tenente di vascello Mario Calderara che divenne quindi il primo pilota con brevetto in Italia.
Quando Wright partì da Roma lasciò, come stabilito, l'aeroplano e Calderara impartì lezioni al tenente del Genio Umberto Savoja, cosicché in breve, Centocelle divenne la prima scuola di volo militare, nel gennaio del 1910. A capo del corso era il tenente colonnello Cordero di Montezemolo, mentre il servizio sanitario era affidato al pilota Luigi Falchi. Moris gli disse: «l'ho scelta non perché Lei è medico, ma così si troverà sul campo senza avere l'aria di chi aspetta la disgrazia».
A causa delle limitazioni del campo di aviazione di Centocelle, si chiuse questa scuola e se ne aprirono altre due, una ad Aviano (Udine) e l'altra a Cascina Malpensa (Varese). Grazie all'interesse suscitato dall'aviazione, l'Esercito rese indipendente la Brigata Specialisti nel 1910, affidandola al tenente colonnello Moris.
I vertici delle forze armate credettero molto nella nuova arma aerea, tanto che la legge n° 422 del 10 luglio 1910 ed il successivo regio decreto 944 del 28 ottobre dello stesso anno indicavano l'assegnazione di fondi per materiali di volo ed assistenza, mentre la legge 515 del 17 luglio ed il decreto del 9 agosto 1910 stabilivano l'ampliamento e la struttura delle forze aeree. Inizialmente era prevista una spesa di ben 25 milioni di lire, ritenuta insostenibile dal Ministero del Tesoro e ridotta a 10 milioni. Ad ogni modo la relazione tenuta dal Ministro del Tesoro, onorevole Tedesco, e da quello della Guerra, generale Spingardi, era esplicita sul fatto che l'organizzazione aeronautica si sarebbe ampliata negli anni a venire.
La Brigata Specialisti si trasformò in Battaglione autonomo, con otto compagnie ed il 28 ottobre fu costituita la Sezione Aviazione.
La prima occasione per sperimentare il nuovo mezzo aeronautico si presentò durante le manovre estive del Regio Esercito in Piemonte del 1911. Il Battaglione Specialisti mise a disposizione otto aeroplani, due dirigibili e due aerostati.
Guerra all'Impero ottomanoIl 29 settembre del 1911 l'Italia dichiarava guerra all'Impero ottomano e venne mobilitato anche il Battaglione Specialisti. Il 2 ottobre vi fu il primo sbarco di fanti di marina sotto la copertura della flotta schierata davanti a Tripoli. Il 15 ottobre arrivò anche l'aeronautica, formata da nove aeroplani, due Blériot XI, tre Nieuport IV G, due Etrich Taube e due biplani Farman, 11 piloti e 30 uomini di truppa comandati da un tenente ed un sergente.
Il loro compito era di compiere ricognizioni in territorio nemico per scoprire entità e spostamenti delle forze nemiche. La prima missione venne compiuta dal comandante della spedizione, capitano Carlo Maria Piazza, il 23 ottobre con un Blérot, la seconda dal capitano Riccardo Moizo, lo stesso giorno con un Nieuport. Lo stesso capitano Moizo riportò, due giorni dopo, le ali forate da tre fucilate, fu la prima azione di fuoco contro un aeroplano.
Il sottotenente Gavotti, il 1° novembre 1911, gettò a mano tre granate Cipelli da due chili su Ain Zara e una su l'Oasi di Tripoli stessa. Gli italiani eseguirono per primi al mondo tutte le azioni militari che poi divennero tipiche dell'impiego bellico aeronautico, come la ricognizione ed il bombardamento, tranne quella della caccia, dato che l'avversario non disponeva a sua volta di un'aviazione.
Il capitano Piazza eseguì il 28 ottobre il primo rilevamento di tiro per la corazzata Sardegna contro l'oasi di Zanzur, altrettanto fece il capitano Moizo il 24 novembre per una batteria contro l'artiglieria turca. Il 4 dicembre l'aeronautica svolse compiti di sorveglianza volando al fianco di tre colonne in marcia e verificando che non vi fossero uomini dell'esercito avversario in avvicinamento.
Anche in Cirenaica agivano squadriglie dell'aeronautica. Vicino a Bengasi il 15 dicembre del 1911 il sottotenente di vascello Francesco Roberti fu attaccato per la prima volta dall'artiglieria. Il capitano Piazza, il 23 febbraio del 1912 compì la prima fotoricognizione con una macchina fotografica Zeiss "Bebé" del Genio. Ogni volo consentiva un'unica istantanea, dato che il pilota non poteva cambiare la lastra fotografica con una sola mano, mentre l'altra era impegnata nel pilotaggio. I piloti in ricognizione eseguivano anche degli schizzi a mano delle zone d'interesse. Il 4 marzo il capitano Piazza ed il sottotenente Gavotti volarono per la prima volta di notte.
Il primo ferito in azione fu l'onorevole Carlo Montù, comandante della squadriglia volontari civili, colpito ad una gamba mentre volava come osservatore in Cirenaica.
Dato che il terreno melmoso impediva di manovrare gli apparecchi a terra alla squadriglia di Bengasi, nella zona di Sabri, venne costruita una piattaforma in legno lunga 100 m e larga 12, probabilmente la prima pista artificiale al mondo. Il 2 maggio venne eseguita la prima ricognizione notturna e l'11 giugno il primo bombardamento notturno.
L'Italia pianse anche il primo pilota caduto in battaglia, il sottotenente di cavalleria Piero Manzini partito da Tripoli per una ricognizione fotografica il 25 agosto 1912. Il capitano Moizo divenne il primo aviatore prigioniero di guerra, a causa di un avaria al motore che, il 10 settembre lo costrinse ad un atterraggio in zona nemica. Fu poi rilasciato l'11 novembre alla conclusione delle ostilità, dopo aver ricevuto un buon trattamento da parte degli ufficiali turchi.
Il trattato di Losanna del 18 ottobre del 1912 aveva posto fine alle ostilità ed aveva assicurato all'Italia il possesso di Libia e dell'Egeo.
L'aviazione italiana aveva partecipato alla guerra con quattro reparti rispettivamente a Tripoli, a Bengasi, a Derna ed a Tobruk. I mezzi erano tre dirigibili, il P2 ed il P3 (la sigla «P» indica piccolo, «M» medio e «G» grande) a Tripoli, il P1 a Bengasi e vari aerostati. Questi ultimi erano impiegati soprattutto per la regolazione del tiro di artiglieria.
Nel settembre del 1912 Guglielmo Marconi aveva sperimentato con successo la trasmissione radiotelegrafica di alcuni messaggi da una nave in rada ad un aereo in volo. Un esperimento, comunicazioni da aereo a terra, inverso era stato compiuto dai russi nel luglio del 1912. La guerra in Libia venne seguita con molta attenzione all'estero ed i risultati vennero sfruttati maggiormente dalle altre potenze che dalla stessa Italia.
Il Servizio AeronauticoIl 27 giugno del 1912 la legge numero 698 istituiva il Servizio Aeronautico, presso la Direzione Generale Genio ed Artiglieria. Questo inquadrava il Battaglione Specialisti con dirigibili ed aerostati a Roma, il Battaglione Aviatori con reparti di aeroplani e scuole di volo a Torino, lo Stabilimento di Costruzioni Aeronautiche sempre a Roma, un cantiere sperimentale a Vigna di Valle (Roma).
Anche la Règia Marina volle creare una sua sezione aeronautica, a Venezia e composta di idrovolanti, nell'ottobre del 1912. E nel maggio del 1913 costituì presso il Primo Reparto dello Stato Maggiore una Sezione Aeronautica della Marina, che nel 1914 divenne il Quinto Reparto. Sino ad allora i piloti dell'aeronautica erano stati di provenienza mista da Regio Esercito e Règia Marina.
Il maggiore Giulio Douhet, comandante del Battaglione Aviatori dal 13 novembre 1913, organizzò il battaglione in squadriglie perfettamente autonome dal punto di vista organizzativo e logistico, dotandole di aviorimesse smontabili, automezzi e carri officina.
Su proposta del pilota Leonino da Zara, l'Aero Club d'Italia indisse il 3 marzo 1912 una sottoscrizione «date ali alla Patria!» che fruttò circa tre milioni e mezzo di lire.
Ma il nuovo problema da risolvere era la mancanza di industrie e progetti aeronautici italiani per potenziare la flotta. Nel 1913 fu indetto un concorso aperto a velivoli di qualsiasi provenienza a patto che fossero prodotti in Italia, ma non dette i risultati sperati.
Un'altra priorità italiana era la costruzione della sezione idrovolanti, voluta nel 1913 dal Ministero della Guerra e posta al servizio della Règia Marina, per la difesa delle coste con base a Venezia in zona Le Vergini. I primi apparecchi furono i Borel ed i Farman francesi, mentre i piloti erano stati addestrati in Francia a Juan les Pins. Il 1 febbraio 1913 si istituì a Venezia una scuola di volo, dove si svolgeva anche attività di ricerca e realizzazione di nuove macchine disegnate dal tenente di vascello Manlio Ginocchio e da Alessandro Guidoni.
Presto le unità della flotta vennero dotate di idrovolanti che calavano in mare utilizzandoli per l'esplorazione. La prima corazzata ad adottare il nuovo mezzo fu la Dante Alighieri attrezzata con i Curtiss. La Marina si dotò anche di dirigibili, ottenendo dall'esercito due cantieri, quello di Jesi (An) e quello di Ferrara.
Intanto l'aeronautica era divenuta un Corpo Aeronautico autonomo il 18 giugno del 1913 ed a fine anno contava tre gruppi che comprendevano 14 squadriglie dislocate in massima parte nell'Italia settentrionale, due a Roma ed una a Tripoli. Ma si era lontani dagli obbiettivi prefissati a causa soprattutto dei ritardi nelle consegne industriali e del fatto che alcuni tipi di aeroplano non rispondevano alle aspettative. I velivoli erano Blériot, Neuport e biplani Farman.
La grande guerraTra la fine di luglio e gli inizi di agosto scoppiava in Europa il conflitto che avrebbe assunto proporzioni mondiali e tutte le grandi potenze in lotta si erano impegnate nella costituzione di una componente aeronautica. La Francia disponeva di oltre 600 aeroplani, la Russia addirittura mille, la Germania 500 aerei e 40 dirigibili ed aveva anche ideato una più corretta visione dell'arma aerea.
L'Italia, in un clima di incertezza politica e diplomatica, non aveva ancora idea da che parte schierare le truppe ed agli inizi si era dichiarata neutrale. Lo scarso potenziale industriale aeronautico aveva costretto l'Italia a rivolgersi all'estero sia per il rinnovo del parco aereo che per l'addestramento dei tecnici, in particolare Gran Bretagna, Francia, Germania e persino Stati Uniti d'America.
In Francia si acquistarono le licenze per i Farman 1914, i Neuport Caudron ed i Voisin, per i motori Gnôme e Caonton-Unné. In Germania per gli Aviatik e gli Albatros e per i motori Maybach, ma con la guerra la Germania bloccò le esportazioni, mentre Francia e Regno Unito posero condizioni politiche.
La mancanza di un riordino dell'aeronautica ostacolò la creazione di nuove componenti dato che sia il Règio Esercito che la Règia Marina erano restii a privarsi di personale valido. A fine autunno del 1914 un programma prevedeva la costituzione di nuove squadriglie, ma l'industria non riusciva a produrre che meno di dieci aerei al giorno. In questa situazione nacquero industrie quali la Macchi, la Società Anonima Meccanica Lombarda, la Savoia e la Società Idrovolanti Alta Italia.
L'ingegner Gianni Caproni concepiva, già nel 1913, un biplano trimotore di dimensioni generose, inconsuete ad esclusione del bombardiere quadrimotore Sikorskij S-22 "Il'ya Muromez" (nome di un eroe delle leggende russe).
Dopo varie traversie politico-burocratiche il Corpo Aeronautico divenne operativo, immediatamente subordinato all'Arma del Genio del Règio Esercito, con una Direzione Generale dell'Aeronautica al Ministero della Guerra affidata al colonnello Maurizio Mario Moris.
Il Comando dell'Aeronautica comprendeva il Battaglione Dirigibilisti, il Battaglione Aerostieri e lo stabilimento di costruzioni aeronautiche, mentre il Comando dell'Aviazione comprendeva un Battaglione Aviatori, un Battaglione Scuole Aviatori, una direzione tecnica dell'aviazione militare e un Istituto Centrale Aeronautico.
Uno stanziamento di 16 milioni e mezzo di lire era destinato agli approvvigionamenti dell'arma aeronautica e della aviazione della Marina (5 milioni di lire), ma la somma venne giudicata insufficiente soprattutto se confrontata con il bilancio delle altre aviazioni, e venne quindi aumentata a quasi 17 milioni di lire per la sola aviazione dell'esercito consentendo l'ordinazione di 193 aeroplani e 330 motori. Il problema del personale venne risolto creando un organico proprio, comprendente 374 ufficiali provenienti da tutte le armi.
La politica interventista dell'onorevole Salandra portò ad un'intensa preparazione bellica. Gli aeroplani a disposizione dell'aviazione dell'esercito erano complessivamente 86 ripartiti in 15 squadriglie, delle quali solo 12 operative con 75 apparecchi. I piloti con brevetto militare erano 70, con altri 20 in corso di istruzione, 40 riserve o istruttori nelle scuole.
L'aviazione della Marina aveva a disposizione una trentina di idrovolanti, ma nessuno di essi era impiegabile bellicamente, e due dirigibili, e disponeva di 12 piloti di prima linea.
L'esercito austriaco disponeva di 96 aerei ed un dirigibile. L'aviazione italiana non aveva compiuto nessun miglioramento tecnologico dalla guerra di Libia ed il giorno 24 maggio 1915, quando fu data l'autorizzazione a passare il confine, gli aeroplani italiani poterono compiere solo ricognizioni. La notte dello stesso 24 maggio gli idrovolanti austriaci bombardarono Venezia. Questa e le altre incursioni in territorio veneto ebbero almeno il risvolto di suscitare attenzione verso l'arma aeronautica.
Nei primi mesi di guerra l'aviazione austroungarica effettuò numerose incursioni, in particolare a Venezia, Padova, Treviso e Milano, che fu bombardata il 14 febbraio del 1916 da 11 biplani Lloyd e Lohner B-VII partiti dal Trentino. A La Spezia toccò l'11 luglio, da un solo Brandenburg pilotato dal sergente Joseph Siegel, a Napoli il 10 marzo, dal dirigibile tedesco L-59, partito dalla Bulgaria. I danni furono lievi, ma si ebbero molte vittime civili. A protezione di Napoli, dopo il bombardamento, fu schierata una squadriglia di idrocaccia della Marina con sede a Pozzuoli, mentre per la difesa di Milano furono impiegati anche i trimotori Caproni.
Fin dal 1916 venne distaccato a Valona, in Albania, l'8° Gruppo, mentre il 21° era schierato a Sakulevo in Macedonia. In Francia si trasferì invece il 18° Gruppo composto da tre squadriglie di Caproni, dove operarono assieme all'aeronautica francese. In Libia si trovavano la 104ª e la 106ª Squadriglia Farman e la 12ª Caproni contro gli insorti che minacciavano le città sulla costa, dove la guarnigione italiana si era ridotta. I tedeschi avevano istallato a Misurata una potente stazione radio per comunicare con i sommergibili, la quale venne distrutta dagli aerei italiani nel settembre del 1918.
La minaccia dei sommergibili era stata di tale portata nel Mediterraneo che le forze italiane furono costrette a creare un servizio di sorveglianza formato da 20 idrovolanti e 10 dirigibili lungo tutte le rotte. Nel 1916 contro 154 incursioni italiane ve ne furono 562 austriache, ma nel 1918 quelle austriache furono 542 e quelle italiane 1.224.
In base ad un accordo con la Francia che prevedeva la mutua assistenza, una squadriglia di Nieuport da caccia atterrò sul campo di Venezia Lido affiancata da una squadriglia di idrovolanti FBA (Franco-British Aviation Company) a Sant'Andrea.
L'aeronautica italiana compì un enorme sforzo per restare al passo di quella nemica, mentre già alla fine di giugno la linea degli apparecchi era già profondamente usurata. Gli aerei vennero ritirati, passati alle scuole di volo, e sostituiti dai nuovi modelli di Farman. Gli Aviatik biposto costruiti dalla SAML (Società Anonima Meccanica Lombarda), vennero inizialmente adottati per la difesa di Udine, Verona e Brescia.
Finalmente, nel novembre del 1915 fu possibile attrezzare quattro squadriglie operative con i Caproni Ca.32 (300 hp), trimotori in grado di sganciare quattro quintali di bombe addentrandosi per un centinaio di chilometri in territorio nemico e con un equipaggio di quattro uomini.
Agli inizi questi aeroplani erano impiegati in azioni poco appropriate, ovvero come una specie di artiglieria volante da contrapporre a quella nemica a terra. Le perdite furono assai dolorose.
Con l'avvento dei motori da 450 Cv (331 kW o 444 hp) furono attaccate le basi ed i porti più lontani. Il 17 maggio venne attaccato il porto di Pola, base della flotta austriaca. Fino ad allora compito dei dirigibili, vennero effettuate anche incursioni notturne.
Nel 1917 si accorparono le squadriglie di bombardieri nel Raggruppamento Bombardamento, il quale comprendeva il 4°, l11° ed il 14° Gruppo, con dodici squadriglie, al comando del Tenente Colonnello Egidio Carta, dipendente dell'Ufficio Servizi del Colonnello Riccardo Moizo. Più tardi invece il Raggruppamento Bombardamento fu affiancato a quello da caccia sotto un Comando Aeronautica del Colonnello Ernesto La Polla. Nell'ottobre del 1918, l'Italia disponeva di 58 bombardieri e di 210 caccia, comprese le quattro squadriglie della Marina con i biplani Ca.44 (Ca.5), da 600 Cv, ed i grandi triplani Ca.40 (Ca.4) da 1.200 Cv, con un carico bellico di 3.000 kg, per un peso totale di 6.500 kg.
Il 25 dicembre del 1917 l'asso canadese Capitano William George Baker del 28° Squadron britannico basato ad Istrana (Treviso) piombò da solo sul campo della 204ª Jasta tedesca da ricognizione con il suo Camel B6313 lasciando lo scompiglio. Il giorno successivo i tedeschi organizzarono una pronta risposta e, alle 8:30 della mattina, 25 Albatross, più i caccia di scorta, piombarono sul campo di Istrana, dove erano il 6° ed il 10° gruppo caccia italiani. Undici caccia italiani riuscirono a decollare, abbattendo otto aerei tedeschi senza riportare perdite.
I bombardieri effettuarono numerose incursioni e anche i caccia ottennero la superiorità aerea durante l'offensiva finale sui cieli dei combattimenti. Tutti i caccia italiani erano di progettazione francese, tranne l'Ansaldo A.1 Balilla, agile biplano, il quale però giunse troppo tardi nel conflitto per essere utilizzato concretamente.
L'Italia schierò almeno 60 dirigibili, seconda solo alla Germania, sia per numero che per intensità di impiego. Dieci dirigibili andarono perduti in combattimento e quattro in incidenti.
Nel 1918 arrivò il velocissimo S.V.A., progettato dagli ufficiali ingegneri Umberto Savoja e Rodolfo Verduzio per l'Ansaldo. Eccezionale nella salita e per la velocità, era reputato poco maneggevole e agli inizi venne adottato per la ricognizione, nella quale si dimostrò eccezionale. Fu anche usato come cacciabombardiere d'appoggio tattico alla Cavalleria. Il 9 agosto lo SVA fu protagonista del celebre volo su Vienna. 11 SVA della 87ª squadriglia partirono da San Pelagio, una località nei pressi di Padova, di cui tre furono costretti al rientro, mentre gli altri attraversavano le Alpi sulla rotta Udine-Klagenfurt, alla quota di 3.500 metri. L'aereo del Tenente Sarti era costretto ad atterrare in vista della meta, gli altri sette giunsero su Vienna, compreso Gabriele D'Annunzio, sullo SVA numero 10 pilotato dal Capitano Natale Palli.
Lo sforzo bellico italiano aveva prodotto 12.000 aeroplani e più di 24.000 motori, superata da Francia, Germania e Regno Unito, seguita da Russia, Austria e Stati Uniti d'America. Tornata la pace, si guardò all'impiego civile dell'aereo e anche molti piloti militari si rivolsero verso quest'ambito.
Nel 1920 si ricorda il notevole raid Roma-Tokyo compiuto da due SVA, pilotati da Arturo Ferrarin e Guido Masiero. L'impresa era stata pensata da D'Annunzio, che non partecipò. Parteciparono cinque Caproni e sette SVA, tra i quali quelli di Ferrarin e Masiero che fungevano unicamente da staffette, con aerei usati, ma che furono gli unici ad arrivare, entrando nella Storia dell'Aviazione.
L'istituzione della Regia AeronauticaAl termine della guerra, la smobilitazione ridusse i ranghi dell'aeronautica. Tuttavia in Libia, l'operazione di riconquista vide protagonisti gli SVA ed i Ca.33-Ca.36, che, oltre alle azioni di bombardamento e ricognizione, si occupavano anche del rifornimento delle truppe per i generi di prima necessità.
Nel febbraio del 1922, il 10° Battaglione Ascari Eritrei venne assediato dai ribelli ad Azizia (‘Azīziyya, Tripolitania) e la sola possibilità di collegamento era quella aerea. Cinque Caproni trasportavano truppe fresche all'andata ed evacuavano feriti e personale civile al ritorno, questo fu il primo ponte aereo della Storia.
In patria l'aeronautica venne organizzata in Raggruppamenti: bombardamento - ricognizione, caccia e dirigibili. Gli aerei disponibili erano 273, mentre la Marina contava su 54 idrovolanti. Nel suo primo gabinetto Benito Mussolini elesse i due direttori generali Giulio Douhet, per l'aeronautica militare, e Arturo Mercanti per l'aviazione civile.
La Règia Aeronautica venne istituita con il regio decreto 645 del 28 marzo 1923. Il primo comandante dell'aeronautica (la carica di capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica non era stata ancora istituita) fu il generale Pier Ruggero Piccio. Il Generale volle subito iniziare a rendere l'Aeronautica un'Arma all'altezza del compito. Impose a tutti quelli che avevano richiesto di farne parte come piloti, di prendere il brevetto relativo. Inoltre un giorno prefissato impose a tutti gli stormi e le scuole di levare in volo tutti gli aeroplani in condizioni. Dei quasi 300 apparecchi, solo 66 riuscirono a decollare. Il 31 ottobre 1923 circa 300 tra aeroplani ed idrovolanti convergettero su Roma per prendere parte ad una parata e gli stessi aeroplani furono schierati a Centocelle il pomeriggio del 4 novembre il giorno in cui venne consegnata la bandiera all'Arma Aeronautica.
In quell'occasione il Presidente del Consiglio disse: «Siamo obbligati ad una politica fortemente aviatoria. Basta porsi sotto gli occhi una carta geografica per vedere che l'Italia non avrà mai un numero sufficiente di aeroplani per difendersi».
Il primo capo di Stato Maggiore dell'Aeronautica fu lo stesso generale Piccio, nel 1925. Il 30 agosto venne costituito il Ministero dell'Aeronautica, con tre Direzioni Generali: Personale Militare e Scuole Aeronautiche, Personale Civile Aeronautico e Genio Aeronautico.
Nel 1925 lo spazio aereo italiano venne diviso in cinque zone aeree:
la 1a zona a Milano;
la 2a zona a Bologna;
la 3a zona a Napoli;
la 4a zona a Palermo;
la 5a zona a Cagliari.
L'armata era suddivisa invece in tre squadre, le quali erano a loro volta suddivise in divisioni, quest'ultime in brigate e stormi, gli stormi in gruppi, i gruppi in squadriglie. Le squadriglie dell'armata erano 78[1], mentre le squadriglie da ricognizione erano 57 e quelle da ricognizione marittima erano 35, con piloti dell'aeronautica ed equipaggi del Regio Esercito e della Regia Marina.
Attraverso l'opera di Italo Balbo, dapprima sottosegretario (1926), e poi ministro dell'aviazione (1929), venne dato grande impulso alla nuova arma aerea: furono costituite scuole di alta quota e di alta velocità, furono effettuate crociere collettive del Mediterraneo occidentale (1928), del Mediterraneo orientale (1929), la trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931) e la crociera di 24 apparecchi sul tragitto Roma-New York (1933), tutte imprese che ebbero vasta risonanza internazionale. I primati internazionali colti dall'aviazione italiana furono numerosissimi.
Parallelamente alla crescita aerea si sviluppò l'industria aeronautica che produceva materiali molto apprezzati all'estero e che venivano acquistati da una quarantina di Paesi quasi tutti extraeuropei. Il primo collaudo bellico della nuova arma si ebbe nella campagna etiopica durante la quale l'aviazione, che vi impegnò circa 500 aerei, ebbe parte importante e in qualche caso determinante, favorita dal completo dominio del cielo. Alla guerra di Spagna l'aviazione italiana partecipò con oltre 700 aerei e quasi 6.000 uomini, dando prova di efficienza e maturando esperienza nel combattimento aereo. Bisogna però sottolineare che la difesa aerea nemica era molto scarsa e poco agguerrita, falsando così il giudizio generale degli strateghi, che sopravvalutarono le effettive capacità degli aerei. Questo errore fu decisivo perché allo scoppio della seconda guerra mondiale la maggior parte dei velivoli si rivelò inadeguata e superata rispetto ai moderni mezzi alleati.
Il 28 ottobre del 1931 fu inaugurato il nuovo palazzo sede del Ministero dell'Aeronautica e del relativo Stato maggiore, disegnato dall'architetto Roberto Marino.
Ancora in guerraLa Regia Aeronautica, nella metà degli anni trenta, appariva come una delle migliori forze aeree sulla scena mondiale,[4] grazie anche al successo del caccia biplano FIAT C.R.32 nella guerra civile spagnola ed alle imprese aviatorie compiute. La realtà era però sostanzialmente un'altra, dato che le imprese in cui si era cimentata l'Aeronautica avevano spinto la sua evoluzione in una direzione sbagliata.
Seguendo la politica del riarmo di Mussolini, l'industria aveva fornito all'Aeronautica militare del Regno ottimi apparecchi. Il battesimo del fuoco dell'Arma aerea avvenne durante la riconquista della Libia (dal 1922 al 1932) in operazioni contro i ribelli in appoggio alle truppe di terra. Gli aerei impiegati furono all'inizio, i vecchi bombardieri Caproni e successivamente gli IMAM Ro.1, i Caproni Ca.73 e i Caproni Ca.101.
La guerra civile spagnolaMa i primi veri e propri scontri aerei avvennero sui cieli della Spagna. Nel 1936 Mussolini fu il primo a fornire aiuto ai Nacionales di Franco. L'impegno della Regia Aeronautica in Spagna durò dall'agosto 1936 al marzo 1939. Nei primi tre mesi arrivarono 9 Savoia-Marchetti S.M.81 (ne erano partiti 12 ma tre si persero a causa del sovraconsumo di combustibile dovuto al vento contrario ed al volo in formazione), 45 FIAT C.R.32 e 21 ricognitori IMAM Ro.37bis nell'Aeronautica Legionaria. Nella zona delle isole Baleari operarono 6 Savoia-Marchetti S.M.81 e 9 FIAT C.R.32.
Fu subito chiaro che non esisteva un caccia capace di competere con il FIAT C.R.32, e questo valeva sia nel caso degli apparecchi repubblicani, Polikarpov I-15bis ed I-16 sovietici e Dewotine D.371 francesi, che nel caso di quelli della Legion Condor (il contingente tedesco) con i suoi 24 Heinkel He 51, ritenuti dallo stesso Franco inadeguati.[6] Anche i veloci bombardieri Savoia-Marchetti S.M.81 ed i FIAT B.R.20 erano impossibili da intercettare per i caccia repubblicani e molto apprezzati dagli spagnoli.[4] Il bombardamento nazionalista solo in pochi e noti casi toccò i centri abitati, molto spesso per l'insistenza di Mussolini, dato che Franco preferiva non infiammare ulteriormente gli animi del popolo spagnolo.
In particolare gli S.M.81, benché pochi, svolsero numerosissime missioni sia strategiche, con bombardamenti di obbiettivi vitali, che tattiche appoggiando le truppe di terra. Ma alla fine di ottobre 1936 l'URSS inviò un più congruo numero di aiuti, tra i quali 117 apparecchi per il fronte di Madrid ed altri 30 per quello basco. Il 7 novembre 1936 quando i nazionalisti attaccarono Madrid, fu subito chiaro che i caccia He 51 tedeschi non erano minimamente in grado di misurarsi con i rivali sovietici, tanto che la Legione Condor sospese le operazioni di quegli aerei.
In un vertice a Roma, il 6 dicembre, tra Mussolini, alcuni ministri e l'ammiraglio Wilhelm Canaris si decise di dividere l'onere del riarmo di Franco in modo tale che agli italiani sarebbe spettato il compito di fornire gli aerei da caccia ed ai tedeschi quelli da bombardamento (vi fu anche un tentativo appoggiato dagli spagnoli di fornire caccia italiani ai tedeschi, ma fu immediatamente rifiutato).
Il 22 dicembre 1936 sbarca a Cadice il Corpo Truppe Volontarie ed il contingente degli S.M.81 viene portato a 16. In febbraio vennero definitivamente ritirati dal combattimento tutti gli He 51 per manifesta inferiorità tecnica. Ai primi di marzo del 1937 l'Aviazione Legionaria poteva contare su 81 apparecchi, la Legion Condor 15 e l'Aviaciòn Nacional 61. Durante l'offensiva nazionalista a Guadalajara, durata dal 6 al 22 marzo, gli apparecchi della Aviazione Legionaria, portati il più vicino possibile alla battaglia, si trovarono in difficoltà a causa delle avverse condizioni meteo. In quel periodo arrivarono alcuni nuovi Heinkel He 111.
Dopo Guadalajara l'Aviazione Legionaria fu ulteriormente potenziata in tutte le componenti e durante la battaglia di Brunete impressionanti masse aeree si contenderono il dominio dei cieli. Infatti l'aviazione repubblicana disponeva di 90 I-16, 105 I-15 e 195 bombardieri e ricognitori, mentre i nazionalisti contavano su 122 FIAT C.R.32 e 13 Messerschmitt Bf 109B1. I due gruppi da caccia italiani Cucaracha (XVI gruppo) ed Asso di bastoni (I gruppo) fecero la parte del leone centrando 64 degli 80 apparecchi sovietici abbattuti.
Gli apparecchi italiani erano sempre più richiesti ed al 10 dicembre del 1937 l'Aviazione Legionaria poteva contare su 56 caccia e 48 bombardieri, mentre la Legion Condor e l'Aviaciòn Nacional disponevano complessivamente di 36 caccia e di 40 bombardieri, senza contare che i nazionalisti volavano su caccia C.R.32 e bombardieri S.M.79.
Al termine della battaglia di Turiel (22 febbraio del 1938) l'Aviazione Legionaria era forte di 168 aerei in efficienza, l'Aviaciòn Nacional 116 e la Legion Condor 96. Nessun caccia repubblicano ebbe mai ragione degli S.M.79 o dei B.R.20, dotati di un armamento difensivo migliore degli Heinkel He 111 e dei Dornier Do 17. Gli Junkers Ju 52, che gli spagnoli chiamavano con disprezzo «los camiones», furono rimpiazzati con 25 Savoia-Marchetti S.M.79, mentre nel maggio del 1938 a causa della crisi con la Cecoslovacchia, Hitler aveva sospeso gli aiuti a Franco.
Alla battaglia dell'Ebro (27 luglio 1938) i reparti italiani costituivano il grosso dell'aviazione di Franco. Sull'Ebro comparvero anche tre bombardieri da picchiata Junkers Ju 87 Stuka che, assieme ai Breda Ba.65 d'assalto, furono molto apprezzati per la loro precisione di tiro. Anche i nuovi Bf 109C cominciavano ad essere efficaci contro i caccia repubblicani (sull'Ebro solo 3 Bf 109C andarono persi a fronte di 23 abbattimenti, mentre andarono persi 6 FIAT C.R.32 contro 78 abbattimenti).
Il 23 dicembre 1938 durante la decisiva offensiva nazionalista su 365 apparecchi in linea 84 erano tedeschi, 145 nazionalisti e 136 italiani, inoltre tutti gli apparecchi da caccia nazionalisti, 45 FIAT C.R.32, erano italiani così come il 70% dei bombardieri. La Germania nazista contribuì in totale per un complessivo di 500 reichmark (15 000 specialisti, 593 arei, 100 carri armati, 600 cannoni ed altro), mentre l'Italia per 6 miliardi di lire (75 000 uomini, 6 000 aviatori, 764 aerei, 157 carri armati, 1 800 cannoni).
La Regia Aeronautica capì che erano necessari nuovi caccia più maneggevoli, ad ala monoplana con carrello retrattile ed abitacolo chiuso. Il nuovo apparecchio, il FIAT G.50, venne provato verso la fine della guerra nel 1938 (furono inviati 12 apparecchi di preserie), ma ormai gli avversari erano stati battuti e quindi non furono effettivamente provate le sue qualità, invero non così eccellenti per un aereo che avrà una carriera relativamente lunga.
Il 10 giugno del 1939 1 800 aviatori si imbarcavano sul Duilio a Cadice per tornare in Italia, a Genova. In Spagna rimanevano 193 caduti. Furono venduti al governo franchista tutti i velivoli (765 in totale), tranne qualche S.M.81 che necessitava di essere revisionato in patria.
In Cina, dove i giapponesi avevano ricevuto un certo numero di FIAT B.R.20, gli italiani poterono avere un riscontro della qualità dei loro velivoli in condizioni meno favorevoli. I giapponesi infatti subirono severe perdite contro gli stessi Polikarpov I-15bis ed I-16 che avevano combattuto in Spagna.
La rivolta del GoggiamTra il 1937 ed il 1940 le forze armate italiane in Africa Orientale si trovarono impegnate in una dura lotta contro i guerriglieri, in particolare nella regione del Goggiam nel governatorato dell'Amhara. La sera del 9 maggio 1936 Mussolini aveva proclamato la nascita dell'Impero italiano in Africa Orientale e la fine della guerra in Etiopia. In realtà più di tre quarti del territorio etiope erano sotto il controllo di due armate etiopiche e decine di migliaia di guerriglieri al comando dei feudatari amhara. Inoltre in agosto, nella stagione delle grandi piogge, Addis Abeba era rimasta praticamente isolata fino alla fine del settembre del 1936. Gli approvvigionamenti erano arrivati grazie alla linea ferroviaria di Gibuti, spesso assaltata dai guerriglieri, e al ponte aereo di Savoia-Marchetti S.M.81 e Caproni Ca.133 tra il porto di Assab ed il centro ferroviario di Dire Daua.
Cessate le piogge e ripristinati i contatti con la capitale, furono inviati 80 000 soldati italiani, 105 000 indigeni e 8 600 uomini dell'Aeronautica, con 250 aeroplani.
Con queste forze furono sbaragliate le ultime resistenze nella zona. Le popolazioni borana, galla e quelle musulmane avevano preferito il governo italiano alla dominiaziona amhara. Anche una parte dei feudatari amhara avevano giurato fedeltà al Regno d'Italia.
Il clima che si avviava alla distensione, però, venne guastato dall'attentato avvenuto durante una cerimonia ad Addis Abeba il 19 febbraio del 1937, dove venne ferito lo stesso viceré Rodolfo Graziani ed il generale Liotta, comandante dell'Aeronautica dell'Africa Orientale italiana. La reazione italiana colpì indistintamente popolazione civile e personaggi ritenuti poco affidabili. Questi fatti non interruppero comunque gli sforzi italiani per migliorare le infrastrutture etiopi.
Alla fine del maggio 1937 le principali basi aeree italiane dei governatorati erano state dotate di piste di volo preparate per ogni condizione atmosferica. Il campo di Addis Abeba era dotato di solide piste in macadam drenante ed aviorimesse. Intanto il generale Gennaro Tedeschini Lalli era il nuovo comandante dell'Aeronautica dell'Africa Orientale italiana, subentrato al generale Liotta quando la situazione si era ormai calmata. Infatti se nel gennaio del 37' erano state sganciate 126 t di esplosivo, nel luglio dello stesso anno ne erano state usate solo 16 t.
La Regia Aeronautica aveva nella zona 35 squadriglie dislocate in quattro settori (ridotti a 3 dopo la fine della guerriglia nell'Harrar), con un totale di 258 velivoli, di cui 163 in linea di volo ed altri 158 in riparazione. Vi era una scarsità di uomini a causa del fatto che la Regia era impiegata anche sul fronte spagnolo con l'Aviazione Legionaria.
Nell'agosto del 1937 una rivolta di vaste proporzioni divampò nel Goggiam, l'epicentro, nel Lasta e nel Baghemeder. Il Goggiam era una regione particolarmente isolata dell'Etiopia, a circa 2 500 m dal livello del mare, con al centro i monti Ciocché (4 300 m) circondata dal Nilo azzurro o Abbai e dalle zone semidesertiche del Sudan. La natura aveva incoraggiato lo spirito di indipendenza locale, sia contro il Negus che ora contro gli italiani, all'inizio accolti come liberatori. Gli stessi italiani infatti avevano fornito ai goggiamiti armi e rifornimenti per combattere l'autirità del Negus.
Le guarnigioni italiane erano state prese di sorpresa dalla rivolta ed avevano dovuto ritirarsi nei centri principali. Solo l'aviazione aveva potuto dare una mano, con bombardamenti sui ribelli. Nell'ultima settimana di agosto una quarantina di bombardieri dovette fare l'impossibile per aiutare i distaccamenti di truppe isolate, scaricando 20,7 t di bombe, in particolare sugli uomini del degiac Hailù Chebbedè che assediavano Socotà.
Il 23 agosto 300 uomini al comando di Umberto Nobile, del XXV battaglione coloniale, furono circondati nel Beghemeder da un migliaio di armati. Il 31 furono distrutte due compagnie che marciavano in loro soccorso e fu solo grazie all'intervento di un Caproni Ca.133, che riuscì a localizzarlo ed a rifornirlo di munizioni, che il distaccamento scampò al massacro. Anche il presidio di Danghila sopravvisse grazie all'Aviazione.
In settembre, malgrado il persistere di avverse condizioni atmosferiche, gli aerei continuavano la loro operazione di protezione delle forze terrestri. In ottobre alcuni Ca.133 furono spostati ad Alomanatà. La ribellione prendeva più vigore, obbligando l'aviazione ad intensificare le missioni. Il 24 ottobre sue S.M.81 ed un Ca.133 di Addis Abeba avevano bombardato con iprite (10 bombe C.500T) l'incrocio delle carovaniere Bot Gheorhis e Burié-Dembeccià, luogo di transito delle salmerie ribelli. Nello stesso mese vennero compiute missioni analoghe.
In novembre la situazione era peggiorata anche nel Goggiam meridionale. Il 21 novembre l'aviazione intervenne per allentare la morsa su Dembeccià, Burié, Fagutta e Sikilà ed altri centri attorno ad Engiabara. Il giorno successivo 12 Ca.133 bombardarono tutta la regione. Il martellamento indiscriminato però non faceva altro che inasprire gli animi degli etiopi che ingrossavano le file delle popolazioni ribelli. Uno dei più temibili capi della rivolta era il degiac Mangascià Giamberè, un feudatario del Goggiam meridionale. A lui si unirono molte popolazioni ribelli che insieme riuscirono a battere gli italiani.
I Caproni Ca.133 continuarono le operazioni di bombardamento ed attacco al suolo anche in dicembre. Gli aerei erano abbastaza resistenti all'artiglieria leggera dei ribelli, ma gli equipaggi rischiavano la vita. Anche il presidio di Uomberà resisté grazie ai rifornimenti ed agli spezzonamenti aerei. A fine dicembre il capitano Farello riuscì ad effettuate sortite da Motà da dove era assediato ed a battere i ribelli.
Il tenente colonnello De Laurentis era caduto in un agguato del degiac Manguscià, dove perse due ufficiali e 141 coloniali, e si ritirò fortunosamente a Tisisat Dil Dil. Il 30 novembre venne raggiunto da rinforzi e con questi liberò Adiet Tul ed il XXVII battaglione coloniale dall'assedio dei ribelli. Il comandante Barbacini, forte ora di otto battaglioni e numerose mandrie razziate, si diresse verso Isorà. Il comandante non comprese il problema di avere una formazione così lenta e poco difesa contro le veloci incursioni dei ribelli. Inoltre tutto il territorio dell'Amhara erano in servizio solo 12 bombardieri ricognitori, troppo pochi per assicurare la difesa della colonna di Barbacini. Non era possibile mantenere in efficienza più apparecchi a causa della scarsità dei rifornimenti che provenivano dalle lontane basi eritree. Il giorno 6 dicembre tre Ca.133 furono chiamati a ripulire una zona dove sarebbe dovuta transitare la colonna, ma le spezzoniere ed i colpi di mitragliatrice a bassa quota non furono efficaci contro i ripari di roccia usati dagli etiopi. L'attacco decisivo di Manguscià si scatenò la mattina del 7 dicembre, tra il monte Ligg ed il villaggio di Rob Gheveà quando i guerriglieri calarono dall'Amba Isorà seguiti da ribelli armati di lance e vecchi fucili. I ribelli riuscirono ad isolare i battaglioni in difesa delle salmerie. Due Ca.133 spezzonarono inutilmente la zona per togliere la pressione. La battaglia proseguirono fino al pomeriggio, quando ormai i battaglioni della retrovia erano ridotti a combattere corpo a corpo con i ribelli. I Ca.133, crivellati di colpi dell'improvvisata contraerea etiope, continuavano a mitragliare a bassa quota (circa 20 m). Il maresciallo motorista Guido Giorgi, benché ferito da una pallottola esplosiva (asportate parti del naso e della mascella ed una profonda ferita al petto) riusciva a tappare con le mani una tubazione di alimentazione della benzina ed a resistere così fino al ritorno al campo di Bahar Dar. Nel combattimento furono uccisi 196 coloniali, venti ufficiali italiani caddero sul campo, sette ebbero il tempo di rimpiangere la sorte dei compagni e due furono lasciati in vita da Manguscià.
Il giorno dopo quattro Ca.144 attaccarono i ribelli mentre terminavano le spartizioni, lasciando la possibilità al grosso delle forze italiane di rifugiarsi a Mancit. Nei giorni successivi si unirono ai bombardamenti di quanto rimaneva dei ribelli altri bombardieri sino al 22 gennaio del 1938. Gli italiani impararono la lezione ed il nuovo viceré, il Duca d'Aosta, proibì di razziare bestiame e l'uso di aggressivi chimici. Per la fine dell'anno gli italiani riuscirono a riprendere il controllo della situazione.
Ciò nonostante Manguscià riuscì ad eludere la caccia italiana, fino a quando nel 1941 da inseguito divenne inseguitore, allorché gli italiani, privati dei rifornimenti ed incalzati dalle divisioni britanniche, dovettero ritirarsi.
La seconda guerra mondiale Dall'esperienza della guerra in Spagna i vertici dell'Aeronautica non trassero un buon insegnamento: non si valutò appieno l'importanza dell'aviazione tattica così come non si tennero d'occhio le novità introdotte nelle altre aeronautiche, come ad esempio i nuovi Me 109, molto più veloci delle controparti italiane e gli unici capaci di raggiungere i bombardieri Tupolev SB-2 (Скоростной бомбардировщик, appunto bombardiere veloce). Inoltre l'evoluzione dell'Aviazione fu disorganica e discontinua, con un disordinato via vai di equipaggi. Fin dal 1936 lo Stato Maggiore aveva incominciato l'operazione R (rinnovamento), da attuarsi entro il '40, che prevedeva per l'Arma 27 stormi da bombardamento, un gruppo di bombardieri a lungo raggio, 2 stormi ed un gruppo da bombardamento marittimo, uno stormo da trasporto, 10 dieci stormi da caccia terrestre, un gruppo da caccia marittima, due stormi d'assalto (ovvero da appoggio tattico).
L'evidente sproporzione tra caccia e bombardamento era dovuta alla sicurezza nelle doti velocistiche degli S.M.79, B.R.20 e dei futuri CANT Z.1007, assolutamente imprendibili per un FIAT C.R.32, ma assolutamente alla portata dei caccia esteri di nuova generazione. Infine si scelsero troppi tipi differenti di apparecchio per le varie specialità, col risultato di una difficile industrializzazione ed una altrettanto difficile gestione logistica di pezzi di ricambio e specialisti.
Il 31 ottobre 1939 divenne capo di Stato Maggiore il generale Francesco Pricolo. A fine agosto la Germania invase la Polonia, mentre Francia e Regno Unito scesero in campo a fianco della Polonia: era la guerra.
L'Italia scelse di dichiararsi inizialmente "non belligerante", a causa anche dell'impreparazione per un conflitto. I notevoli successi tedeschi al fronte fecero però cambiare idea a Mussolini che il 10 giugno del 1940 dichiarò guerra a Francia ed Inghilterra.
Al momento dell'entrata in guerra l'Arma aerea contava su 23 stormi da bombardamento terrestre, 2 da bombardamento marittimo, 6 stormi ed 8 gruppi da caccia, 1 stormo e due gruppi d'assalto oltre all'Aviazione da osservazione aerea e da ricognizione marittima per un totale di 3 296 apparecchi di cui 1 795 in efficienza.
Battaglia delle Alpi Occidentali.
Sul fronte francese operava la 1ª Squadra Aerea con tre stormi da bombardamento e tre da caccia, in appoggio anche la 2ª Squadra Aerea e l'Aeronautica della Sardegna contro la Corsica e la Francia meridionale. I FIAT C.R.42, pur efficaci, evidenziarono carenze in termini di velocità ed armamento nei confronti dei rivali d'oltre Alpe. A causa della scarsa penetrazione delle forze terrestri sul suolo nemico, il Comando italiano decise di concentrare gli sforzi dell'Arma aeronautica sulle Alpi per ottenere risultati. Un proposito poco assennato e che non portò come è intuibile nessun frutto. Intanto il 22 giugno la Francia capitolava, in questo modo la 5ª Squadra Aerea in Libia poteva concentrarsi sul fronte egiziano.
Campagna del Nord Africa.Qui l'Aviazione ricevette il compito di contrastare le rapide incursioni inglesi (anche 400 km) sul territorio occupato dagli italiani. Negli attacchi ai commandos britannici vennero impiegati persino gli S.M.79 e, con più successo, i Breda Ba.65, troppo presto accantonati, e qualche FIAT C.R.32 veterano. I caccia italiani si trovavano già in difficoltà contro i Blenheim, ma quando furono in linea anche gli Hurricane si dovette attendere l'arrivo dei Fiat G.50 e dei Macchi M.C.200 per ristabilire un certo equilibrio.
In autunno l'Armata italiana era giunta sino a Sidi el Barrani, ma già in dicembre i britannici costringevano gli italiani ad una prima ritirata dalla Cirenaica. L'Aviazione italiana dovette intervenire ripetutamente per rintuzzare un avversario inferiore in numero ma superiore per agilità e per qualità di armamento.
Anche la decisione di istituire un Corpo Aereo Italiano fu penalizzante. Furono inviati in Belgio due stormi da bombardamento (il 13º ed il 43º, un'ottantina di FIAT B.R.20) ed il 56º Stormo Caccia Terrestre. L'integrazione con le forze tedesche fu difficile, i bombardieri, privi di attrezzature antighiaccio, non potevano operare con continuità, mentre i caccia erano inferiori per quota di tangenza (quota massima raggiungibile), armamento e velocità ai temibili Spitfire. Il CAI operò dal 22 ottobre 1940 al 3 gennaio 1941. Il maggior numero delle perdite fu dovuto alle condizioni ambientali ed alla scarsa integrazione con le strutture tedesche. Alla fine il 10 gennaio il Corpo tornò in Italia.
La Regia Aeronautica partecipò attivamente in tutti gli scacchieri operativi: in Africa Orientale, nel Mar Mediterraneo, nei Balcani, in Unione Sovietica, e sul territorio nazionale. Sul fronte della Manica, tra il settembre del 1940 e l'aprile del 1941, operò un Corpo Aereo Italiano dislocato nel Belgio costituito da 4 gruppi da bombardamento terrestre, 2 gruppi da caccia terrestre e una squadriglia da ricognizione aerea terrestre.
L'aviazione subì gravi perdite nel corso del conflitto: i morti e i dispersi furono 12.000, i feriti oltre 5.000.
Al momento dell'entrata in guerra, l'aviazione italiana poteva contare su una forza di 105.430 uomini, dei quali 6.340 piloti, e disponeva di 3.296 velivoli per impiego bellico, dei quali 1.332 bombardieri, 1.160 aerei da caccia e da assalto, 497 ricognitori terrestri e 307 marittimi, oltre a più di un migliaio di aeroplani d'addestramento; ciò nonostante solamente il 54% del totale era pronto per un impiego effettivo. I velivoli erano di tipi diversi e molti già abbondantemente superati, e l'industria aeronautica italiana, sia per la carenza di materie prime sia anche per manchevolezze organizzative, non riuscì a tenere il passo con quelle degli altri paesi in guerra. Dal giugno 1940 al settembre 1943 furono prodotti soltanto 10.388 aerei, non sufficienti a compensare le perdite subite; inoltre la produzione industriale fu dispersa nella costruzione di diversi tipi di aerei, invece che concentrarsi su pochi ma validi modelli.
Al momento dell'armistizio l'aviazione poteva contare ancora su 1.200 aerei, soltanto metà dei quali efficienti. Durante questo periodo vennero a formarsi due forze aeree italiane: una che operava nel nord Italia ai comandi della Repubblica di Salò, l'altra che operava al sud inquadrata della Balkan Air Force alleata, adoperando anche mezzi alleati come i Bell P-39 Airacobra.
La Regia Aeronautica Italiana compì sul cielo di Frascati la sua ultima missione in contrasto all'azione degli alleati di bombardamento della città e vi bruciò quanto vi restava dei suoi stormi.
Il 2 giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica Italiana, la Regia Aeronautica cessò di esistere, per prendere la denominazione di Aeronautica Militare.
Tratto da
http://it.wikipedia.org/wiki/Regia_Aeronautica