Ci sono alcune istantanee che hanno segnato il mondo, condensando in uno scatto interi capitoli della storia recente; chi non ricorda il miliziano caduto in Spagna, o le foto del D-Day di Capa, o gli americani che issano la bandiera in cima al monte Suribachi?
La foto che più di ogni altra assocerei alla Guerra fredda è senz'altro quella di Conrad Schumann.
Schumann, nato il 28 marzo 1942, è stato il primo e forse più famoso evasore della Repubblica Democratica Tedesca: nato nell'odierna Sassonia, arruolato nella
Bereitschaftspolizei, le squadre speciali e antisommossa della polizia, sorvegliava la costruzione del muro di Berlino. Era l'agosto del 1961, e sotto gli occhi increduli dei tedeschi dell'Ovest i soldati dell'NVA piantavano i primi paletti e stendevano il filo spinato, tra le lacrime di chi si vedeva per sempre strappato ai propri cari, parenti, amici...
E forse non fu solo il desiderio di libertà, di una vita normale e serena fuori dal giogo della dittatura comunista, forse fu anche il coraggio dell'incoscienza, di quei 19 anni nascosti sotto l'uniforme e l'elmetto calato sugli occhi, a dare al giovane Conrad il coraggio di prendere la corsa e saltare, quel caldo 15 agosto 1961. Il fotografo Peter Leibing ebbe l'accortezza e la fortuna di riuscire ad immortalare quel momento, gli stivali che schiacciano il filo spinato, il fucile in spalla, le braccia aperte a spiccare il volo, il volto teso, in apnea, quasi a vedere come andrà a finire, se riprenderà a respirare o se verrà invece colpito alle spalle dai propri compagni.
Trovo questa fotografia carica di significato non solo perché dipinge la realtà storica di un'epoca, il dramma interiore della città simbolo della Guerra fredda e dei suoi cittadini, ma perché travalica il momento politico, trasmettendo un messaggio universale e eterno: la ricerca della libertà, la lotta contro ogni forma di limitazione della vita umana, unica e preziosa, che troppe volte, in troppe parti del mondo è stata schiacciata dal volere e dalla forza di pochi. E' una fotografia in cui non trionfa l'Ovest sull'Est, ma solo un uomo e la sua volontà di scelta, di decidere della propria vita e del proprio futuro, senza ostacoli o paletti imposti da un potere calato dall'alto.
La fuga riuscì, ma non si può parlare di lieto fine: lontano da casa, Conrad visse tutta la vita in Baviera, lontano dalla propria famiglia e con pochi soldi, lavorando presso l'Audi di Ingolstadt. Per tutta la vita ricevette lettere dalla propria famiglia nelle quali lo pregavano di ritornare da loro, e che solo dopo il tracollo della DDR scoprì essere state sempre scritte per imposizione della Stasi. Caduto il muro si ritornò a parlare di Conrad e della sua vicenda, ed egli ammise quanto ebbe da soffrire per la sua scelta, e di essere stato anche alcolizzato per una decina d'anni: "Solo dal 9 novembre 1989 mi sono sentito realmente libero."
Nel 1990 poté finalmente tornare a far visita in Sassonia, per scoprire tristemente che in molti non l'avevano mai perdonato per il suo gesto, sia tra gli amici che tra i parenti, e trent'anni dopo non gli rivolgevano nemmeno la parola.
Pose fine alle proprie sofferenze il 20 giugno 1998, con un cappio attorno al collo nel frutteto dietro casa, senza lasciare alcun messaggio. "Sono ancora orgoglioso di quello che ho fatto, non c'era altra possibilità anche se ho corso un grande pericolo e ho tagliato ogni ponte col mio passato: ho perso la famiglia, gli amici, il lavoro, tutto", aveva detto una volta. Ma non sempre la certezza di aver fatto la scelta giusta basta per scacciare i fantasmi del passato.
E in fondo, cosa cambia? Conrad Schumann ha raggiunto l'immortalità molto tempo prima, a 19 anni, ad un metro dal suolo, sopra il filo spinato: ha spiccato il volo come un falco, e non è mai atterrato.
Questo è un autografo che ho acquisito giusto qualche giorno fa:
Saluti,
Drugo
Edited by -Drugo- - 18/6/2009, 16:26