CITAZIONE (mufasa2 @ 27/8/2012, 13:30)
e dal catalogo del Museo Storico dell'Arma di Cavalleria (ed. 1990) il busto di Abba (qui appunto senza accento) e la giacca e i cimeli del Colonello Bettoni (ne il museo ne l'attuale Reggimento hanno la bandiera di guerra del Savoia di Isbuscenskij: trafugata dallo stesso Bettoni e consegnata dopo il referendum a Umberto II penso che sia tuttora in Portogallo a Cascais a Villa Italia
No, lo stendardo che caricò a Isbuscenskij non si trova a Villa Italia a Cascais, ultima residenza di Umberto II. Tra l'altro, gli eredi la misero in vendita poco dopo la morte dell'ultimo sovrano, così come misero all'asta i libri della biblioteca e parte delle collezioni di memorie sabaude da lui raccolte e dei gioielli di famiglia.
Racconto in breve le vicende dello stendardo, perchè sono interessanti e meritano di essere conosciute.
Partito nel luglio 1941 dall'Italia, Savoia vi rientrò ai primi di marzo 1943, dopo venti mesi ininterrotti di Russia, sempre con Bettoni quale colonnello comandante. Il 30 aprile, lo stendardo (decorato di MOVM per la carica di Isbuscenskij) veniva riportato nell vecchia caserma del reggimento, in via Vincenzo Monti a Milano. Nelle foto d'epoca, si vede il portastendardo Ten. Giangi Rossi e il drappello d'onore di ufficiali e reduci dal fronte russo comandato da Bettoni.
L'8 settembre colse il reggimento in fase di riorganizzazione sulle balze appenniniche attorno ad Imola. Anche nella circostanza, Bettoni agì rapidamente. Lasciò liberi i soldati di ritornare alle loro case (la zona di reclutamento di Savoia era la Lombardia) per sottrarsi alla cattura. Fece distribuire i cavalli ai contadini della zona. Trovò un nascondiglio segreto per lo stendardo. E al comando tedesco che l'aveva convocato andò a presentarsi da solo. All'ingiunzione di consegnare il reggimento rispose :-"Ecco, Savoia è tutto qua, sono io".
Arrestato, fece alcune settimane di carcere, ma la comparsa di dolori alle gambe di natura non diagnosticata gli valse la liberazione e il ritorno a Brescia. Qui fu attivo nella lotta clandestina contro occupanti tedeschi e RSI (diretta dal suo predecessore nel comando di Savoia, Gen. Cadorna, comandante militare del CNL Alta Italia). Messo sotto sorveglianza e arrestato nuovamente il 19 agosto 1944 come antifascista e monarchico, venne internato nel campo di Lumezzane fino al 14 settembre. Alla Liberazione, venne nominato comandante militare della piazza di Brescia e, non appena possibile, si recò in Emilia a recuperare lo stendardo di Savoia nascosto.
Arriviamo così al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sfavorevole alla monarchia, alla partenza di Umberto per il Portogallo e alla proclamazione della Repubblica. Uno dei primi atti del nuovo ministero della Difesa repubblicano fu di ordinare la consegna dei vessilli reggimentali del Regio Esercito muniti dei simboli sabaudi, destinati a essere conservati al Vittoriano. Il monarchico Bettoni si ribellò a tale ordine e trovò il modo, con la complicità di un amico, di far uscire lo stendardo di Savoia dall'Italia e farlo pervenire nelle mani del sovrano in esilio in Portogallo. Bettoni pagò il sua atto di indisciplina con la radiazione dall'esercito, con effetto immediato e senza diritto alla pensione. Nel comunicato ufficiale del ministero, si precisava che "per l'inconsulta iniziativa [...] il Ministro ha ordinato provvedimenti di stato per la sua cessazione dal servizio permamente. A carico del responsabile non sono state adottate sanzioni più gravi in quanto l'ufficiale partecipò durante il periodo clandestino alla lotta partigiana." Neanche un accenno alla Russia, a Isbuscenskij e alla carica.
Nei cinque anni che seguirono la sua estromissione dall'esercito, Bettoni, sposato con una cugina e senza figli, ritornò alla pratica agonistica e sportiva, a quei concorsi ippici dove prima della guerra aveva brillato in campo internazionale. Non gli era più permesso vestire l'uniforme e montava in abito da cavallo civile. Classe 1892, aveva superato la cinquantina e il fisico pur sempre asciutto (anzi 'segaligno') risentiva degli strapazzi della guerra, dei tanti incidenti (oltre quaranta fratture!) riportati a cavallo e di un'inveterata abitudine a caffè e sigarette. Si erano manifestati anche problemi cardiaci e circolatori.
Il 28 aprile 1951, Bettoni era tra i cavalieri partecipanti al concorso ippico di Piazza di Siena a Roma e al momento di entrare in campo venne colto da malore. Rinunciò alla gara e rientrò all'Hotel Savoia nella vicina via Veneto. Parve riprendersi e anche un medico subito chiamato non trovò nulla di allarmante, ma alle sette di sera improvvisamente lo colse la morte. Tra gli ultimi a parlargli quel giorno fu Massimo Gotta, che da S.Ten. di Savoia aveva caricato a Isbuscenkij e all'epoca era ufficiale d'ordinanza del Gen. Marazzani, Consigliere Militare del Presidente della Repubblica Einaudi. Fu Gotta ad aiutare a comporre il corpo e a vestirlo con un abito blu e la cravatta rossa di Savoia. (Circa il dettaglio dell'abito civile, è da supporre che Bettoni non avesse con sè un'uniforme nella camera d'albergo; nè che ne avesse recata una la vedova, subito accorsa in automobile da Brescia.)
Ma riprendo e concludo l'esposizione delle vicende dello stendardo del reggimento, consegnato a Umberto di Savoia nel 1946.
Prima, provvisoria residenza del sovrano, della sua famiglia e del piccola corte che lo seguì in Portogallo fu Villa Bela Vista a Colares (vicino a Cintra), di proprietà della marchesa de Cadaval (italiana di nascita). Seguì presto il trasferimento a Cascais, in una casa in affitto di proprietà del conte de Montereal e ribattezzata Villa Italia. Due anni dopo, venne acquistato un terreno prospicente l'oceano e costruita la seconda (e definitiva) Villa Italia. Qui lo stendardo conservato entro una cornice era collocato nell'ambiente a pianterreno che fungeva da sala d'attesa.
Lo stendardo abbandonò una prima volta il Portogallo per affrontare un lungo e fortunoso viaggio attraverso due continenti, a fine 1947. Il 28 dicembre di quell'anno morì in esilio ad Alessandria d'Egitto Vittorio Emanuele III. Umberto potè raggiungere l'Egitto solo con un lungo volo attraverso mezza Europa, allo scopo di evitare il sorvolo del territorio italiano.
Recava con sè lo stendardo di Savoia Cavalleria che ricoprì il feretro durante la cerimonia funebre nella cattedrale cattolica di Alessandria, dove il vecchio re fu ed è tuttora sepolto. La generosa ospitalità offerta a Vittorio Emanuele III in esilio dal giovane re Faruk d'Egitto arrivò a tributargli in morte funerali di stato con la solennità dovuti a un sovrano.
Il secondo viaggio dello stendardo fu un viaggio di ritorno. Umberto II morì in una clinica di Ginevra il 18 marzo 1983 e dispose per testamento che alla sua morte lo stendardo venisse riconsegnato all'Italia e conservato al Museo delle Bandiere al Vittoriano.
Dove al presente si trova.
Foch