| No non credo che il dolman che porta Abati abbia avuto o portato gli alamari. E' pur vero che Cenni raccolse le memorie di molti garibaldini i quali però, come ho notato da alcune corrispondenze (molte sono scomparse e non si sa che fine abbiano fatto) erano a loro vola imprecisi, o con memorie confuse. Quanto meno stante le foto o i pezzi autentici giunti fino a noi. Però per quante imprecisioni sui dettagli o una rilettura di Cenni, è probabile che una qualche uniforme dei Carabinieri con alamari debba essere esistita. Se sia questa o meno, se gli alamari erano poi 5 o meno, non ci metterei la firma. La tenuta però è portata. Posseggo altre due foto di scarsa qualità dove appaiono un ufficiale ed un sottufficiale con la stessa tenuta. Ricorda comunque ED E' VERAMENTE IMPORTANTE che la foto è stata scattata dopo il Volturno (Abbati perse l'occhio a Capua). Questo perché dopo la battaglia c'è stata una bizzaria di tenute indescrivibile da divisione a divisione. Polsini e banda sono neri. Qui una serie di notizie sull'Abati prese da diverse fonti:
AST CONFERMA CARABINIERE GENOVESE SERGENTE LICENZIATO IL 14 DICEMBRE CON SEI MESI DI PAGA. Figlio del pittore Vincenzo, segue la famiglia prima a Firenze nel 1842 e poi a Venezia dal 1846 al 1858, dove forma la propria cultura artistica sia sotto la guida del padre che frequentando dal 1850 l'Accademia di Belle Arti con i maestri Grigoletti e Bagnara; qui conosce i pittori Vito D'Ancona e Telemaco Signorini. Nel 1858 la famiglia Abbati è nuovamente a Napoli, dove l'anno dopo Giuseppe espone alla mostra del Reale Museo Borbonico il dipinto La Cappella di San Tommaso d'Aquino in San Domenico Maggiore e conosce i pittori Bernardo Celentano e Domenico Morelli. Nel 1860 si unisce alla Spedizione dei Mille e perde un occhio nella battaglia del Volturno. Alla fine di quell'anno si trasferisce a Firenze, frequentando il ritrovo artistico del Caffè Michelangiolo insieme con i pittori Telemaco Signorini, Vincenzo Cabianca, Odoardo Borrani, Vito D'Ancona, Serafino De Tivoli e il critico, collezionista e mecenate Diego Martelli; del 1861 è il dipinto Il chiostro di Santa Croce. Nel 1863 alle Promotrici di Torino e di Firenze espone dipinti eseguiti "en plain air": Dintorni di Firenze, L'ora del riposo, Arno presso Firenze, Motivo presso Castiglioncello, Ulivi del Monte alle Croci; nel 1864, a Brera, presenta Il lattaio di Piagentina. Partecipa nel 1866 alla III Guerra di Indipendenza, arruolandosi volontario bersagliere; viene fatto prigioniero nella battaglia di Custoza e internato in Croazia.
GIUSEPPE ABBATI (1836 –1868) Biografia 1836 Nasce a Napoli, da Vincenzo, pittore di interni. Trascorre l’infanzia, con la famiglia, al seguito del padre, divenuto pittore di corte della duchessa del Berry. Segue gli studi elementari a Firenze, ha rapporti familiari con lo studio di Domenico Morelli e l’ambiente artistico napoletano, trascorre parte della giovinezza a Venezia. 1850 Si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia 1856 Incontra il D’Ancona ed il Signorini, giunti a Venezia per un lungo periodo di studi. 1859 Trascorre un periodo a Napoli, città in cui esegue studi di interni a fianco del padre. 1860 (ottobre) Garibaldino, perde un occhio a Capua Si reca a Firenze, dove, introdotto da Serafino De’ Tivoli, inizia a frequentare il Caffè Michelangiolo. Il suo studio è meta di numerosi amici ed artisti. 1861 Partecipa alla prima Esposizione Nazionale di Firenze. Espone tre interni (San Miniato e Santa Maria Novella), riceve un premio, ma rifiuta il riconoscimento, unendosi alla contestazione di un gruppo di artisti nei confronti della giuria. Dà il suo decisivo contributo alle prime ricerche dei Macchiaioli: • rinnova la tavolozza dei dipinti di interni • si reca frequentemente a Castiglioncello, ospite di Diego Martelli, dove dipinge con il Borrani ed il Sernesi • partecipa alle ricerche di Lega, Borrani, Sernesi e Signorini nella campagna di Piagentina Legato da profondissima amicizia a Diego Martelli, l’amico ed il mecenate dei pittori macchiaioli, vivace intellettuale e sensibile conoscitore d’arte, si stabilisce con lui in via dello Sprone a Firenze. I due giovani condividono l’interesse per Proudhon, Thiers, Taine e Zola. Abbati coltiva la lettura di Sant’Agostino. 1862 (luglio-agosto) Abbati segue Garibaldi nella spedizione che ebbe l’infelice epilogo di Aspromonte 1863 e ’64 Espone alla Promotrice di Torino 1865 Espone alla Promotrice di Venezia ed alla Società d’incoraggiamento di Firenze 1866 Espone a Venezia Si arruola come volontario nei bersaglieri e partecipa alla campagna del Veneto. E’ fatto prigioniero e condotto ai confini con la Croazia Tornato dalla prigionia espone alla Promotrice di Firenze Presenta il quadro il "Monaco al coro" a Napoli ed al Salon Parigino Il quadro viene acquistato dal Museo di Capodimonte Con il ricavato della vendita del quadro, Abbati decide di ritirarsi a vivere a Castelnuovo della Misericordia, piccola località collinare, a nord di Castiglioncello, anch’essa parte della estesa proprietà terriera di Diego Martelli. 1867 Nella prima metà dell’anno Abbati lavora intensamente a Castelnuovo della Misericordia In estate incontra a Castiglioncello Giovanni Fattori, anch’egli ospite del Martelli dopo la morte della moglie, con il quale condivide le fruttuose ricerche sullo studio dal vivo dei bianchi dei buoi e della natura animata. Alla fine dell’anno, viene addentato dal cane mastino che aveva voluto quale compagno del volontario ritiro di Castelnuovo, dopo la morte del precedente pointer nero, amico fedelissimo, raffigurato insieme all’artista nello splendido ritratto eseguito dal Boldini nel 1865. 1868 Purtroppo il mastino era affetto da idrofobia ed il 21 febbraio 1868 l’Abbati si spegne, provato da atroci sofferenze, presso l’ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze, assistito da Teresa Fabbrini, la compagna di Diego Martelli. Viene sepolto nel cimitero di San Miniato, vestito della tunica rossa dei garibaldini e decorato delle sue medaglie.
Dipinti d’interni, era nato a Napoli nel 1836 e si era trasferito in tenera età con la famiglia prima a Firenze, al seguito della Duchessa di Berry che aveva assunto il padre Vincenzo come pittore di corte, e poi a Venezia, dove Giuseppe frequentò l’Accademia di Belle Arti negli anni fra il 1850 e il 1853, e dove nel 1856 conobbe Telemaco Signorini. La collaborazione con il padre, segnata dall’esordio nel 1859 con un dipinto che rappresentava l’interno della chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli, si interruppe bruscamente l’anno successivo, quando Giuseppe partì volontario con la spedizione dei Mille, imbarcandosi a Genova. La ferita che riportò in combattimento presso Capua gli costò la perdita dell’occhio destro: in seguito, Abbati avrebbe rifiutato la pensione di invalidità che gli era stata assegnata, sostenendo che il suo era stato un sacrificio spontaneo, per il quale non richiedeva compensazioni. Il carattere dell’artista, fieramente avverso all’ufficialità e alle celebrazioni istituzionali di stampo accademico, si mise in luce anche nel 1861, poco dopo il suo arrivo a Firenze, in occasione della prima Esposizione Nazionale. Qui Abbati aveva presentato tre dipinti di interni delle chiese di Santa Maria Novella e San Miniato, ricevendo in premio dalla giuria una medaglia; il pittore non solo rifiutò il premio, ma si unì alla contestazione di un gruppo di artisti che la giuria non aveva ammesso all’esposizione. A Firenze, Abbati frequentava assiduamente il gruppo dei macchiaioli che si riunivano presso il Caffè Michelangelo, e abbracciando subito le istanze fondamentali della pittura di macchia, trasportava con esiti felicissimi i suoi soggetti dalla penombra delle chiese alla luce del sole; nell’ambiente del Caffè Michelangelo, vero crocevia per tutti gli artisti progressisti presenti a Firenze, ebbe inizio anche la fraterna e durevole amicizia con Diego Martelli, che ospitava Abbati durante l’estate nella sua villa di Castiglioncello, insieme con Borrani e Sernesi; con questi ultimi, al ritorno dall’infelice spedizione con Garibaldi conclusasi in Aspromonte nell’estate del 1862 - alla quale aveva partecipato insieme a Martelli - Abbati condivise anche la fase sperimentale di ricerca tecnica e figurativa, che conducevano dipingendo all’aperto nella campagna di Piagentina, alle porte di Firenze. Appartiene a questo periodo la Stradina al sole, alla quale ben si intona quanto Martelli scriveva
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