12 Febbraio 1945- Scontro al Ponte di Perletto –
Gli Arditi del 3° Gruppo Esploratori della Divisione S. Marco non facevano prigionieri. Tutti i partigiani che venivano catturati con le armi in mano o senza armi, venivano immediatamente passati per le armi.
Questo gruppo era prevalentemente costituito da soldati provenienti dal II battaglione del X Reggimento Arditi, che avevano già combattuto contro gli Alleati durante lo sbarco in Sicilia del 10 Luglio 1943.
Comandava il 3° Gruppo Esplorante il tenente colonnello Vito Marcianò.
Dopo un primo impiego in Provincia di Imperia, dal Novembre 1944 estesero la loro attività anche alle Province di Savona e Asti.
Venivano impiegati esclusivamente nella lotta contro le formazioni partigiane. Adottando attacchi improvvisi e veloci, causarono gravi perdite con centinaia di morti. La loro ferocia era rivolta particolarmente agli ex commilitoni passati alla resistenza.
Parteciparono anche ai grandi rastrellamenti dell’autunno 1944 unitamente alle altre forze repubblicane e tedesche.
L’episodio che vi voglio raccontare è avvenuto il 12 Febbraio 1945 durante un rastrellamento nell’ambito della “Operazione Drago” effettuata dalla Divisione S: Marco.
Una volta tanto, però, lascio la parola a Sergio Lamura , ardito del 3° gruppo esplorante, che aveva partecipato all’azione e che l’aveva raccontata su un numero della rivista trimestrale “S: Marco”.
“…….Il plotone del gruppo esplorante della Divisione San marco di cui faccio parte, acquartierato a Manastero Bormida a 42 chilometri da Asti, ricevette in quei giorni, l’ordine di partecipare ad una operazione a vasto raggio, destinata a garantire la sicurezza delle retrovie della Divisione.
Passando da Bubbio ci avviammo verso Canelli. Qui avvenne l’incontro con gli altri due squadroni del Battaglione ‘Arditi’ per un’azione congiunta. Quindi il mio plotone scese verso Vesime, in direzione di Cortemilia, zona di notevole importanza per i partigiani perché anche sede di una pista di atterraggio di fortuna di piccoli aerei, utilizzata per ricevere rifornimenti di armi, munizioni, generi di conforto e per l’invio di ufficiali istruttori, per lo più inglesi, con il compito di organizzare, assistere e – se occorre - guidare le bande. Il nostro plotone, guidato dal tenente Pasquini in questa azione, procede verso questa posizione, lo segue a breve distanza il 1° plotone che, occasionalmente è comandato dal sergente Manfredini, mentre il tenente Luini è al Comando dello Squadrone. I due plotoni procedono sempre distanziati a protezione del lato destro di una colonna di marcia in spostamento sulla rotabile.
Questa nostra marcia, a protezione del lato destro della colonna, avviene totalmente in collina, su dossi e su costoni che più o meno seguono il percorso stradale, siamo quindi, ogni tanto, obbligati a qualche giro vizioso, in un terreno fatto di saliscendi dove la terra è bagnata e scivolosa, chiazzata qua e là da zone di neve non ancora disciolta.”……..”Il nostro plotone giunto all’altezza del paese di Perletto, che è la nostra meta, deve procedere sempre in costa sulla collina per cercare un varco per potersi portare sulla strada; questo ci obbliga, non potendo scendere subito, ad oltrepassare, sia pure di poco, il nostro obiettivo. Trovato poco dopo un varco che ci permette di scendere sulla strada provinciale, siamo logicamente costretti ad invertire il senso di marcia. Ora finalmente possiamo procedere su una strada pianeggiante e asfaltata”………”Percorsi pochi metri, ci troviamo di fronte ad una curva per noi sinistrorsa che continua con un rettilineo non molto lungo, terminante in un’altra curva per noi destrorsa da dove spunterà una banda partigiana. A pochi metri da questa curva è l’ingresso del ponte.
Trascorse pochissimo tempo, direi roba di attimi, quando imboccato il rettilineo, vediamo comparire una formazione partigiana che avanza verso di noi e marcia piuttosto disordinatamente occupando gran parte della carreggiata. Percorriamo ancora un piccolo spazio poi il tenente Pasquini, tramite due portaordini ci comunica: ‘Attenzione solo loro, continuate a camminare così, non vi sbandate, preparatevi al combattimento’.”……………..”veniamo avvistati dalla colonna nemica che ci viene incontro ed accolti con un grido corale di saluto e di richiamo con un festoso agitare di armi. E’ credibile che, tornando dall’aver attaccato la nostra colonna,” …………”pensassero di effettuare il ricongiungimento con un’altra delle loro bande che avevano partecipato alla stessa azione, altrimenti è difficile comprendere l’errore del mancato riconoscimento…..anche se, per amore della verità debbo dire di aver visto, dalla nostra parte, in risposta al saluto, sventolare uno dei fazzoletti rossi conquistati nell’attacco di Roccaverano.” …………….”Sia noi che loro continuiamo intanto ad avanzare………….poi coloro che sono nelle prime file partigiane capiscono, si bloccano, si girano di colpo, cercano un qualsiasi riparo. ……partono le prime raffiche………….noi che eravamo pronti al combattimento, partiamo alla carica di corsa tutti insieme, verso la formazione nemica; il camerata che in quel momento porta la mitraglia già se la è posta a tracolla e prende a maneggiarla sventagliando come un mitra...” …….”me lo trovo davanti ……con il volto contratto, lo sguardo atterrito di chi, spaurito, non sa cosa fare. Alza istintivamente le mani stringendo nella destra il suo Sten quasi restasse aggrappato a quell’arma come ancora di salvezza…. lo colpisco di piatto con la carabina, spingendolo contro la roccia…….sento alle spalle una sventagliata di mitra certamente destinata a quel ragazzone, perché è regola di guerra non lasciarsi mai un nemico armato alle spalle.”…………”Intanto nel prosieguo di questa azione di combattimento, che ormai volge verso l’epilogo, siamo raggiunti e superati dal I plotone che ci seguiva da vicino”…….”Terminato lo scontro constatammo che mentre le nostre perdite erano consistite in un solo ardito (caporal m. Grato Negro) i partigiani avevano lasciato sul terreno ben 16 uomini……”
Lo stesso episodio venne raccontato anche da Sergio Cinari, anch’egli presente.
“Dovevamo attraversare il ponte di ferro e raggiungere il paese di Perletto: arrivati a 250 metri dal ponte, il tenente prende il binocolo guarda e dice: Ragazzi questi sono ribelli, fate finta di niente. Noi guardiamo con bramosia davanti a noi e vediamo a 300 metri di distanza 25 ribelli che avanzavano in gruppo, senza essersi accorti di niente perché il sole che avevamo alle spalle batteva sui loro occhi impedendogli di vederci. Intanto tutti noi prepariamo le armi. In quel momento i ribelli si fermano indecisi, Ci hanno visti. Ma poi continuano a venire avanti. Anzi aumentano l’andatura. Noi ci fermiamo; Piero e Maceroni si gettano a terra togliendo la sicura alla MLI.. I ribelli ancora avanzano agitando Sten e fucili. Debbono averci preso per loro compagni. Continuiamo a camminare ed i primi sono arrivati a circa 40 metri di distanza da noi. Io e il tenente gli gridiamo: Venite, venite avanti. Ad un tratto i primi si fermano indecisi. Ci debbono aver riconosciuti. Stanno un poco fermi, poi girano le spalle e stanno per darsi alla fuga. Allora il tenente grida: fuoco ragazzi.
Noi non ci facciamo ripetere l’ordine due volte ed una raffica di 300 colpi si abbatte sui fuggiaschi…….. vediamo cinque di loro girare su se stessi e stramazzare a terra. Gli altri ribellucci corrono come pazzi abbandonando le armi, noi li inseguiamo e gli spariamo Addosso a bruciapelo fulminandolo tutti quelli che capitano a tiro.
Cinque o sei ribelli si gettano giù dalla riva attraversando il Bormida per poi passare sull’altra riva. Noi pur di non lasciarceli fuggire gli scarichiamo tutte le armi addosso uccidendoli ad uno a uno. Le acque sono rosse del sangue ribelle. Ritorniamo trionfanti esultanti dalla vittoria. Il tenente Luini si congratula con noi del II plotone.”
Il processo, celebrato ad Asti nel 1947, dimostrò che furono trucidati tutti quelli che si erano arresi compresi i feriti giacenti a terra.
Fioccarono le condanne, che nessuno scontò. Lo stesso tenente colonnello Vito Marcianò venne condannato a morte per crimini di guerra, pena commutata in 20 anni di reclusione, che non scontò mai.
Fra i pochi superstiti di quello scontro, due amici cairesi Lidio Milanese e Barbieri Sergio.