7 maggio 1954: Dien Bien Phu

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view post Posted on 7/5/2014, 11:13

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Dal punto di vista storico, il 2014 si prospetta come un anno particolarmente ricco di ricorrenze di grande significato: il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale e il 70° anniversario dello sbarco in Normandia sono sicuramente gli eventi più importanti che non mancheranno di catalizzare l'attenzione di storici, studiosi e di tutti i cultori di storia-militare, siano essi rievocatori, collezionisti o semplici appassionati. Ma c'è un'altra ricorrenza importante che vorrei qui ricordare, e di cui la giornata odierna costituisce il 60° anniversario: si tratta della caduta della piazzaforte francese di Dien Ben Phu, un evento che fu d'importanza cruciale per le sorti dell'impero coloniale francese in Indocina e che segnò una tappa fondamentale della lunga e tragica sorte del conflitto per la liberazione nazionale del Vietnam. La documentazione su quella drammatica e sanguinosa battaglia, durata 56 giorni, è veramente immensa e quindi non cercherò di raccontarne l'andamento ma proverò, piuttosto, a tracciarne il profilo e a capire quali siano state le ragioni di quella clamorosa disfatta. Lo farò in memoria di tutti gli uomini che caddero e soffrirono in quella vallata nel Vietnam, per tutti coloro che si batterono in quello scontro, lo farò per rendere un equainime omaggio a tutti coloro che colà patirono e si immolarono, siano stai essi francesi, vietnamiti, marocchini, algerini, thai: nemici, avversari, ora tutti affratellatti nell'abbraccio del ricordo e della morte.

Nel 1953 il conflitto coloniale in Indocina è giunto oramai all'ottavo anno. Dal punto di vista militare, il confronto tra il corpo di spedizione francese in estremo oriente e il movimento di ilberazione nazionale Vietminh ha raggiunto, dopo alterne vicende, uno stato di stallo. La Francia è stanca di quella guerra che divora uomini e denaro e i politici a Parigi puntano oramai a una via d'uscita diplomatica dal conflitto. Al generale Henri-Eugene Navarre, comandante in capo dell'esercito francese in Indocina, non si chiede perciò di vincere una guerra ma piuttosto di prender tempo in attesa che si trovi una via d'uscita onorevole al conflitto che salvi l'immagine internazionale della Francia e salvaguardi l'onore della casta militare.
Navarre e i suoi collaboratori concepiscono a tale scopo un piano per creare una nuova base operativa avanzata nel nord del Vietnam con l'obiettivivo di riuscire ad attirare le sfuggenti forze Vietminh in una battaglia campale di tipo tradizionale e minacciare contemporaneamente le vie di comunicazione e di rifornimento avversarie. Sceglie a tal fine di creare la base in una località posta in una vallata del Tonchino che rappresenta un'importante snodo di comunicazione tra il Laos, la Cina e il Vietnam, un villaggio adagiato in un'ampia conca verdeggiante a 300 chilometri a nord-ovest di Hanoi, dove già giapponesi, durante il precedente conflitto, avevano creato una rudimentale pista d'aviazione: quel villaggio si chiama Dien Bien Phu.

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Il 20 novembre 1953 i francesi lanciano l'operazione "Castor": 1800 paracadutisti, il fior fiore delle truppe francesi in Estremo Oriente, vengono paracadutati sopra la conca di Dien Bien Phu e se ne impossessano velocemente. L'operazione comincia sotto i migliori auspici, le perdite sono minime e i pochi reparti Vietminh presenti nella vallata vengono battuti e dispersi. La conca di Den Bien Phu diventa immediatamente il centro di un'imponente operazione logistica che porterà all'allestimento di un vasto campo trincerato difeso da 24 obici da 105mm, 4 da 155 e 10 carri armati M24, che arrivano alla base nelle stive degli aerei di trasporto "Dakota" smontati pezzo per pezzo, bullone per bullone. I lavori di fortificazione sono imponenti, ma in qualche modo inaccurati: nella vallata manca qualsiasi materiale di costruzione e tutti i materiali del genio devono essere trasportai per via aerea. I ricoveri sono protetti in maniera insufficiente, le trincee troppo poco profonde e i pezzi d'artiglieria che dovrebbero difendere la guarnigione piazzati pericolosamente allo scoperto, difesi solo da un basso parapetto di sacchetti di sabbia. Si tratta dei primi errori di una lunga serie di manchevolezze tattiche che finiranno per segnare in modo determinante il destino della battaglia.

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In realtà non tutti gli ufficiali francesi sono convinti del successo del'operazione lanciata da Navarre. Le prime pattuglie di ricognizione che cercano di allargarsi al di fuori del perimetro campo trincerato incontrano immediatamente dopo pochi chilometri la resistenza dei reparti Vietminh e sono costrette a ritirarsi : ci vuole poco a capire che la piazzaforte è praticamente circondata e che le finalità strategiche dell'intero piano d'operazione sono fallite ancor prima che cominci la vera battaglia. A comandare i 10.800 uomini di Dien Biem Phu viene nominato un brillante colonnello di cavalleria di nobile lignaggio: Christian-Marie-Ferdinand De Castries. Sembra l'uomo migliore per condurre quella serie di scorrerie offensive che, nei piani di Navarre, sevrirebbero a spezzare la schiena ai Vietminh. Purtroppo non sarà così: una volta costretto sulla difensiva, De Castries si dimostrerà un comandate titubante, quasi apatico. Verrà di fatto esautorato nelle sue funzioni, nel pieno dell'assedio, dal colonnello Pierre-Charles Langlais, ufficiale dei paracadutsiti: un avvicendamento di comando che avverrà troppo tardi per scongiurare il disastro. I primi a manifestare una serie di gravi peplressità sulla tenuta della piazzaforte sono i comandi dell'aviazione francese in Indocina i cui apparecchi da trasporto dovrebbero, in teoria, riuscire ad assicurare la sopravvivenza logistica di Dien Bien Phu: la guarnigione, per resistere e per combattere, necessita come minimo di 150 tonnellate di materiale al giorno e tutto dev'essere trasportato per via aerea: uomini, rinforzi, munizioni, medicinali, vettovaglie. E' uno sforzo impossibile da sostenere, specialmente durante la stagione dei monsoni, quando la regione è immersa nella nebbia e sferzata dalle piogge e le condizioni atmosferiche rendono impossibili i voli di rifornimento. Ma c'è un aspetto ancora più inquietante: i francesi occupano di fatto la vallata ma non riescono ad impedire ai soldati Vietminh d'impossessarsi stabilmente delle colline circostanti, ne occupano cioè il fondo ma non i bordi che lo sovrastano. La conca di Dien Bien Phu verrà subito ribattezzata "la cuvette", overossia "il catino": quel termine assumerà per i difensori un significato ben più dispregiativo, e amaramente ironico: "il vaso da notte", "il pitale".

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Navarre e De Castries sanno tutto, vengono messi al corrente di ogni dubbio e di ogni obiezione, hanno adirittura elaborato un piano d'evacuazione al quale hanno attribuito il nome, assai poco ben augurante, di "operazione Senofonte". Allora per quale ragione consentono ai Vietminh di dominare la vallata e di esporre la guarnigione a un così grave pericolo? Navarre e De Castries sono in realtà convinti che l'avversario potrà essere comunque individuato e distrutto con l'artiglieria d cui dispone la piazzaforte, che non dispone di adeguata copertura di fuoco per sostenere i propri attacchi di fanteria e che non possiede difese contraeree adeguate per contrastare gli attacchi portatai dai caccia-bombardieri francesi contro le proprie truppe. Le ragioni della tragedia di Dien Bien Phu, in fondo sono tutte qui, nella superficiale sottovalutazione dei rischi e nella pericolosa sottovalutazione delle capacità del nemico. Perché ad occupare quelle colline non ci sono poche bande di guerriglieri ma in realtà un esercito di 38.000 uomini guidato da un ex-insegnante di storia, un condottiero che non si è formato nell'atmosfera rarefatta e metafisica delle accademie militari ma che ha imparato l'arte della guerra nella giungla, gomito a gomito con i suoi soldati, un capo che ha saputo forgiare uno strumento militare duttile e potente e che guida uomini pieni di fede nella libertà e nella vittoria. Quel capo si chiama Vo Nguyen Giap.

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Giap comprende fin da subito che la presenza dei francesi a Dien Bien Phu costituisce un problema molto serio: la piazzaforte francese è una lama puntata alla giugulare del suo sistema di rifornimento che si snoda per centinaia di chilometri attraverso il Laos, la Cambogia e i valichi con la Cina, paese affratellato dalla medesima fede ideologica e dal quale le sue armate ricevono la maggior parte delle armi e degli strumenti essenziali per combattere quella guerra. Intuisce anche però che Dien Bien Phu può costituire una preziosa occasione per assestare un colpo mortale al corpo di spedizione francese in Medio Oriente e che, se la sfida sarà vinta, la Francia difficilmente potrà riprendersi dall'umiliazione della sconfitta. Non si tratterà questa volta di condurre un'operazione di disturbo su piccola scala nello stile tipico della guerriglia ma di preparare in modo paziente e accurato un vero e proprio attacco frontale in grande stile: Dien Bien Phu assomiglierà a Verdun, e il tributo di sangue chiesto ai suoi uomini sarà comunque altissimo. Giap conosce bene i precedenti della storia militare e sa perfettamente che, in un assedio di tipo classico, la vittoria arride a chi dispone di maggiori rifornimenti, di più munizioni e di più bocche da fuoco. Il capolavoro di Giap a Dien Bien Phu non è perciò tanto tattico o strategico, bensì logistico. Per quasi quattro mesi un esercito sterminato di portatori, di zappatori e di genieri costruisce un labirinto di piste nella giungla per sostenere gli assedianti. Se i francesi devono ricevere tutto per via aerea, nelle file Vietminh tutto dev'essere invece trasportato a piedi, o, per meglio dire, in bicicletta: 2000 biciclette Peugeot, fabbricate per colpo d'ironia proprio a Parigi, verranno modificate artigianalmente per trasportare ciascuna 300 chili di carico, moltiplicando per dieci il carico trasportabile da un singolo soldato. E' un semplice computo aritmetico di cui i servizi d'informazione francese non sapranno tenere conto e che avrà conseguenze disastrose, perché ritengono che sia impossibile rifornire un'intera armata nella giungla senza i mezzi motorizzati, le jeep, l'aviazione e tutti gli strumenti tecnologici della guerra moderna. Insieme ai rifornimenti, al riso e alle munizioni, Giap raccoglie un insieme di quasi 200 pezzi d'artiglieria tra obici da 105mm, cannoni da 75mm, mortai da 120 e 81 mm, pezzi antiaerei leggeri e pesanti. Gli affusti vengono rimorchiati dai camion lungo le piste preparate dai genieri nella giungla, poi spostati a mano sui sentieri di montagna e lungo crinali, issati sui versanti delle colline a forza di braccia e di corde, metro per metro, centimetro per centimetro. Un soldato Vietminh viene decorato per aver arrestato con il proprio corpo la discesa di un pezzo da 105mm sganciatosi dalle funi: questi sono i soldati del generale Giap.


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Quando il 13 marzo 1954 scatterà l'attacco Vietminh, le cause della sconfitta francese a Dien Bien Phu sono già tutte scritte, parola per parola, capitolo per capitolo. Tra i 10.800 difensori della piazzaforte francese vi sono circa 3000 soldati appartenenti a truppe sceltissime: paracadutisti, legionari, uomini dei battaglioni d'assalto. Si copriranno tutti di gloria. Ma ci sono anche circa 5000 soldati Thai e Vietnamiti, e soldati racimolati in tutti gli angoli dell'impero francese, in Asia e in Nord-Africa, in Marocco, nel Laos, nel Camerun: saranno i primi a cedere sotto i bombardamenti Vietminh e agli assalti della fanteria di Giap che rosicchierà le posizioni della piazzaforte, intitolate con nomi femminili, una per una una. Il 15 marzo, a soli due giorni dopo il primo l'assalto, la pista d'atterragio della piazzaforte, battuta in continuazione dall'artiglieria nemica, diventa di fatto inservibile: gli aerei colpiti bruciano sulla pista, i difensori di Dien Bien Phu sono praticamente isolati dal mondo. Da quel momento in poi i rifornimenti essenziali potranno raggiungere la base solo tramite aviolancio: la metà di essi finiranno in realtà tra le linee Vietminh. Qualche giorno dopo, il colonnello Piroth, responsabile dell'artiglieria della piazzaforte, si suicida facendo brillare una bomba a mano sul petto: le sue insostituibili batterie, esposte al fuoco nemico, non riescono ad individuare le posizioni Vietminh abilmente nascoste e mimetizzate sui crinali delle colline e vengono eliminate una ad una privando Dien Bien Phu della sua unica, vera capacità di difesa. Il suo onore di soldato non regge al peso di un tale errore e responsabilità. Il resto della battaglia sarà un seguito di attacchi e contrattacchi notturni, di mischie sanguinose, di postazioni perse e riconquistate più volte, nella quale Dien Bien Phu si trasformerà in un caotico carnaio di trincee sconvolte, ricoveri crollati, postazioni disseminate di cadaveri insepolti, carri armati immobilizzati, di camminamenti intasati di feriti e di agonizzanti.

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Il 7 maggio 1954, alle 17.30, la tragedia è compiuta. La bandiera Vietminh sventola sul bunker del quartier generale di De Castries, 7000 uomini della piazzaforte si consegnano prigionieri ai soldati del generale Giap. Dien Bien Phu è caduta. Si dirà in seguito che quella fotografia sarà stata costruita ad arte dalla propaganda Vietminh ed è stata in realtà scattata dopo la fine dei combattimenti, ma nulla toglie al significato di quella clamorosa vittoria che lascia l'Occidente ammutolito. I francesi lasceranno nelle trincee di Dien Bien Phu circa 4000 morti. Quanto ai prigionieri, tre quarti di loro moriranno in cattività a cause di fame e malattie. Le perdite Vietminh possono essere semplicmente stimate, ma probabilmente si aggirano tra gli 8000 morti e 15.000 feriti: un prezzo pesantissimo, che attira sul generale Giap numerose critiche, ma che viene però ampiamente ripagato dalla vittoria. Il giorno successivo, a Ginevra, verranno intavolate le trattative di pace: l'Indocina, per i francesi, è ora perduta per sempre.

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Edited by rip-stop - 2/2/2018, 16:41
 
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saigon70
view post Posted on 7/5/2014, 17:40




Sicuramente la caduta della piazzaforte di Dien Bien Phu segnò un punto di svolta nella guerra di liberazione e riunificazione del Vietnam costituendo le basi della futura partecipazione diretta e di un impegno progressivo con una escalation militare che porterà la super potenza USA ad impantanarsi anch'essa in un conflitto controverso che dividerà l'opinione pubblica americana e mondiale sulle effettive ragioni della loro presenza nel sudest asiatico. Le conseguenze di tutto ciò saranno delle dolorose ferite nella società americana che negli anni successivi si trascineranno a dietro una lunga ombra su ciò che e stato e a significato la guerra del Vietnam, per loro ma anche per l'intero occidente libero, ancora oggi quando si guarda a quel conflitto non si può non riconoscere che la più grande sconfitta in tempi moderni di una nazione come l'america da parte di una piccolo ed arretrato paese non rappresenti la lotta tra Davide e Golia o tra la libertà e autodeterminazione di un popolo dal giogo di una parte più forte che vuole imporre i propri voleri nella eterna lotta del potere e della supremazia sugli altri.

Saigon70

NB R.I.P a tutti quei soldati che da una parte o dall'altra hanno perso la vita in questa battaglia come in tutte le altre che hanno caratterizzato la tragedia del Vietnam senza tralasciare tutti i morti civili che spesso vengono dimenticati vittime loro stesse di eventi che li hanno travolti in quella logica del xx secolo che fu la guerra fredda e la contrapposizione di ideologie agli opposti.
 
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view post Posted on 7/5/2014, 18:31

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Diciamo pure che la repentina sconfitta francese aprì un vuoto improvviso nell'equilibrio geostrategico di tutta la regione indocinese. Se la transazione fosse stata affidata alle manovre diplomatiche, probabilmente la situazione sarebbe stata diversa. La clamorosa vittoria del generale Giap consentì a Ho Chi Minh di negoziare le condizioni di pace da una posizione di forza e quindi di vantare immediatamente dei crediti sul possesso territoriale di tutto il Tonchino e il Nord Vietnam al di sopra del 18° parallelo. La creazione quindi di due entità territoriali distinte, il Nord e il Sud Vietnam, nata inizialmente in base a una spartizione provvisoria, offrì all'Occidente il destro per creare un argine all'espansione comunista e ai comunisti di Hanoi d'intraprendere una nuova crociata per la liberazione e l'unificazione nazionale. Da un conflitto di decolonizzazione si passò a un confronto allargato su base strategica e ideologica inserita nell'ambito della Guerra Fredda. Solo gli americani avevano i mezzi, le capacità e la potenza militare per reggere quel confronto. Ci provarono e fallirono.

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saigon70
view post Posted on 7/5/2014, 20:01




La tua analisi e più che giusta diciamo però che gli USA da tempo guardavano preoccupati all'espansionismo comunista nell'area ed in questo quadro diedero impulso agli aiuti militari ai Francesi nella più ampia strategia coniata dal presidente Eisenhover " teoria del domino" la quale ipotizzava che se uno stato fosse caduto nelle mani di un regime comunista tutti gli altri stati confinanti o comunque nell'area sarebbero a loro volta caduti e questo gli USA in una area come quella del pacifico di interesse strategico non lo avrebbero permesso, tutto ciò inquadrato in un contesto globale in cui la guerra fredda era oramai una realtà con cui confrontarsi.

Saigon70.
 
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view post Posted on 8/5/2014, 15:31

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Concordo con la tua ultima analisi: c'era stata di mezzo anche la guerra di Corea, appena conclusasi, e sicuramente gli Stati Uniti erano seriamente preoccupati di trovarsi nuovamente di fronte a una situazione analoga. Ci sono però anche alcuni altri aspetti da tenere in debito conto. La Francia chiese, effettivamente, a Washington, di fornire supporto aereo ravvicinato e di procedere a un bombardamento a tappeto con i B29 sulle posizioni Vietminh per salvare la guarnigione di Den Bien Phu (cosa che avvenne, 14 anni dopo, utilizzando i B52 a Khe Shan...). Il generale di stato maggiore francese Ely tornò addirittura a Parigi con un piano che prevedeva l'impiego della bomba atomica sulle colline intorno al campo trincerato ("operazione Avvoltoio"). I vertici dell'aviazione USA erano già pronti per studiarne i dettagli operativi, ma ovviamente si trattava di una decisione estremamente grave, e Eisenhower tentennò. A rivelarsi determinante fu il rifiuto britannico di appoggiare una eventuale decisione americana in tal senso: Londra era troppo preoccupata di salvaguardare i propri interessi economici in Asia e le relazioni commerciali con la Cina, e probabilmente v'era dietro anche una certa vecchina ruggine con la Francia: l'Inghilterra aveva perso il suo impero, che la Francia perdesse ora il suo. Dien Bien Phu venne, di fatto, abbandonata al suo destino. Per prendere posto in Vietnam, gli Stati Uniti avevano prima bisogno che i francesi facessero i bagagli: era più semplice, naturalmente, erigersi a paladini del mondo libero contro la barbarie comunista che non dimostrarsi alleati o difensori di un ex-potenza coloniale che lottava, in realtà, contro i diritti legittimi di un popolo, quello vietnamita, di decidere della propria storia e del proprio destino.

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saigon70
view post Posted on 8/5/2014, 16:58




Interessante non sapevo di un piano per bombardare Dien Bien Phu con l'aiuto dell'aviazione USA e del piano Francese di uno strike nucleare che ricorda molto da vicini ciò che Mcarthur propose al presidente Truman durante la guerra di Korea cosa che ne segno l'esautorazione dal comando delle operazioni per via dei dissidi intercorsi con il presidente.
Penso che per gli Stati Uniti aiutare i Francesi nel ristabilire la propria autorità sulle colonie di Indocina anche in funzione anticomunista senza esporsi direttamente nelle operazioni belliche visto che pochi anni prima si era combattuta la guerra di Korea fosse una buona strategia con un duplice obbiettivo evitare problemi con la propria opinione pubblica, e non esporsi troppo apertamente contro Cina e Russia nel contrastare la minaccia comunista tant'è che gli aiuti che profuse ai Francesi venivano fatti di nascosto ed in sordina dai media e dalla stampa, e logico pensare che tutto ciò cambio repentinamente la politica di Washington nel momento in cui i Francesi persero a Dien Bien Phu e giocoforza furono obbligati a sedere al tavolo delle trattative questa nuova situazione impose un cambio di strategia nel contenimento dell'espansionismo comunista in estremo oriente con la conseguente decisione di aiutare direttamente il neonato governo Sudvietnamita nato dalla decisione di non avvallare delle libere elezioni per la riunificazione del Vietnam che nelle previsioni americane sarebbe finito sotto il controllo diretto di Hanoi.

Saigon70
 
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view post Posted on 9/5/2014, 13:48

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Sì, credo che le tue conclusioni in fondo siano esatte. Come sempre, dietro i militari, dietro i soldati, c'erano i politici: in Vietnam era necessario manovrare con accortezza per evitare un'escalation nel confronto tra i blocchi e il rischio d'innescare la miccia di una terza guerra mondiale. Da questo punto di vista la strategia di Washington fu un successo: in tutto il corso del decennio che vide impegnati gli americani in Vietnam, Cina e Unione Sovietica stettero a guardare lo svolgersi degli avvenimenti, forse con il malcelato compiacimento di assistere all'umiliazione della prima potenza militare mondiale mentre perdeva una guerra contro un'armata di pescatori e di contadini. Vent'anni dopo, per la consueta nemesi della storia, Reagan faceva lo stesso godendosi lo spettacolo della sconfitta sovietica in Afghanistan. In fondo, a parte gli Stati Uniti, nessuno voleva veramente morire per Hanoi: non i sovietici, che vedevano con sospetto la via maoista sposata con tanto entusiasmo dai comunisti di Ho Chi Minh; non i cinesi, che covavano un secolare e malsopito rancore nei confronti dei loro vicini di casa considerandoli dei diretti concorrenti nella corsa al predominio di tutta la regione indocinese. La sconfitta americana, nel 1975, riaprì nuovamente i giochi: ancora una volta, Hanoi fu libera di incassare i dividendi della vittoria e ad espandere la propria influenza sul vicino Laos e Cambogia, eliminando, politicamente e militarmente, i "colleghi" rivoluzionari appartenenti a movimento dei Khmer Rossi e del Pathet Lao. Praticamente si può dire che la stabilità nella regione venne raggiunta solo verso la metà degli anni '80, dopo quarant'anni ininterrotti di guerre e di massacri.

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Edited by rip-stop - 9/5/2014, 17:14
 
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saigon70
view post Posted on 9/5/2014, 16:52




Che la politica alla fine sia sempre quella che determina e condizioni il campo di battaglia e evidente e nel caso del Vietnam lo e ancor di più alla luce del fatto che per una serie di restrizioni imposte ai comandanti non si riuscì mai ad ottenere un pieno successo nelle varie operazioni militari atte a stroncare il continuo afflusso di uomini e mezzi verso sud. Attaccare direttamente la fonte principale del problema sarebbe stato un azzardo non privo di rischi evidenti nei confronti dei Russi e Cinesi e questo Washington lo sapeva bene,ma nel 72 Nixon stretto oramai da una opinione pubblica sempre più pressante nel ritirare le proprie truppe dal sudest asiatico e dal nuovo corso di distensione con lo storico viaggio in Cina e poi in Russia che di fatto isolava Hanoi dai suoi alleati storici permise l'inizio della campagna di bombardamenti Linebaker che porterà i nordvietnamiti al tavolo delle trattative di Parigi con la firma degli accordi ed il cessate il fuoco.

Saigon70.
 
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view post Posted on 9/5/2014, 17:13

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A volte la guerra è solo una grande, tragica pantomima. Gli uomini uccidono, soffrono, vengono uccisi per colpa di altri uomini che, da dietro una scrivania, nell'aria condizionata di un ufficio, ad una cena elegante o a un ricevimento d'ambasciata, decidono di dar credito a questa o a quell'altra illusione, alla seduzione di un gioco di potere, a un'idea sbagliata, priva di fondamento, solo apparentemente gloriosa o degna di meritare il sacrificio di una vita, quasi sempre quella degli altri. Un uomo di valore (e un giorno svelerò chi è), alla mia domanda "che cos'è la morte in guerra?" ha risposto: un omicidio. I veri colpevoli, quasi sempre, sono i mandanti. Raramente essi pagano, perché la guerra gronda sangue e oro nello stesso tempo: ai soldati non resta che il sangue, ai mandanti, invece l'oro, o una placida vecchiaia in qualche lussuosa pensione.

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saigon70
view post Posted on 9/5/2014, 19:19




Come non darti ragione!

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Florian Geyer
view post Posted on 9/5/2014, 20:05




Davvero tantissimi complimenti per l'interessantissimo "servizio" su Dien Bien Phu...ho la vaga impressione che la pianificazione francese dell'operazione (in quel caso) sia stata presa ad esempio negli anni successivi e nelle varie Scuole Militari, su come non fare a cacciarsi in queste situazioni. Anche gli americani, anni dopo, faranno i loro gravi errori...ma saranno meno evidenti forse per la capacità e la forza di dispiegamento di uomini, ma sopprattutto mezz, logisticai e tecnologia. Dall'inferno dell'assedio, resterà anche la figura carismatica per quanto controversa, del Col. Marcel Bigeard, decoratissimo e temutissimo comandante del 3° Reggimento di Paracadutisti Coloniali.
 
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view post Posted on 9/5/2014, 22:29

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CITAZIONE (Florian Geyer @ 9/5/2014, 21:05) 
Davvero tantissimi complimenti per l'interessantissimo "servizio" su Dien Bien Phu...ho la vaga impressione che la pianificazione francese dell'operazione (in quel caso) sia stata presa ad esempio negli anni successivi e nelle varie Scuole Militari, su come non fare a cacciarsi in queste situazioni. Anche gli americani, anni dopo, faranno i loro gravi errori...ma saranno meno evidenti forse per la capacità e la forza di dispiegamento di uomini, ma sopprattutto mezz, logisticai e tecnologia. Dall'inferno dell'assedio, resterà anche la figura carismatica per quanto controversa, del Col. Marcel Bigeard, decoratissimo e temutissimo comandante del 3° Reggimento di Paracadutisti Coloniali.

Grazie Florian Geyer. Sì, certo, Bigeard, un uomo, un mito... Un soldato tutto d'un pezzo, con un altissimo senso dell'onore e del dovere, per quanto rude, e temutissimo per le sue scurrilità e le sue collere, sia dai superiori che dai sottoposti. Si dice che andasse in giro sempre disarmato, come per lanciare una certa sprezzante sfida alla morte o al destino, secondo la mistica "legionaria" della "baraka", la fatalità. Sì è discusso molto della sua venerazione per De Castries: probabilmente Bigeard nutriva, per il suo superiore, una specie di "complesso d'inferiorità", ma, assai probabilmente, da autentico militare, considerava disonorevole e blasfemo discutere gli ordini dei suoi superiori, anche quando questi erano palesemente errati. E' famosa la sua immagine mentre si toglie lo scarpone e parla alla radio... Se non sbaglio, era incazzatissimo per essersi preso una slogatura durante il lancio ancora prima di cominciare a combattere!

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foch
view post Posted on 9/5/2014, 22:52




Una domanda sulla terz'ultima immagine postata a corredo di questa bella rievocazione della battaglia di Dien Bien Phu.

Il soldato ferito al centro, portato a braccia da due commilitoni, ha una tasca portamunizioni sul cinturone di canapa marcata U.S.
Come mai ? I Francesi in Indocina utilizzavano forse equipaggiamento USA ?

Foch
 
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saigon70
view post Posted on 10/5/2014, 06:21




Durante la guerra di Indocina la Francia a corto di materiale bellico recuperò tutto ciò che era disponibile per le operazioni militari tra cui anche materiale ex nazista e poi parecchio materiale fu fornito in modo Segreto dal governo americano tra cui aerei, mezzi blindati, da trasporto, armi ed equipaggiamenti individuali come buffetteria elmetti M1 uniformi ecc... ecc.. oltre a sostenere logisticamente il trasporto di uomini e mezzi nel sudest asiatico.

Saigon70.
 
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view post Posted on 10/5/2014, 15:15

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L'esercito francese, nell'immediato dopoguerra, fu quasi interamente riequipaggiato con materiale americano. L'equipaggiamento individuale era per la maggior parte "made in USA", ma all'epoca di Den Bien Phu era stato già distribuito anche materiale di fabbricazione nazionale. Per quanto riguarda le uniformi, in Indocina si vide praticamente di tutto: il soldato con il caricatore "US" indossa, se non erro, un "Dennison smock" inglese, mentre i suoi commilitoni indossano delle mimetiche francesi tipo "lizard" (o tigrate) di cui furono prodotte diverse versioni. Vennero utilizzate anche le HBT USA, sia nella versione "olive drab" che in mimetismo policromo, e ho addirittura una foto di un soldato francese con una giubba mimetica ricavata dal telo reversibile delle SS! Gli elmetti erano quasi sempre degli M1 americani, a volte modificati, anche se erano già stati distribuiti gli "OTAN". C'è da tener presente che le truppe d'oltremare s'arrangiavano con tutto quello che trovavano, l'omogeneità delle tenute era davvero l'ultimo dei loro pensieri.

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