Dal punto di vista storico, il 2014 si prospetta come un anno particolarmente ricco di ricorrenze di grande significato: il centenario dello scoppio della prima guerra mondiale e il 70° anniversario dello sbarco in Normandia sono sicuramente gli eventi più importanti che non mancheranno di catalizzare l'attenzione di storici, studiosi e di tutti i cultori di storia-militare, siano essi rievocatori, collezionisti o semplici appassionati. Ma c'è un'altra ricorrenza importante che vorrei qui ricordare, e di cui la giornata odierna costituisce il 60° anniversario: si tratta della caduta della piazzaforte francese di Dien Ben Phu, un evento che fu d'importanza cruciale per le sorti dell'impero coloniale francese in Indocina e che segnò una tappa fondamentale della lunga e tragica sorte del conflitto per la liberazione nazionale del Vietnam. La documentazione su quella drammatica e sanguinosa battaglia, durata 56 giorni, è veramente immensa e quindi non cercherò di raccontarne l'andamento ma proverò, piuttosto, a tracciarne il profilo e a capire quali siano state le ragioni di quella clamorosa disfatta. Lo farò in memoria di tutti gli uomini che caddero e soffrirono in quella vallata nel Vietnam, per tutti coloro che si batterono in quello scontro, lo farò per rendere un equainime omaggio a tutti coloro che colà patirono e si immolarono, siano stai essi francesi, vietnamiti, marocchini, algerini, thai: nemici, avversari, ora tutti affratellatti nell'abbraccio del ricordo e della morte.
Nel 1953 il conflitto coloniale in Indocina è giunto oramai all'ottavo anno. Dal punto di vista militare, il confronto tra il corpo di spedizione francese in estremo oriente e il movimento di ilberazione nazionale Vietminh ha raggiunto, dopo alterne vicende, uno stato di stallo. La Francia è stanca di quella guerra che divora uomini e denaro e i politici a Parigi puntano oramai a una via d'uscita diplomatica dal conflitto. Al generale Henri-Eugene Navarre, comandante in capo dell'esercito francese in Indocina, non si chiede perciò di vincere una guerra ma piuttosto di prender tempo in attesa che si trovi una via d'uscita onorevole al conflitto che salvi l'immagine internazionale della Francia e salvaguardi l'onore della casta militare.
Navarre e i suoi collaboratori concepiscono a tale scopo un piano per creare una nuova base operativa avanzata nel nord del Vietnam con l'obiettivivo di riuscire ad attirare le sfuggenti forze Vietminh in una battaglia campale di tipo tradizionale e minacciare contemporaneamente le vie di comunicazione e di rifornimento avversarie. Sceglie a tal fine di creare la base in una località posta in una vallata del Tonchino che rappresenta un'importante snodo di comunicazione tra il Laos, la Cina e il Vietnam, un villaggio adagiato in un'ampia conca verdeggiante a 300 chilometri a nord-ovest di Hanoi, dove già giapponesi, durante il precedente conflitto, avevano creato una rudimentale pista d'aviazione: quel villaggio si chiama Dien Bien Phu.
upload immaginiIl 20 novembre 1953 i francesi lanciano l'operazione "Castor": 1800 paracadutisti, il fior fiore delle truppe francesi in Estremo Oriente, vengono paracadutati sopra la conca di Dien Bien Phu e se ne impossessano velocemente. L'operazione comincia sotto i migliori auspici, le perdite sono minime e i pochi reparti Vietminh presenti nella vallata vengono battuti e dispersi. La conca di Den Bien Phu diventa immediatamente il centro di un'imponente operazione logistica che porterà all'allestimento di un vasto campo trincerato difeso da 24 obici da 105mm, 4 da 155 e 10 carri armati M24, che arrivano alla base nelle stive degli aerei di trasporto "Dakota" smontati pezzo per pezzo, bullone per bullone. I lavori di fortificazione sono imponenti, ma in qualche modo inaccurati: nella vallata manca qualsiasi materiale di costruzione e tutti i materiali del genio devono essere trasportai per via aerea. I ricoveri sono protetti in maniera insufficiente, le trincee troppo poco profonde e i pezzi d'artiglieria che dovrebbero difendere la guarnigione piazzati pericolosamente allo scoperto, difesi solo da un basso parapetto di sacchetti di sabbia. Si tratta dei primi errori di una lunga serie di manchevolezze tattiche che finiranno per segnare in modo determinante il destino della battaglia.
free image hostingcaricare immaginiIn realtà non tutti gli ufficiali francesi sono convinti del successo del'operazione lanciata da Navarre. Le prime pattuglie di ricognizione che cercano di allargarsi al di fuori del perimetro campo trincerato incontrano immediatamente dopo pochi chilometri la resistenza dei reparti Vietminh e sono costrette a ritirarsi : ci vuole poco a capire che la piazzaforte è praticamente circondata e che le finalità strategiche dell'intero piano d'operazione sono fallite ancor prima che cominci la vera battaglia. A comandare i 10.800 uomini di Dien Biem Phu viene nominato un brillante colonnello di cavalleria di nobile lignaggio: Christian-Marie-Ferdinand De Castries. Sembra l'uomo migliore per condurre quella serie di scorrerie offensive che, nei piani di Navarre, sevrirebbero a spezzare la schiena ai Vietminh. Purtroppo non sarà così: una volta costretto sulla difensiva, De Castries si dimostrerà un comandate titubante, quasi apatico. Verrà di fatto esautorato nelle sue funzioni, nel pieno dell'assedio, dal colonnello Pierre-Charles Langlais, ufficiale dei paracadutsiti: un avvicendamento di comando che avverrà troppo tardi per scongiurare il disastro. I primi a manifestare una serie di gravi peplressità sulla tenuta della piazzaforte sono i comandi dell'aviazione francese in Indocina i cui apparecchi da trasporto dovrebbero, in teoria, riuscire ad assicurare la sopravvivenza logistica di Dien Bien Phu: la guarnigione, per resistere e per combattere, necessita come minimo di 150 tonnellate di materiale al giorno e tutto dev'essere trasportato per via aerea: uomini, rinforzi, munizioni, medicinali, vettovaglie. E' uno sforzo impossibile da sostenere, specialmente durante la stagione dei monsoni, quando la regione è immersa nella nebbia e sferzata dalle piogge e le condizioni atmosferiche rendono impossibili i voli di rifornimento. Ma c'è un aspetto ancora più inquietante: i francesi occupano di fatto la vallata ma non riescono ad impedire ai soldati Vietminh d'impossessarsi stabilmente delle colline circostanti, ne occupano cioè il fondo ma non i bordi che lo sovrastano. La conca di Dien Bien Phu verrà subito ribattezzata "la cuvette", overossia "il catino": quel termine assumerà per i difensori un significato ben più dispregiativo, e amaramente ironico: "il vaso da notte", "il pitale".
url immaginehost imageNavarre e De Castries sanno tutto, vengono messi al corrente di ogni dubbio e di ogni obiezione, hanno adirittura elaborato un piano d'evacuazione al quale hanno attribuito il nome, assai poco ben augurante, di "operazione Senofonte". Allora per quale ragione consentono ai Vietminh di dominare la vallata e di esporre la guarnigione a un così grave pericolo? Navarre e De Castries sono in realtà convinti che l'avversario potrà essere comunque individuato e distrutto con l'artiglieria d cui dispone la piazzaforte, che non dispone di adeguata copertura di fuoco per sostenere i propri attacchi di fanteria e che non possiede difese contraeree adeguate per contrastare gli attacchi portatai dai caccia-bombardieri francesi contro le proprie truppe. Le ragioni della tragedia di Dien Bien Phu, in fondo sono tutte qui, nella superficiale sottovalutazione dei rischi e nella pericolosa sottovalutazione delle capacità del nemico. Perché ad occupare quelle colline non ci sono poche bande di guerriglieri ma in realtà un esercito di 38.000 uomini guidato da un ex-insegnante di storia, un condottiero che non si è formato nell'atmosfera rarefatta e metafisica delle accademie militari ma che ha imparato l'arte della guerra nella giungla, gomito a gomito con i suoi soldati, un capo che ha saputo forgiare uno strumento militare duttile e potente e che guida uomini pieni di fede nella libertà e nella vittoria. Quel capo si chiama Vo Nguyen Giap.
upload immagini gratisGiap comprende fin da subito che la presenza dei francesi a Dien Bien Phu costituisce un problema molto serio: la piazzaforte francese è una lama puntata alla giugulare del suo sistema di rifornimento che si snoda per centinaia di chilometri attraverso il Laos, la Cambogia e i valichi con la Cina, paese affratellato dalla medesima fede ideologica e dal quale le sue armate ricevono la maggior parte delle armi e degli strumenti essenziali per combattere quella guerra. Intuisce anche però che Dien Bien Phu può costituire una preziosa occasione per assestare un colpo mortale al corpo di spedizione francese in Medio Oriente e che, se la sfida sarà vinta, la Francia difficilmente potrà riprendersi dall'umiliazione della sconfitta. Non si tratterà questa volta di condurre un'operazione di disturbo su piccola scala nello stile tipico della guerriglia ma di preparare in modo paziente e accurato un vero e proprio attacco frontale in grande stile: Dien Bien Phu assomiglierà a Verdun, e il tributo di sangue chiesto ai suoi uomini sarà comunque altissimo. Giap conosce bene i precedenti della storia militare e sa perfettamente che, in un assedio di tipo classico, la vittoria arride a chi dispone di maggiori rifornimenti, di più munizioni e di più bocche da fuoco. Il capolavoro di Giap a Dien Bien Phu non è perciò tanto tattico o strategico, bensì logistico. Per quasi quattro mesi un esercito sterminato di portatori, di zappatori e di genieri costruisce un labirinto di piste nella giungla per sostenere gli assedianti. Se i francesi devono ricevere tutto per via aerea, nelle file Vietminh tutto dev'essere invece trasportato a piedi, o, per meglio dire, in bicicletta: 2000 biciclette Peugeot, fabbricate per colpo d'ironia proprio a Parigi, verranno modificate artigianalmente per trasportare ciascuna 300 chili di carico, moltiplicando per dieci il carico trasportabile da un singolo soldato. E' un semplice computo aritmetico di cui i servizi d'informazione francese non sapranno tenere conto e che avrà conseguenze disastrose, perché ritengono che sia impossibile rifornire un'intera armata nella giungla senza i mezzi motorizzati, le jeep, l'aviazione e tutti gli strumenti tecnologici della guerra moderna. Insieme ai rifornimenti, al riso e alle munizioni, Giap raccoglie un insieme di quasi 200 pezzi d'artiglieria tra obici da 105mm, cannoni da 75mm, mortai da 120 e 81 mm, pezzi antiaerei leggeri e pesanti. Gli affusti vengono rimorchiati dai camion lungo le piste preparate dai genieri nella giungla, poi spostati a mano sui sentieri di montagna e lungo crinali, issati sui versanti delle colline a forza di braccia e di corde, metro per metro, centimetro per centimetro. Un soldato Vietminh viene decorato per aver arrestato con il proprio corpo la discesa di un pezzo da 105mm sganciatosi dalle funi: questi sono i soldati del generale Giap.
image hostingQuando il 13 marzo 1954 scatterà l'attacco Vietminh, le cause della sconfitta francese a Dien Bien Phu sono già tutte scritte, parola per parola, capitolo per capitolo. Tra i 10.800 difensori della piazzaforte francese vi sono circa 3000 soldati appartenenti a truppe sceltissime: paracadutisti, legionari, uomini dei battaglioni d'assalto. Si copriranno tutti di gloria. Ma ci sono anche circa 5000 soldati Thai e Vietnamiti, e soldati racimolati in tutti gli angoli dell'impero francese, in Asia e in Nord-Africa, in Marocco, nel Laos, nel Camerun: saranno i primi a cedere sotto i bombardamenti Vietminh e agli assalti della fanteria di Giap che rosicchierà le posizioni della piazzaforte, intitolate con nomi femminili, una per una una. Il 15 marzo, a soli due giorni dopo il primo l'assalto, la pista d'atterragio della piazzaforte, battuta in continuazione dall'artiglieria nemica, diventa di fatto inservibile: gli aerei colpiti bruciano sulla pista, i difensori di Dien Bien Phu sono praticamente isolati dal mondo. Da quel momento in poi i rifornimenti essenziali potranno raggiungere la base solo tramite aviolancio: la metà di essi finiranno in realtà tra le linee Vietminh. Qualche giorno dopo, il colonnello Piroth, responsabile dell'artiglieria della piazzaforte, si suicida facendo brillare una bomba a mano sul petto: le sue insostituibili batterie, esposte al fuoco nemico, non riescono ad individuare le posizioni Vietminh abilmente nascoste e mimetizzate sui crinali delle colline e vengono eliminate una ad una privando Dien Bien Phu della sua unica, vera capacità di difesa. Il suo onore di soldato non regge al peso di un tale errore e responsabilità. Il resto della battaglia sarà un seguito di attacchi e contrattacchi notturni, di mischie sanguinose, di postazioni perse e riconquistate più volte, nella quale Dien Bien Phu si trasformerà in un caotico carnaio di trincee sconvolte, ricoveri crollati, postazioni disseminate di cadaveri insepolti, carri armati immobilizzati, di camminamenti intasati di feriti e di agonizzanti.
caricare immaginicaricare immaginiIl 7 maggio 1954, alle 17.30, la tragedia è compiuta. La bandiera Vietminh sventola sul bunker del quartier generale di De Castries, 7000 uomini della piazzaforte si consegnano prigionieri ai soldati del generale Giap. Dien Bien Phu è caduta. Si dirà in seguito che quella fotografia sarà stata costruita ad arte dalla propaganda Vietminh ed è stata in realtà scattata dopo la fine dei combattimenti, ma nulla toglie al significato di quella clamorosa vittoria che lascia l'Occidente ammutolito. I francesi lasceranno nelle trincee di Dien Bien Phu circa 4000 morti. Quanto ai prigionieri, tre quarti di loro moriranno in cattività a cause di fame e malattie. Le perdite Vietminh possono essere semplicmente stimate, ma probabilmente si aggirano tra gli 8000 morti e 15.000 feriti: un prezzo pesantissimo, che attira sul generale Giap numerose critiche, ma che viene però ampiamente ripagato dalla vittoria. Il giorno successivo, a Ginevra, verranno intavolate le trattative di pace: l'Indocina, per i francesi, è ora perduta per sempre.
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Edited by rip-stop - 2/2/2018, 16:41